Buongiorno
mondo! Il Maestro oggi ribadisce a chi oppone resistenza al suo messaggio che :
"Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io
faccio sempre le cose che gli sono gradite" (Gv 8,21-30). Il volto del Dio
di Gesù è quello di un Padre che si prende cura, che non abbandona mai, che si
fa compagno di strada, che sostiene e infonde vita e amore con abbondanza e
gratuitamente a coloro che lo accolgono. Solo chi condivide e fa propria questa
prospettiva è reso capace di "fare cose che a Lui sono gradite". Gesù
non sta parlando di opere generiche, di "fare un qualcosa" per gli
altri, ma sta parlando dell'orientamento fondamentale dell'esistenza:
"cosa gradita" è praticare un amore simile a quello del Padre,
assomigliare a Lui nel nostro stile di vita. È attraversare questa esistenza in
un atteggiamento di dono continuo, in tutte le situazioni che la vita stessa ci
pone davanti, anche quelle create da persone che con facilità consideriamo
perdute. Soprattutto con quelle. L'amore del Padre non conosce limiti, si fa
prossimo a tutte e a tutti e invita fare altrettanto, così come siamo, con le
nostre fragilità e le nostre paure e resistenze. Quanto più comprendiamo questo
tanto più sperimenteremo come il Padre stesso si prende cura di tutto questo e
ci risana, ci riempie dei suoi doni, ci rende capaci "di compiere cose
gradite". So che tanti sono preoccupati spesso della loro incapacità ad
aprirsi al perdono, al dono totale. Lo sa anche il Padre: non ci vuole perfetti
con uno schiocco di dita, ci vuole amanti, appassionati dell'umanità, capaci di
assumerci giorno dopo giorno la fatica gioiosa del crescere in questa
prospettiva; un percorso accidentato, difficile, ma "Colui che mi ha
mandato è con me e non mi ha lasciato solo": per questo osiamo, ci crediamo,
scegliamo di vivere così, anche in questi tempi dolorosissimi di COVID-19. Un
abbraccio a tutte e tutti. Buona vita.
martedì 31 marzo 2020
lunedì 30 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di
lei" (Gv 8,1-11) frase conosciutissima, forse la più conosciuta tra quelle
pronunciate da Gesù. Spesso è stata pronunciata da chi, poi, è corso a
raccattare le pietre che altri hanno lasciato cadere e approfittare così per
esercitarsi nello sport nazionale preferito: lancia il sasso e nascondi la
mano. Il grande insegnamento di Gesù ci porta dritti al cuore del Vangelo: il
giudizio del Padre è sempre un atto di misericordia. Papa Francesco, tempo fa,
ce lo ha ricordato: "Chi sono io per giudicare?". Non vuol dire
chiudere gli occhi su quelle situazioni di peccato che sviliscono la persona,
annientano la sua dignità imbruttiscono il volto dell'umanità. Gesù il peccato
lo guarda in faccia, ma con occhi di misericordia che sanno risanare, riaprire
alla vita. È uno sguardo che ridona dignità e libertà, che apre nuovi percorsi
e immette aria nuova. Le nostre comunità sono divenute spesso delle cave di
pietre a buon mercato pronte all'uso: basta sapere a chi chiedere e trovi tutte
li munizioni che vuoi. L'istituzione gerarchica stessa non ne è immune: altro
che Chiesa di persone! Spesso ci troviamo immersi in autentiche pietraie che
sono il frutto di anni di esclusione, di emarginazione, di abbandono. Sono
pietre ben scelte, lucidate dalla rigorosità della legge, levigate dall'aridità
di certa teologia che ormai non sa più nemmeno come si scrive la parola Padre.
Sono le pietre che gridano la sofferenza di tutte e tutti coloro che aspirano
alla bellezza e alla freschezza del Vangelo, che anelano alla vita, che
aspirano all'amore. Forse è davvero giunto il momento che ognuno guardi dentro
le proprie tasche e lasci davvero cadere per sempre le pietre che ancora vi
giacciono nascoste in attesa del bersaglio... Un abbraccio a tutte e a tutti.
Buona vita.
venerdì 27 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno mondo! Oggi il Maestro ci ricorda che "voi mi conoscete e
sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è
veritiero, e voi non lo conoscete" (Gv 7,1-2.10.25-30). Credo sia un
invito a non "metterci in tasca" Dio con troppa facilità: è facile
costruirsi un'immagine di Dio adatta ai nostri bisogni, un dio che funzioni a
seconda dei nostri desideri. Gesù ci invita sempre ad andare oltre, a non
accontentarci, a non credere di sapere. Penso che solamente così il Padre potrà
manifestare il suo vero volto, e noi non cadremo nella tentazione di
fabbricarcene uno a misura nostra. Facciamo dunque attenzione perché quando
circolano troppe monete false, anche le vere diventano sospette. Un abbraccio a
tutte e a tutti. Buona vita.
giovedì 26 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno mondo! Ecco cosa mi porto nel cuore del
Vangelo di oggi: "E anche il Padre, che mi ha mandato,
ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete
visto il suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non
credete a colui che egli ha mandato. (Gv 5,31-47) ".
Potremmo titolare queste righe così: la presunzione della conoscenza. Un conto
è sapere delle cose sul conto del Maestro, un conto è condividere con lui
l'intimità del discepolo amato. A volte ho l'impressione, senza voler per
questo giudicare o cadere nello stesso errore di presunzione, che
nell'esperienza della comunità ecclesiale si fa mostra di sapere tanto, di
istruzione a gogò, ma alla prova dei fatti tutto questo si rivela un buon
esercizio di studio (necessario, intendiamoci) ma alla prova dei fatti ognuno
resta con le sue convinzioni. L'esperienza della condivisione di vita con il
Maestro non è fatta di "Noi sappiamo, noi ti conosciamo" perché
questo porta spesso a ingabbiare il Maestro nelle nostre categorie e renderlo
così "docile" e facile da manovrare, adattando la dura chiarezza
della sua proposta alle nostre inerzie, alle nostre paure di perdere tutto, al
nostro "onore". Conoscere Lui significa entrare in una relazione di
intimità tale da accogliere quella forza che l'ha "spinto" a farsi
uno di noi: l'amore del Padre, che chiede di essere accolto e condiviso. I
discepoli non sono coloro che "sanno", ma coloro che vivono
trasmettendo non saperi di potere, ma scelte di servizio; non saperi di
possesso, ma percorsi di condivisione; non saperi di apparenza, ma fatiche
quotidiane nel vivere la verità dell'essere figli e fratelli. Un abbraccio a
tutte e a tutti. Buona vita.
