Beato chi non si scandalizza
III DOMENICA DEL TEMPO DI AVVENTO Is 35,1-6a.8a.10 Sal 145 Gc 5,7-10 Mt 11,2-11
Tratto da: Adista Notizie n° 38 del 05/11/2022
Giovanni lo abbiamo già incontrato e sappiamo che in lui sono condensati gli aspetti della vocazione e della funzione profetica. I profeti chiamano a conversione e tale appello si configura come una chiamata alla responsabilità che, a sua volta, è un appello all'esercizio della libertà personale. La chiamata del Battista è diretta a prepararci ad accogliere Colui che viene (nella traduzione io preferirei mantenere il testo originale: “il Veniente”, perché indica il modo dinamico in cui questo “venire”, questo “esserci” si manifesta).
In effetti, è questo il tema di sottofondo di questa Domenica della Gioia: i profeti ci insegnano a restare in atteggiamento di attesa perché ci ricordano continuamente che noi siamo attesa, siamo desiderio, siamo ciò che attendiamo. Giovanni ci aiuta dunque a fare discernimento dentro questa nostra attesa, a purificare il nostro desiderio aprendoci ad accogliere la domanda e il dubbio: “Sei tu o devo aspettarne un altro?”. Avere il coraggio di porsi una tale domanda significa rinunciare a “mettersi Dio in tasca”. Il Battista è immagine dell'uomo che si pone di fronte a Dio e capisce, ponendosi domande e aprendosi al dubbio, di non capire: sei tu o un altro? E normalmente, è un altro, un totalmente altro.
La domanda che Giovanni pone a Gesù è, o dovrebbe essere, la domanda che guida la nostra attesa in questo tempo forte (che è forte non solamente perché è “Avvento”, ma perché dovrebbe “metterci in crisi!”). Proviamo a pensare un istante a questo “aspettarne un altro” per chiederci: come vorrei in verità che il Signore fosse? Il “Veniente” è già venuto e continua a venire dentro la nostra storia: egli aspetta solamente di essere visto e accolto. Egli è colui che nella sua piccolezza, fin da neonato, si rivela il Dio fragile, il Dio che accetta di mettersi nelle nostre mani; è Colui che assume i nostri limiti e le nostre fragilità e in questo ci indica la via per “trasfigurare” queste realtà in luogo di solidarietà fraterna e filiale. L'Incarnazione rende le nostre fragilità umane spazio di manifestazione del divino. Non la grandezza, non le grandi opere: la nostra piccolezza assunta diventa lo spazio in cui Dio prende casa. Tutto il resto non è che manifestazione di delirio, di sogni di gloria, di potenza. Ecco perché quella domanda deve permanere nel tempo: essa ci aiuta a purificare continuamente la nostra attesa del “Veniente”.
E arriviamo così alla risposta che Gesù invia al Battista.
Non si tratta di una risposta teorica ma molto pratica. Gesù non offre saggi di teoria, ma vita vissuta. Davanti a un affamato, Gesù non fa teoria sulla fame nel mondo, ma condivide pane. La risposta di Gesù è improntata alla sua vita e per questo è pratica: è la sintesi di quanto va dicendo e facendo. Per questo invita all'ultima beatitudine: «Beato chi non si scandalizza di me». Che senso ha tale beatitudine? Non bastavano quelle enunciate nel Discorso della Montagna?
A quanto pare no. Quelle Beatitudini hanno come soggetto primo proprio Gesù: é lui che si fa povero, affamato, operatore di pace, mite, assetato di giustizia. Comprendere questo significa aver compreso le Beatitudini e quindi poter dare risposta alla domanda: sei tu o un altro? La risposta dipende da te. Il giudizio di Dio, annunciato ma non compreso dal Battista, sta in questa solidarietà con la fragilità umana. Accogli questo? Accogli la sua misericordia come giudizio sulla storia del mondo e quindi anche sulla tua e sei capace di fartene portatore? Beato te se non ti scandalizzi di me.
Nessuno si scandalizza di Gesù quando fa opere potenti, quando moltiplica il pane, quando opera miracoli strabilianti. Corrisponde all'immagine di Dio che ci portiamo dentro e che ci fa comodo perché vorremmo essere così.
Ma la beatitudine si rivolge a chi non teme di vedersi mandare in frantumi l'immagine di un Dio tanto caramente coltivata: un'immagine idolatrica costruita sui nostri deliri di potenza, di immagine e di forza. Gesù, nella sua risposta, denuncia e distrugge la confusione che ci portiamo dentro, ossia la confusione tra il credere in Dio e il credere in una nostra idea di Dio.
Don Luciano Locatelli è presbitero della Chiesa di Bergamo, attualmente a tempo pieno in Caritas.
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