Buongiorno mondo!
Nel vangelo di oggi Gesù conclude la parabola dei pesci buoni e quelli da
buttare con questo detto: "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del
regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose
nuove e cose antiche" (Mt 13,47-53). Sottolineo come, secondo logica,
Matteo avrebbe dovuto dire "cose antiche e cose nuove". Ha commesso
un errore, una distrazione? Non credo proprio, vista l'accuratezza e
l'attenzione che pongono gli evangelisti nello scrivere i loro testi. Matteo ha
voluto ribadire alla sua comunità che il criterio interpretativo della
tradizione, di tutto ciò che la storia racchiude, è rappresentato da Gesù, la
"novità di Dio nella storia" cui "le cose antiche" vanno
subordinate. E' una bella provocazione per noi e per le nostre comunità che
continuano ad arrancare nel tentativo (quanto mai vano) di riproporre, anche
con un linguaggio ormai desueto, l'esperienza della fede in Gesù. Ecco allora
sorgere la presenza di "scribi" che fanno della tradizione un
assoluto intoccabile e, paradossalmente, perdendo così di vista ciò che è il
cuore dell'annuncio della fede, ossia la persona di Gesù. Assistiamo così al
ritorno in forze di espressioni della fede che hanno solamente il sapore della
nostalgia, come la celebrazione della messa secondo il rito preconciliare (e
bisognerebbe chiedersi anche quale ecclesiologia, semmai ce ne fosse una, si
nasconde dietro a tali "nostalgie": quale immagine di Chiesa si vuole
proporre? Mah...). Abbiamo davvero bisogno di "scribi-discepoli del
Regno" che sappiano ridarci il sapore della novità del Dio di Gesù, e non
di "scribi" che sono rimasti prigionieri di una tradizione fine a se
stessa (e che spendono le loro energie in un "accanimento
terapeutico" esibito per mantenere in vita una religione ormai
definitivamente irrecuperabile). Gesù stesso l'ha detto: "cose nuove e
cose antiche". Il criterio è questo. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona
vita.
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