mercoledì 25 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno mondo! "In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria" (Lc 1,26-38). Cominciamo bene: per la sua "entrata in scena" nel mondo Dio non poteva scegliere di peggio: Nazareth. Villaggio oscuro, nominato forse una volta nell'AT e per di più in quella regione di teste calde, nazionalisti all'estremo, che era la Galilea. Niente Gerusalemme, niente tempio, niente sacerdoti: solo gentaglia che di suo aveva anche un dialetto che li faceva subito riconoscere. Fin dall'inizio Dio ha le idee ben chiare: se passo da Gerusalemme mi "ingabbiano" ancor prima che pronunci una parola, mi mettono nei loro schemi religiosi e addio buona notizia. Ma ancor di più, al suo arrivo sceglie una coppia che già aveva fatto i suoi progetti (o quanto meno le famiglie già avevano siglato il patto per le nozze) e sbaraglia tutto infilandoci un figlio, il Figlio, che stravolgerà non solo le loro, ma anche le vite di quanti lo incontreranno e decideranno di seguirlo. Ecco come è fatto il nostro Dio: non parte da persone religiose, perfette, pronte all'uso, ricche di spiritualità e ripiene di santa teologia. Parte da chi noi non degneremmo di uno sguardo e da lì apre una storia che si fa sorgente di vita per chi sa accogliere senza pregiudizio il suo messaggio, senza la puzza sotto il naso di chi, dall'alto della sua religiosità, può permettersi di dire: "Cosa può mai venire di buono da Nazareth?". Ecco quello che può venire di buono: un Dio che sceglie di farsi uno di noi per farci come Lui. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
martedì 24 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! Oggi Giovanni nel vangelo ci narra la guarigione dell'uomo che da
trentotto anni era infermo. Dopo il fatto, quando incontra Gesù per la seconda
volta si sente rivolgere queste parole: "Poco dopo Gesù lo trovò nel
tempio e gli disse: "Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti
abbia ad accadere qualcosa di peggio" (Gv 5,1-16). Immagino già i vari
"soloni" della teologia da quotidiano (abilmente camuffati da mistici
mentre in realtà sono solo mistificatori: ogni riferimento è puramente casuale
e non voluto) gridare: "Visto! Avevamo ragione noi! Gesù guarisce
quell'uomo e gli chiede di non peccare per non ricadere malato. Quindi se siamo
malati è perché siamo castigati per i nostri peccati!". Già, peccato che
Gesù avesse chiesto a quell'uomo, guarito in giorno di sabato, di non peccare
più intendendo con questo il fatto di non rientrare più nel gioco sporco della
religione che opprime e non libera, quella religione che da 38 anno lo teneva
immobile (quasi un soprammobile ben in vista per testimoniare quel che succede
quando non è si è fedeli a Dio...), quella religione dove il posto di Dio è
preso da coloro che dovrebbero facilitare l'incontro con Lui e non impedirlo o
seppellirlo sotto tonnellate di leggi, leggine, divieti, prescrizioni,
attestati, certificati, timbri, firme, verbali e azzeccagarbugli di vario
genere. Gesù chiede a quell'uomo di starsene lontano da tutto questo: una volta
incontrato il Dio che libera, che ridona vita, che ripara la dignità offesa, che
rende il cuore capace di amare, ebbene, il peccato sta proprio nel tornare
dentro il fango della religione costituita e ingabbiare così il cuore del
Padre, trasformandolo di nuovo in un dio che chiede incessantemente e non in un
Padre che dona senza riserve. 38 anni... una vita. Quanta strada ancora. Un
abbraccio a tutte e tutti. Buona vita.
lunedì 23 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! Al funzionario del re che chiede aiuto per il figlio malato, Gesù
risponde con queste parole: "...Se non vedete segni e prodigi, voi non
credete..." (Gv 4,43-54). Credo che queste parole siano di un'attualità
sconcertante e definiscano bene la realtà religiosa (o pseudoreligiosa) in cui
tanti si dibattono. Non ci interessa capire cosa il segno indichi, ma vogliamo
a tutti i costi un segno, un prodigio che ci permetta di dire: "Io
c'ero!". I segni che Gesù opera non sono fatti per sbalordire, per
convincere, per crearsi degli adepti. Sono segni che indicano l'obiettivo della
sua esistenza: rivelarci il volto del Padre e proporci di assomigliare a Lui
nel praticare un amore simile al suo. Per questo in un altro passo Gesù stesso
dice che se entriamo in tale percorso di fede faremo "... dei segni anche
più grandi di quelli" che ha fatto Lui. In fondo, la proposta è uscire
dalle sabbie mobili del prodigioso a tutti i costi ed entrare nella dimensione
dove più che fare segni, diventiamo segni noi stessi. Segni che indirizzano
umilmente, con le nostre fragilità, al volto di un Padre che svela giorno dopo
giorno il suo sogno: fare di tutti e di ciascuno dei figli e del mondo una casa
dove respirare a pieni polmoni aria ricca di vita, di amore, di perdono. Un
abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
domenica 22 marzo 2020
Ciechi vedenti o vedenti ciechi? (Gv 9,1-41)
Migliaia, anzi no, milioni e
milioni di anni fa una Voce si fece suono nell'universo nero e freddo: "Yehî ’ôr", "Sia
luce!". Un suono composto di aspirate e vocali, quasi un soffio, che prima
di spegnersi tremolante accende la luce, si fa luce.
Lezione numero uno: il Creatore sceglie di limitare la sua
"onnipotenza" con l'uso della parola, una Parola che illumina. E dove
vi è luce/parola trova posto la vita.
Duemila anni fa, la stessa Parola
prende carne in un uomo, Gesù di Nazareth, e la Storia si riaccende. La stessa
Parola, ora fatta carne, questa volta si muta in un gesto silenzioso: fango,
saliva e… di nuovo "Yehî ’ôr",
il cieco entra nella luce.
Lezione numero due: il Creatore ama talmente noi, sue creature che non sopporta le nostre sofferenze:
ci vuole integri, sani, felici.
Eppure qualcosa non quadra, sembra
esserci una nota stonata in questa sinfonia di creazione. Coloro che affermano
di conoscere a menadito il Creatore, coloro che si ritengono i suoi
rappresentanti ufficiali dichiarano che questo non è possibile: Lui ci vuole
felici sì, ma a patto che osserviamo le regole che loro ci trasmettono e che,
parola, provengono direttamente da Lui. Loro sanno, per loro è evidente e
chiaro che "quel tipo" sta trasmettendo un messaggio falso e
ingannatore. Tra il Creatore e quel falegname c'è un abisso. Non è
assolutamente vero quel che afferma: la cecità è il prezzo del tradimento della
Legge commesso da lui o da suoi, poco importa. Chi pecca non fa parte della cerchia,
della casta dei prediletti, dei beneamati, degli eletti del Creatore. Ne siamo
certi per il fatto che noi… vediamo chiaramente.
Lezione numero tre: la presunzione di vedere sempre e tutto con
chiarezza è sintomo sicuro di grave cecità.
Siamo partiti da milioni di anni
fa, siamo passati a duemila anni fa e ora arriviamo a noi.
