Abitare un mondo complesso (II)
La complessità che contraddistingue la nostra realtà esige una visione ampia, sistemica. Potremmo dire che per avvicinarci con la dovuta umiltà alla realtà nel suo complesso è necessario un approccio olistico che aiuterebbe ad evitare di cadere in una visione sia di tipo «riduzionistico» (portare tutto al «minimo sindacale», eliminando ciò che non è immediatamente comprensibile) sia di tipo «deterministico» (tutto si tiene rigidamente secondo il principio di causa/effetto). La complessità ci parla di sistemi complessi che sono costituiti da parti che tra loro sono in relazione e tale principio di relazionalità fa sì che il tutto sia sempre superiore alla somma delle parti singolarmente prese. Per capirci faccio un esempio concreto. Proviamo a prendere in considerazione, per un istante, il fenomeno della migrazione umana (perché non vi è solo questa, vi è anche quella animale che però, a differenza di quella umana, per chi pratica la caccia è un momento atteso). Di per sé si tratta, per l'appunto, di un fenomeno, di una realtà che fa parte del nostro essere umani: siamo sempre alla ricerca di un posto migliore, di condizioni migliori, di una vita migliore. Questo fenomeno è però percepito e vissuto spesso come un «problema», come un qualcosa che inceppa e, per certi aspetti, infastidisce. Già da queste poche parole penso si possa comprendere che stiamo entrando in un territorio segnato da una certa complessità. Infatti, per restare a questo livello, potremmo già proporre dei «distinguo»: un fenomeno o un problema si studia, lo si affronta e lo si guarda da diversi punti di vista per comprenderlo in sé e per comprendere se e come questo ci riguarda, se ha qualcosa da comunicare, quali realtà comporta, da dove nasce e potremmo andare avanti. Se non teniamo conto della complessità e di tutto ciò che questo approccio comporta, arriveremo a «ridurre» il fenomeno a mero problema che riguarda una parte del mondo e non la sua totalità complessa. Ne abbiamo un esempio nelle scelte politiche e sociali messe in atto per dare una risposta a tale situazione. Un approccio puramente pragmatico (c'è un problema bisogna risolverlo e in fretta) è indice di scarsa, se non nulla, attenzione alla complessità dei fenomeni che attraversano la nostra società, il nostro tempo. Guardare al fenomeno migratorio e considerarlo alla stregua di «erbacce» che vengono a infestare il nostro giardino ben curato (a proposito di «erbacce»: credo converrà in seguito farci una riflessione: siamo proprio così sicuri che non abbiano nulla da dirci?) e che occorre estirpare con risolutezza è un approccio che non tiene conto della sua complessità o giunge, nei casi più deliranti, a rifiutarla tout-court (vedi il nostro vice-premier leghista).
Ho esemplificato di parecchio, a rischio di banalità, per cercare di far comprendere che abitare la complessità significa anche accettare un cambiamento di paradigma. In tale cambiamento, ai vecchi cari criteri che caratterizzavano il nostro mondo, quali ordine, equilibrio, certezza e linearità, per citarne alcuni, si affiancano, allo stesso livello, quelli di disordine, squilibrio, incertezza e non-linearità. Questo è il miscuglio che caratterizza il nostro mondo attuale, piaccia o meno. Per parte mia lo trovo interessante, provocante e anche positivo. Mi rimanda, infatti, dal mio punto di vista, a una dei testi più belli della Sacra Scrittura, ossia al libro della Genesi. Nel descrivere il processo della creazione (ci erano già arrivati: la creazione è un processo continuo, non un dato di fatto una volta per tutte), quando si parla della creazione degli esseri viventi nelle acque viene usato un verbo tradotto con «brulicare», che, nel contesto ben si adatta a tutte le altre specie. Gli agiografi avevano già intuito la presenza della «complessità» in questo «brulichio» che parla di caos, di disordine che però genera vita perché coglie e accoglie quegli «spazi di possibilità» che si aprono in maniera feconda.
Rifiutare la complessità significa rifiutare questi spazi di possibilità e condannarsi a diventare sterili, cioè a non favorire l'emergere della vita. Il compito che, in quanto umani, dovremmo vivere perché immersi in quel Fondamento dell'Essere, la Vita stessa, cui abbiamo dato nome Dio è proprio quello di favorire il brulichio, osando la sfida della complessità e i criteri che essa comporta. Fa sorridere, ma anche preoccupare, sentire personaggi politici al potere porsi come «semplificatori»: mostrano di non aver compreso, o meglio, di aver compreso fin troppo che abitare la complessità porrebbe un freno non da poco alla sfrenata voglia di potere che li conduce a pensarsi e manifestarsi come «salvatori», portatori di un'unica visione, che asfalta tutto e tutti, in nome di una ben precisa identità alla quale tutte e tutti devono piegarsi.
(fine parte II – continua).
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