Forse, ma dico forse, potremmo
essere anche noi tra quelli che credono di possedere un'ottima vista. Con
troppa facilità ci siamo adeguati alla visione del "se è così è perché Dio
lo vuole", quando va tutto bene. Ma adesso? In questo oggi in cui tutto
sembra sgretolarsi, funziona ancora
così? Siamo cresciuti convinti, certi di possedere l'unico modello di sviluppo
valido per tutti: chi sta "dietro", chi sta "indietro" deve
adeguarsi, deve prenderci a modello (a spese sue, certo, la fatica l'abbiamo
fatta anche noi prima… noi o chi per noi…). Siamo andati avanti credendoci
"padroni della luce", cioè "signore della vita" (nostra e
soprattutto altrui) ed ora ci troviamo a dover tendere le mani in avanti perché
ci rendiamo conto di essere ciechi che cadono sbattendo qua e là, senza più i
punti di riferimento sicuri di una volta.
Lezione numero quattro: non siamo "i creatori" ma umili
custodi della creazione, un dono che ci è affidato e di cui non siamo padroni.
Che fare? Bella domanda, direbbe
qualcuno. Quella Parola che si è fatta carne parla ancora, a volerla ascoltare.
Parla e ci dice: riconoscete di essere dei ciechi, fatevi guarire e imparate a
guardare il mondo, la storia e le persone con gli stessi occhi del Creatore.
Occhi che guardano in maniera
nuova, occhi che si prendono cura; sguardi che non passano sulla storia e sulle
persone con noncuranza o indifferenza, Occhi che non si posano famelicamente
sull'altro per trarne profitto, occhi che esprimono compassione e perdono.
Occhi che sussurrano, senza imporsi, un mite e dolce "Yehî ’ôr", sia luce nella tua vita sorella e
fratello. Occhi che dicono con dolcezza: "Fatti luce con me".
Lezione numero cinque: siamo sempre in tempo.
Don Luciano
sabato 21 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! "Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser
giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio a pregare: uno
era fariseo e l'altro pubblicano..." (Lc 18,9-14).
Arcinota
parabola, tanto che ogni fariseo oggi la usa per proclamarsi pubblicano,
cadendo nello stesso ridicolo errore: "Io non sono come quel fariseo
là...". Questa perla di parabola però tocca il cuore del Vangelo e la
conversione che ne segue: tratta del passaggio dalla religione alla fede, cioè
da quel rapporto con Dio in cui io sono preoccupatissimo far qualcosa per Lui a
un rapporto in cui accolgo ciò che Lui fa per me. Verissimo in questo contesto
quanto afferma con chiarezza il mio amico Alberto Maggi: Dio non volge il suo
sguardo ai meriti delle persone ma ai loro bisogni. I meriti (o supposti tali)
li possono avere alcuni, ma non tutti; bisogni invece ne hanno tutti e su
questi Dio posa il suo sguardo compassionevole. Quindi la parabola non è un
invito a quella umiltà melensa che diventa occasione di fariseismo (sono umile
e me ne vanto!), ma una proposta a cambiare il nostro rapporto col Padre: da un
Dio che esige, a un Padre che dona e chiede di fare altrettanto, da un Dio che
vuole dei fedeli, a un Padre che apre la sua casa a dei Figli. Un abbraccio a
tutte e a tutti. Buona vita.
venerdì 20 marzo 2020
Lettera a Matteo
Carissimo Matteo,
che il tuo cognome
sia Salvini o Renzi poco importa: scrivo a te che rappresenti, in un qualche
modo, una delle anime che rappresentano questo nostro paese.
Siamo stanchi, ti/vi
assicuro, stanchi e impauriti. Ci sentiamo indifesi, inermi (etimologicamente
"senza armi") in questa battaglia contro quel piccolo esserino che ha
stravolto le nostre vite.
Ti/vi scrivo da
questa terra di lacrime e dolore che è diventata Bergamo in questi giorni, la
mia Bergamo, dove anche il dolore della perdita di parenti, amici e conoscenti
non conosce il tempo dell'addio, di quell'ultimo percorso doloroso che
accompagna al camposanto e che in qualche modo fa percepire la morte non come
chiusura definitiva ma tappa di un cammino che tocca tutti e ciascuno.
Ti/vi sento in
questi giorni parlare, parlare e parlare ancora. Ognuno di voi due
"vende" o "svende" la sua proposta come la migliore, quasi
fosse una gara per decidere chi di voi può indossare la veste del salvatore,
per decidere chi tra voi ritiene di avere la soluzione al problema.
Ve le siete giocate
tutte pur di farvi sentire: prima aprite tutto, poi chiudete tutto. Prima no
alla Cina, poi grazie alla Cina. Prima il Governo è inefficiente, poi il
Governo funziona se fa quel che diciamo noi. Suvvia, basta.
Non avete compreso ancora che noi oggi abbiamo
bisogno di silenzio e di lavoro silenzioso (e parlo di lavoro riferendomi
all'uno e di silenzio riferendomi all'altro).
Chi vi scrive
impegna la sua esistenza ogni giorno proprio con chi non ha voce e con coloro
che voi non avete tempo di ascoltare perché non fanno parte di quelli che
entrano in cabina.
Io parlo per chi in
questi giorni rischia sanzioni perché non può stare a casa per il semplice
fatto che casa non ce l'ha e fa parte di quell'Italia ferita di cui fa parte
ciascuno di noi.
Parlo anche a nome
di quelle famiglie e persone che stanno lottando per la vita ma anche e
soprattutto di coloro che sono alle prese con il dolore della perdita, del
lutto "non vissuto" perché non han più visto chi fino a poco prima stava loro accanto e che tornerà solamente in una piccola urna da
seppellire.
Parlo per tutte e
tutti coloro che in questo momento sono stanchi e nauseati delle vostre piccole
beghe, delle vostre soluzioni populiste, del vostro ergervi davanti a noi come
uomini forti che pensano al posto nostro e conoscono il meglio per noi.
Vi prego: usate la
mascherina per stare in silenzio e per lavorare umilmente.
Imparate a
rispettare i tempi del silenzio.
Imparate a
rispettarci nel dolore che attanaglia le nostre vite.
Abbiamo bisogno di
testimoni silenziosi, non di politicanti parolai che concimano il loro
orticello con il nostro dolore.
Abbiate pietà di
noi: mettete la mascherina e fate silenzio. Farete del bene a voi e anche a
noi.
Fraternamente, buona
vita.
Don Luciano.
Buongiorno
Buongiorno
mondo! Oggi uno scriba si avvicina la Maestro per porre la domanda: "Qual
è il primo di tutti i comandamenti?" (Mc 12,28-34). Era abitudine tra le
varie scuole confrontarsi su tale problema, e la prevalenza nelle risposte
assegnava alla legge sull'osservanza del sabato la preminenza. Gesù nella sua
risposta ("Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico
Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la
tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo
tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi")
riporta Israele al cuore della sua esperienza, dove l'amore a Dio, (il Dio
creatore e liberatore, non il Dio legislatore quello della casistica ma il Dio
della tradizione profetica), si innesta in quello all'uomo: una professione di
fede che si incarna e si verifica (si fa vera, verificare, verum facere) nella
dimensione più squisitamente etica. Anche lo scriba riconosce la veridicità di
tale affermazione (per quanto nella sua risposta resti sempre ben ancorato
all'interno del recinto della sua ortodossia, per esempio guardate come non
riesce a personalizzare il rapporto con Dio, lasciandolo all'impersonale...).
Gesù lo invita ad andare oltre, a superare la barriera del legalismo, dicendogli
che non è lontano dal modo di "regnare" del Padre. Per questo Gesù
affida ai suoi, superando così il punto più alto della spiritualità ebraica, un
solo e unico comandamento: “Amatevi gli uni gli altri…” Non sappiamo come sia
finita con lo scriba. Sappiamo però che tale invito è rivolto a noi oggi: ce la
facciamo a superare le esitazioni e a passare la soglia? O preferiamo restare
"prossimi" senza però troppe compromissioni? Un abbraccio a tutte e a
tutti. Buona vita.
giovedì 19 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno mondo!
Oggi nella liturgia si festeggia San Giuseppe, che la classica iconografia ha
spesso dipinto come un simpatico vecchierello, preso da Dio per dare una
famiglia a Gesù, che fa una brevissima comparsa nei vangeli cosiddetti
dell'infanzia, e poi, misteriosamente, scompare nel nulla. Il vangelo di
Matteo, che si legge oggi, narra così: "... Giuseppe suo sposo, che era
giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però
stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del
Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te
Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.
Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo
popolo dai suoi peccati».Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva
ordinato l'angelo del Signore.(Mt 1,16.18-21.24a)".
Giuseppe era un
"giusto", cioè uno stretto osservante della Legge e per questo un
acceso nazionalista. L'osservanza dei giusti si pensava accelerasse l'arrivo
del Messia che avrebbe liberato dall'oppressore romano e ricostituito il Regno
d'Israele. Quindi Giuseppe, il Giusto secondo la Legge, sceglie di infrangere
la Legge stessa (decise di licenziarla in segreto, al posto di denunciarla come
la Legge obbligava) per fare spazio a Dio. Giuseppe il Giusto, apre la strada
al Figlio del Padre che rinnova il suo rapporto con l'umanità: non più un Dio
che governa emanando leggi, ma un Padre che apre la sua casa e invita a entrare
nella creazione dell'uomo nuovo. Il "Figlio" di Giuseppe il Giusto
sbriciolerà la vecchia religione per aprire la via all'esperienza della fede
che offre alla vita di chi accoglie tale dono una qualità nuova: la stessa
condizione divina.
In questi tempi di
COVID-19 penso alle traversie e alle sofferenze che Giuseppe avrà pur dovuto
subire; penso al fatto che anche lui, come Maria, sarà rimasto incredulo
vedendo come gli stava venendo su quel Figlio, finito poi mica tanto bene.
Con lui e in lui
un ricordo particolare a tutti i padri oggi in sofferenza, ai nostri qui e ai
padri senza più lacrime scappati dalla guerra in Siria e ammassati alla stregua
di animali in Grecia. Pensiamoci: che umanità vogliamo costruire?
Un abbraccio a
tutte e a tutti. Buona vita.
mercoledì 18 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno mondo!
Ecco le parole del Maestro nel vangelo di oggi: "Non pensate che io sia
venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare
compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non
passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà
agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli.
Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel
regno dei cieli" (Mt 5,17-19). Gesù parla in questo modo subito dopo aver
proclamato le Beatitudini e a queste bisogna far riferimento per intendere
rettamente quanto vuol dire. In un certo senso è una dedica a tutti i
nostalgici di "ordine e disciplina", ai cultori dello “Iota Unum”, a
tutti coloro che identificano il Dio di Gesù nel Dio legislatore che dai suoi
fedeli pretende obbedienza cieca e assoluta, pena la dannazione eterna.
"Legge e Profeti" sono compresi e superati dalla proposta che Gesù fa
nelle Beatitudini. I "precetti minimi" cui fa riferimento, infatti,
son proprio le beatitudini e niente altro. Chi volesse intendere che Gesù
faccia riferimento alle minuziose prescrizioni della Legge è completamente
fuori strada. L'ostinazione di chi ancora oggi continua a credere in una
visione conciliante tra la legge antica e quella proposta da Gesù non è nella
linea proposta da Gesù. Per certi aspetti, anche il Decalogo viene “compiuto”:
davanti alle Beatitudini le Dieci Parole il cedono il passo. Perché allora
continuiamo a proporre "esami di coscienza" fondati sul Decalogo? Noi
continuiamo a far esplorare minuziosamente le coscienze, con precisione
chirurgica, mentre le Beatitudini invitano ad assumere uno stile di vita ben
diverso. Uno stile in cui da "fedeli" si è invitati a diventare
"figli"; dove lo stile di vita non è più orientato all'obbedienza, ma
all'assomiglianza all'amore del Padre. Eppure Gesù ha pagato con la vita la sua
proposta! Al dolore causato da COVID-19 si aggiunge in questi giorni anche
quello di vedere come siamo ancora attaccati a una visione religiosa della vita
che sfiora la superstizione: richieste di chiese aperte quasi che Dio sia
solamente lì, di sacramenti da ricevere per "garantire il diritto di
andare in paradiso" (sentita su Radio24!!!). Non so più per cosa piangere…
Un abbraccio e buona vita a tutte e a tutti.
martedì 17 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno mondo!
"
"In quel tempo,
Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette
colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E
Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte
sette. (…) Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di
cuore, ciascuno al proprio fratello»" (Mt 18,21-35).
Pietro, rendendosi
conto che seguire questo Maestro non è
poi cosa così scontata, vuol vederci chiaro. È un po' come noi: davanti a una
proposta, che so, assicurativa che a prima vista sembra allettante e capace di entusiasmarci,
prima di firmare le "carte" ci ripigliamo e andiamo a cercare le
famigerate "righe piccole" (quelle che prima o poi ti fregano
sempre). Anche Pietro, che comincia appena a mandare giù il fatto che questo
Messia non è come se lo immaginava lui (o forse come lo desiderava) tocca un argomento
delicatissimo, per i suoi tempi come per i nostri: il perdono. A chi e quante
volte?
A chi? "Se mio
fratello"… Pietro ha già lasciato fuori una buona fetta di gente: per
esempio gli odiati Romani (e che è? So' fratelli questi? Ma neanche per sogno!
Sono invasori. E gli invasori mica li si perdona: per quelli c'è un altro
trattamento…). Comunque sia, resta il problema del "quante volte" a
chi considero "fratello", cioè uno della mia cerchia, della mia
comunità (magari agli altri si pensa dopo…vediamo). La risposta del Maestro è
radicale: "Sempre!" (questa è una delle volte in cui avrei voluto
esserci per vedere la faccia di Pietro…). Perché così? Perché senza misura
alcuna? Perché il perdono è uno stile di vita: non è un vestito che ti metti in
un momento e poi lo rimetti nell'armadio. Il perdono è lo stile del Padre, è il
suo modo di relazionarci con noi. Ogni istante assume le nostre fragilità e le
perdona perché questa è la sua essenza: non può fare né aire altrimenti.
Occorre dunque comprendere bene il senso dell'ultima espressione di Gesù perché
queste parole determinano, in ultima analisi, il senso del nostro essere
discepoli del Maestro stesso. Il perdono che il Padre ci offre non verrà mai a
mancare, ma ci è affidato perché attraverso noi raggiunga tutte quelle
situazioni e persone che col perdono devono essere risanate, guarite. È inutile
"sentirsi perdonati", accogliere il perdono su di noi se poi questo
resta in noi. Se lo tratteniamo lo rendiamo sterile, infruttuoso, oserei dire
anche inutile. Il perdono che ogni istante ci viene offerto è perché a partire
da questo "informiamo", diamo forma alle nostre relazioni personali,
come e con Lui.
Io che scrivo queste
parole mi rendo conto di quanto ancora sia lontano da uno stile di vita come
questo. Ma lo ripeto ogni giorno a me stesso: non vi è altra via per vivere da
figlio: assomigliare al Padre per costruire la fraternità di coloro che osano
ancora credere al perdono come unica via per diventare pienamente umani. Questo
è realizzare quella "somiglianza" originaria che deve essere
ricomposta con "l'immagine" che Lui vede ogni volta che ci guarda. In
questo modo anche ai nostri "Romani" attuali, a coloro che non
consideriamo fratelli, offriremo
l'abbraccio del perdono.
Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita,
sempre e comunque.
lunedì 16 marzo 2020
Buongiorno mondo
Buongiorno mondo! Nel Prologo del Vangelo di Giovanni troviamo scritto che "venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto". Luca, nel vangelo odierno,ci fa sapere che a Nazareth, in mezzo ai suoi, non è andata molto bene, tanto che il Maestro se ne esce con queste parole: "In verità vi dico: nessun profeta è bene accetto in patria" (Lc 4,24-30). Già, la tentazione dei suoi compaesani di gestire la faccenda, di utilizzare Gesù (è uno dei nostri!)per ridare lustro al paesello (tu fai i miracoli, noi pensiamo alla gestione) e per rinnovare lo spirito nazionalista contro i Romani era ben presente. È un po' quello che succede anche tra noi, quando tiriamo in ballo il Maestro per giustificare le nostre idee, per portare avanti i nostri progetti. Non si andò alle Crociate gridando a squarciagola "Dio lo vole!"? E anche ai tempi nostri succede che prima si fanno progetti pastorali, si dettano linee programmatiche, ci si inventano programmi "per salvare la fede", poi si piglia il Vangelo e si cerca di metterlo d'accordo con quanto pensato. Coloro che accettano la via del Maestro, Lui che è l'unica Parola del Padre,incontrerà spesso resistenze che provengono proprio dalle persone religiose. Ma Lui non vuole pia gente religiosa, lui vuole uomini e donne di fede, che sanno osare anche l'opposizione di chi seduto in cattedra sproloquia a proposito e a sproposito per difendere una visione di Chiesa ormai morta e defunta. “Venite a me, voi che siete stanchi e oppressi”… non è un invito di pura consolazione: è una chiamata a condividere la via dura del Maestro, con Lui e come Lui. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
domenica 15 marzo 2020
Acqua viva per noi, assetati di vita
“Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”
(Es 17,7b): la domanda posta a Massa e Meriba dal popolo assetato risuona nei
cuori di tanti di noi in questo tempo in cui siamo messi alla prova da
COVID-19.
Tante
certezze, tante sicurezze sono state sbriciolate da questo microscopico
esserino che si è incuneato nelle nostre vite. E il lamento nella sofferenza,
come per Israele nel deserto, sale e si trasforma in dubbio: “il Signore è in
mezzo a noi sì o no?”. La certezza di avere sempre questa Presenza “a portata
di mano” (o di chiesa), la sicurezza di essere protetti perché “in regola” e
“certificati” come buoni osservanti, la presunzione di possedere il “Nome”
quasi fosse un talismano da invocare in caso di pericolo o di bisogno, ebbene,
tutto questo vacilla e ci fa sentire ancora più soli e nudi.
Ora,
la domanda che in tanti si pongono
diventa, ancora una volta, occasione per scavare il proprio pozzo e cercare di
fare verità. Ben venga allora il dubbio, la fatica della ricerca fatta non
tanto per chiedersi se il Signore sia in mezzo a noi, ma per domandarsi “quale” Signore desideriamo in mezzo a
noi!
Israele
ha dovuto confrontarsi per un lungo periodo di tempo con questo Nome
impronunciabile e questo Volto inafferrabile. Ha dovuto apprendere, dalle voci
dei profeti, che non basta essere formalmente osservante per costruire
un’alleanza/relazione autentica con quel Dio che si è preso sulle spalle la
sofferenza del suo popolo per camminare con lui, ma a modo suo, non secondo i
desiderata del popolo. Israele ha conosciuto la tentazione di costruirsi il suo
Dio, ha cercato di “informarlo”, cioè di dargli la forma che fosse più immediatamente
fruibile e adatta ai propri usi, consumi e bisogni. Lo stesso Dio però ricorda
a Israele e a noi che “i miei pensieri
non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8).
In
questi giorni abbiamo un’occasione preziosa per pensare e ripensare al nostro
rapporto con Lui. E in questo frangente non dobbiamo temere di confrontarci con
dubbi e paure. Inutile piangersi addosso perché vi sono chiese chiuse o
Eucaristie e non celebrate: è l’eterna tentazione del “Dio a portata di mano”
che emerge e ci impedisce di cercare Colui che comunica “in Spirito e verità”.
Arriviamo
così al bellissimo testo del Vangelo di oggi, laddove Giovanni ci narra
l’incontro al pozzo di Sicar tra Gesù e la donna samaritana (Gv 4,5-42). Una
donna, la samaritana, che oggi in particolare diviene icona di una Chiesa che
ha bisogno di ritrovare e annunciare l’unico e autentico Volto di Dio: quello
incarnato in Gesù di Nazareth.
Quell’incontro
avvenuto 2000 anni fa riverbera la sua potenza e profondità fino al nostro
oggi. Ci mette di fronte allo sforzo inutile di placare la nostra sete di vita scavando
cisterne screpolate che offrono un’acqua che non disseta ma che, al contrario,
alimenta sempre più la nostra sete. La samaritana è icona di ciascuno di noi
che confondiamo lo Sposo con un Baal/marito che ci siamo costruiti a nostro uso
e consumo, un idolo che abbiamo posto dentro un edificio e che solo lì deve
restare affinché siamo certi di trovarlo al bisogno. Gesù invita quella donna,
noi dunque oggi, ad andare oltre, ad oltrepassare il tempio (che sia a
Gerusalemme o sul Garizim) e a scavare “in Spirito e verità” il nostro pozzo,
abbandonando quell’acqua putrida con cui l’idolo continua ad avvelenare la
nostra vita.
Questo
tempo così dolorosamente segnato dalla sofferenza e dalla vulnerabilità è
davvero un “kairòs”, faticoso ma benedetto, in cui “distruggere questo tempio”
per ritrovare una più autentica relazione con Dio.
Questo
ci aiuterà forse a comprendere che quel Dio che tanto stiamo invocando e che
riteniamo confinato in un edificio, ci ha già preceduto altrove: è davvero in
mezzo a noi e lo troveremo là dove la sofferenza devasta la nostra umanità,
inginocchiato a servire le sue figlie e i suoi figli nuovamente e continuamente
incarnato in chiunque oggi si fa servo della vita dell’altro, per amore,
null’altro che per amore.
Ritrovando
il Dio di Gesù in questo modo anche le
nostre comunità potranno essere pozzi di acqua che disseta e non cisterne
fangose che soffocano e alienano. Ne va della nostra umanità e del Suo buon
Nome.
Don
Luciano
venerdì 13 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! Alla fine della parabola dei vignaioli omicidi il Maestro lancia questo
monito: "Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un
popolo che lo farà fruttificare" (Mt 21,33-43.45 ). Inutile stare a cavillare: sono parole dure rivolte
a una comunità che ha perso il significato della sua esistenza. Ogni volta che
pensiamo di farci padroni della "vigna", ogni volta che pensiamo di
appropriarci della verità perché "noi sappiamo cosa è meglio", ogni
volta che agiamo pensando di fare meglio del Padre, allora perdiamo il senso
della nostra esistenza; abbiamo dimenticato che "siamo semplicemente
servi" sulle strade del Figlio dell'Uomo che è venuto per servire e non
per essere servito. Troppe volte ce ne stiamo a guardare, sconsolati perché le
cose "non sono più come una volta", troppe volte alziamo muri e
barriere per la paura di perdere "il poco che resta". Ma così facendo
la vigna va in rovina e non può più produrre il vino nuovo del vangelo e
rischia solo di produrre aceto e per di più stantio. Ci è stato fatto il dono
di essere portatori della buona notizia che il Padre accoglie tutti, che il suo
amore è per tutti; nessuno ci chiede di tagliare rami che consideriamo secchi:
questo è un lavoro che farà l'amore del Padre. A noi è chiesto di produrre il
buon vino della compassione e della misericordia. Mettiamoci al lavoro, prima
che la vigna passi ad altri.
Inoltre ai farisei "seccati" per le sue posizioni, il
Maestro ricorda che "la pietra che i costruttori hanno scartata è
diventata testata d'angolo". È un invito a saper andare oltre le
apparenze, a saper essere persone "intelligenti", che sanno guardare
dentro la vita e non accontentarsi della superficie. Riprendiamoci l'uso del
pensiero, la libertà di sperimentare e sperimentarsi in novità di vita,
evitando di lasciarci intrappolare dalla rete del "tutti pensano
così" e del "si è sempre fatto
così". La Tradizione non è una sterile ripetizione del passato, un moto
nostalgico del tempo di prima. Tradizione è saper ritrasmettere in modo sempre
nuovo la freschezza del Vangelo. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona
vita.
giovedì 12 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! Se ieri il Maestro chiedeva ai suoi non di operare dei servizi ma di
essere servi al servizio della vita, oggi esemplifica tutto questo con una nota
parabola: "C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti
i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla
sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla
mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe" (Lc
16,19-31). È un bel ritratto della nostra umanità dove i ricchi sono sempre più
ricchi e i poveri sempre più poveri. Ma i grandi scenari, le visioni
macroscopiche affondano le loro radici nel microcosmo delle nostre comunità,
delle nostre singole scelte. Ogni passo compiuto nell'indifferenza mascherata
da false paure dell'altro, intrisa di pensieri del tipo "tanto io cosa
posso risolvere?", contribuisce alla creazione di nuovi poveri. Ogni
comunità che celebra l'Eucaristia senza rendersi conto del "Lazzaro"
che sta alla sua porta è una comunità che non celebra la cena del Signore ma
partecipa al lauto banchetto del ricco, troppo impegnato a
"riempirsi" per vedere gli altri. E se di questi tempi l’Eucaristia
ci è forzatamente tolta io resto dell’idea che non tutto il male vien per
nuocere… Il ricco non è cattivo, ma peggio: è indifferente. Il ricco è l'esatto
contrario del Padre che Gesù è venuto a rivelare: il ricco è talmente preso da
se stesso che non si avvede dell'altro; il Padre è talmente preso dall'altro
(da noi) che vuole farlo come sé. E noi da che parte stiamo? Un abbraccio a
tutte e a tutti. Buona vita.
mercoledì 11 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! Oggi il Maestro ci propone di condividere il sogno di Dio nella
costruzione di un mondo nuovo. Mondo caratterizzato da relazioni che si fondano
sulla disponibilità a mettersi a servizio: "...colui che vorrà diventare
grande tra voi, sarà vostro servitore, e colui che vorrà essere il primo tra
voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo,che non è venuto per essere
servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt
20,17-28). La proposta di Gesù non è una semplice e pia esortazione a
"fare un po' di bene", ma un invito ben chiaro a dare un orientamento
ben preciso alla propria esistenza: è un invito a giocarsi a fondo la vita
nella libertà che nasce dal servizio. E perché non si cada nella trappola di un
"semplice fare qualcosa", di "compiere qualche buona
azione" o mettere sul registro della suora di turno la stellina per il
"fioretto fatto" (ve lo ricordate?), Il Maestro ci ricorda che
servire non è dare qualcosa ma offrire se stessi, fare della propria esistenza
un dono continuo e quotidiano. Quindi, sorelle e fratelli, facciamo attenzione
a non cadere nella tentazione del semplice "fare" per sentirci
"a posto": la questione qui è più profonda, perché tocca il nostro
essere, la scelta di uno stile di vita decisamente diverso, dove condivisione e
servizio, dono di sé e prossimità sono i pilastri fondanti il nostro percorso
quotidiano perché il Padre, Lui stesso, opera in questo modo, non servendosi
dell’uomo ma mettendosi a servizio dell’uomo. Un abbraccio a tutte e a tutti.
Buona vita.
martedì 10 marzo 2020
Buongiorno!
Buongiorno mondo! Parole dure quelle del Maestro nel vangelo odierno.
"Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi
dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono
e non fanno" (Mt 23,1-12). Mosé ha cercato di dare al popolo una legge che
portasse alla nascita di una nazione in cui giustizia e diritto potessero
risplendere come un faro per tutti gli altri popoli. Una volta che la Torah è
diventata appannaggio esclusivo di "scribi e farisei", questi l'hanno
ridotta a un puro mezzo per conquistare potere sul popolo, creando così
situazioni gravissime di ingiustizia... sempre "in nome di Dio".
Nella comunità di Gesù non c'è posto per logiche di questo tipo. Non vi sono
"studiati" che impongono e "popolino" che deve solamente
ubbidire "perinde ac cadaver" (allo stesso modo di un cadavere). La
comunità di Gesù nasce a servizio dell'uomo per aprire spazi al Regno, ossia al
modo di essere presente di Dio nella storia, comunicando il suo amore a tutti e
a ciascuno. Non abbiamo bisogno di maestri, ma di sorelle e fratelli testimoni
di tale amore. Come sempre il Vangelo chiede di posizionarsi: mendichiamo un
posticino presso una qualche "cattedra" per un po' di potere, o
lavoriamo per il bene dell'uomo comunicando l'amore del Padre che si fa
servizio? Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
lunedì 9 marzo 2020
Buongiorno mondo!
Buongiorno
mondo! Il nostro percorso quaresimale viene oggi illuminato da un'altra parola
del Maestro che ribadisce la necessità di vivere la vita e la fede nella
somiglianza al Padre: "Siate misericordiosi, come è misericordioso il
Padre vostro" (Lc 6,36-38). È la via della vita, fatta di gesti di misericordia
e accoglienza che apre spazi all'azione risanatrice del Padre. È la via maestra
per quella società nuova che nasce dal cuore amante dell'Uomo della Croce
Risorto che vive per sempre con noi e ci accompagna nella realizzazione del
sogno di Dio sull'uomo. Qualcuno potrebbe pensare che essere misericordiosi sia
mostrarsi deboli. È proprio di questa "debolezza" che abbiamo bisogno
se vogliamo cantare quel canto nuovo di cui parla il salmista. Ma per cantare
il canto nuovo occorre essere donne e uomini nuovi, nel cuore e nella vita. Un
abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
domenica 8 marzo 2020
La “Trasfigurazione” ai tempi del Covid-19
“Dopo sei giorni”
è preludio al settimo giorno, rimanda al compimento della creazione: il “riposo” di Elohim che si fa invito all’umano perché sia custode di
quanto gli viene affidato. È l’invito a realizzare il compito di “somiglianza” che sgorga dal dono “dell’immagine”. Nella
Trasfigurazione, il Figlio si propone come modello dell’umano che risponde
all’invito.
Per far questo Gesù “si
trasforma” davanti ai suoi. Il termine usato da Matteo è “metamorfosi” e ci offre un rimando
interessante. Nella mitologia religiosa pagana spesso le divinità si
divertivano ad assumere forma umana (pensate a Zeus e alle sue molteplici
“trasformazioni” per soddisfare i suoi capricci e mettere un cespuglio di corna
alla moglie!) Nella Trasfigurazione del Figlio è il contrario: è l’umanità di
Gesù che assume i tratti del divino: il volto di quel carpentiere di Nazareth “s’illumina d’immenso” per fare
intravvedere il senso del cammino di ogni uomo: diventare trasparenza del
divino. In altre parole: è la realizzazione piena di quella “somiglianza” che ci identifica con “l’immagine” di cui ciascuno è
portatore.
Ecco allora la reazione di Pietro: “È bello per noi essere qui”. In effetti, per quanto si possa
dubitare che Pietro abbia veramente compreso in profondità, le sue parole
illuminano il cammino. “È bello” perché il Volto
trasfigurato di Gesù ci permette di contemplare quella Bellezza originaria per la quale siamo stati creati e che, giorno
dopo giorno, è nostro compito cercare, svelare e realizzare.
Torno su quanto ho scritto in “Sine dominico non possumus?”. L’assenza forzata di Eucaristia
domenicale ci ha fatto entrare nel deserto per permetterci di guardare
quell’idolo impastato di potere, avere e prestigio che risiede nei cuori di ciascuno
di noi. Oggi, sempre in assenza “benedetta” di Eucaristia, possiamo salire sul
monte per comprendere lo scopo della lotta nel deserto: essere trasfigurati. Ci
siamo resi conto, nel deserto, di quanto l’idolo ci ha “de-figurati”, di come e quanto l’idolo ha distorto svilito la
nostra umanità e la Sua immagine. Ora è tempo di alzare lo sguardo per vedere
il fine, non la fine, del nostro camminare.
È allora il tempo di entrare nella “nube luminosa” per ascoltare la Voce.
Troppo abituati e attaccati alle nostre distorte immagini
divine è giunto il tempo di reimparare ad ascoltare Colui che è Voce e si fa Parola nella vita del Figlio.
Anche oggi, dunque, l’assenza di Eucaristia diventa “Shekhinah”. Questo termine, che
potrebbe essere tradotto con “dimora” ma anche “presenza”, indicava, nella
tradizione dei rabbini, lo spazio vuoto posto fra i due cherubini che stavano
sul coperchio dell’arca dell’alleanza.
Ecco, forse questo tempo in cui COVID-19 ci obbliga
all’assenza di Eucaristia, potrebbe essere letto così: un kairòs, un tempo privilegiato per imparare a relazionarci in
maniera più corretta e autentica con Dio e la sua presenza “a modo di Shekhinah”, spogliandoci così
da ogni pretesa di possesso e accettando questo processo di “de-figurazione”
per essere “trasfigurati”.
Risuona oggi un imperativo: “Ascoltate lui!”. Ascoltare, biblicamente parlando, è intimamente
connesso a obbedire. Ma non si tratta qui di obbedienza “perinde ac cadaver”. È
un obbedienza che nasce dalla fiducia, da quella fiducia cieca che ha un unico
fondamento: l’amore, che sempre interpella la libertà personale.
Mi fido perché so che mi ami; mi fido perché sento che tu
hai fiducia in me.
È quella stessa fiducia che ha segnato l’alba della
creazione quando hai voluto condividere il tuo progetto con me, uomo chiamato a
diventare Dio con te e come te.
Allora, coraggio! Accettiamo di essere “De-figurati” per
essere “Trasfigurati”.
Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
venerdì 6 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! Il nostro Maestro non si accontenta mai; è l'uomo che va sempre
"oltre", e invita a fare altrettanto: "Io vi dico: se la vostra
giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel
regno dei cieli" (Mt 5,20-26). È un invito ai suoi, a quelli che si
riconoscono nel suo messaggio, a superare la fedeltà (così è da intendere il
termine "giustizia") all'Antica Alleanza per entrare nell'ottica di
quella Nuova, dove non basta astenersi dal fare il male ma occorre essere
portatori di vita, persone che si occupano e si preoccupano del bene e del
benessere del fratello e della sorella. Anzi, la proposta è ancora più
sconvolgente: invita all'amore verso chi mi fa del male, invita ad andare
"oltre" la risposta naturale (tu fai questo a me, io faccio questo a
te, o reciprocità della risposta violenta) per comunicare vita e amore come e
con il Padre "che fa piovere sui
giusti e sugli ingiusti...". Non sono parole facili (e chi lo ha mai
detto?), ma sono le Sue e sul piatto della scommessa non ci si può giocare solo
per una parte: Lui su quel piatto ci ha messo la vita, e noi che ci mettiamo?
Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
giovedì 5 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! Mi piace pensare a una comunità di fratelli e sorelle che camminano
dietro al Maestro, giorno dopo giorno, nella personale fatica del crescere
quotidiano; una comunità dove risuonano e dove le persone fanno risuonare
queste parole del Maestro: "Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete;
bussate e vi sarà aperto" (Mt 7,7-12). Mi piace immaginare queste parole
come se fossero le parole di benvenuto poste all'entrata, un'entrata
immaginaria, forse, di questa comunità: a chi arriva chiedendo, viene dato; chi
arriva cercando, sa di poter trovare; e chi bussa sommessamente sa che una
porta si aprirà. Ecco una bella proposta di cammino di conversione quaresimale
per le nostre comunità cristiane: comunità che aprono spazi in cui mendicanti
di vita, cercatori di speranza e "bussatori" in solitudine possano
trovare una vita di qualità nuova, diversa; una vita che si cura della vita e
non una proposta in cui "devi"... "sei chiamato a...",
"questa è la norma....", "i nostri obblighi sono
questi..."; una vita che sappia far volgere lo sguardo verso il Maestro
non con timore o addirittura noia, ma con la freschezza di una Parola che ha un
sapore sempre nuovo: il sapore della vita stessa, e non l'odore della muffa che
spesso emanano le nostre comunità stanche e rinchiuse in loro stesse. Un
abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
mercoledì 4 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! Quanti segni e segnali nella vita di tutti noi! Pensiamo solamente ai
cartelli stradali; quanti ne incontriamo ogni giorno? E le in-segne (il
trattino è voluto) pubblicitarie? E quanti In-segnanti, persone che additano
percorsi, che spremono cervelli, che passano informazioni...e via discorrendo.
Segni, segnali, simboli... tutto un universo che ci dice cosa fare, come fare,
cosa non fare, quando fare, cosa evitare... Oggi anche il Maestro ci parla di
segni: "Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un
segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona"
(Lc 11,29-32). Già, già... a noi immersi nei segni, a noi perenni cercatori di
segni e segnali, il Maestro propone un'altra via (come al solito): non la via
dell'apparire, ma la via dell'essere segno. "Il segno di Giona", il
segno di una vita (quella di Gesù, inteso, non quella di Giona) che si immerge
nella pieghe più profonde della storia dell'umanità per farsi dono e dono di
vita. Donne e uomini che non "in-segnano" ma che si fanno segni essi
stessi; donne e uomini capaci di fare della propria esistenza un dono che
diventa segno di un amore più grande e totale: quello del Padre. Un abbraccio a
tutte e a tutti. Buona vita.
martedì 3 marzo 2020
Buongiorno
Buongiorno
mondo! Proposta "spinosa" quella che ci arriva oggi dal Maestro, ma
che tocca l'essenza della nostra fede: "Se voi infatti perdonerete agli
uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi
non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre
colpe" (Mt 6,7-15).
Come leggere
queste parole? Davvero il Padre può "non perdonare"? Credo che il
significato delle parole di Gesù vada inteso in altro modo. Infatti egli
ricorda ai suoi, cioè a noi, che abbiamo il "potere" di
"bloccare" o "rendere sterile" il perdono che il Padre
continuamente ci concede. Siamo stati educati a pensare che occorre chiedere il
perdono perché il Padre ce lo conceda. Ma Dio perdona sempre, senza bisogno che
glielo chiediamo perché Lui è amore e come tale non può far a meno di perdonare
(vedi la parabola del Padre misericordioso). Il fatto è che Lui chiede che il
perdono offerto sia condiviso e non ridotto a mera questione personale tra noi
e Lui (e non entro nel merito del Sacramento della Riconciliazione... che a
volte assume i tratti di un accertamento fiscale in cui si spera di cavarsela
con il minor danno possibile!!!). Ecco il perché delle parole di Gesù: se non
siamo disponibili a far circolare questo perdono tra noi, a fondamento delle
nostre relazioni, rendiamo sterile l'amore del Padre in noi. La comunità dei
discepoli è essenzialmente una comunità di uomini e donne continuamente aperti
e disposti al perdono perché continuamente perdonati. Solo in questo modo il
Regno diventa una realtà capace di modificare profondamente il nostro vivere
insieme, il nostro stile di vita sociale. Perdoniamo perché perdonati: e se
necessario, perdoniamo in perdita, anche davanti al rifiuto, perché così il
Padre opera. E chiede a noi di associarci a tale stile. Un abbraccio a tutte e
a tutti. Buona vita.
lunedì 2 marzo 2020
Buongiorno mondo!
Buongiorno
mondo! Parole che non lasciano spazio a molta immaginazione quelle che oggi il
Maestro rivolge ai suoi: "Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e
ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti
abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E
quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?
Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,31-46). È la pagina di Matteo che chiamiamo del "giudizio universale", ma dovrebbe essere chiamata quella della "prova delle Beatitudini". Non si può leggere e capire questo testo senza tenere davanti quello delle Beatitudini, e in particolar modo la prima. Infatti solo chi sceglie volontariamente e liberamente di vivere quella povertà che è fatta di condivisione, di attenzione totale al bene e alla vita dell'altro, avrà occhi per vedere l'affamato, l'assetato, il malato... ecc. Inutile farne, come spesso è accaduto, un pia esortazione a compiere qualche opera buona. Dunque il tutto, o si regge sull'opzione fondamentale delle Beatitudini, o diventa un semplice esercizio dove "io buono aiuto te che sei nel bisogno" ma mantenendo l'altro nel bisogno per poterlo continuamente accudire in maniera paternalista, e non paterna come quella del Dio di Gesù. Il Padre non desidera "fioretti" di bontà, ma persone libere di cuore che scelgono liberamente di essere "zoofori", portatori di vita, praticanti un amore simile al Suo, capaci di liberare da povertà e ingiustizia attraverso la creazione di spazi comunitari dove l'azione dello Spirito, comunicato in abbondanza, si manifesta in maniera concreta ed efficace. E per far questo non servono indicazioni del Parroco, del Vescovo o del Papa: basta camminare dietro al Maestro giorno dopo giorno. Ricordiamo: anche nel cammino quaresimale non basta fare della carità, occorre diventare caritatevoli,cioè donne uomini che profumano della carità di Cristo. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,31-46). È la pagina di Matteo che chiamiamo del "giudizio universale", ma dovrebbe essere chiamata quella della "prova delle Beatitudini". Non si può leggere e capire questo testo senza tenere davanti quello delle Beatitudini, e in particolar modo la prima. Infatti solo chi sceglie volontariamente e liberamente di vivere quella povertà che è fatta di condivisione, di attenzione totale al bene e alla vita dell'altro, avrà occhi per vedere l'affamato, l'assetato, il malato... ecc. Inutile farne, come spesso è accaduto, un pia esortazione a compiere qualche opera buona. Dunque il tutto, o si regge sull'opzione fondamentale delle Beatitudini, o diventa un semplice esercizio dove "io buono aiuto te che sei nel bisogno" ma mantenendo l'altro nel bisogno per poterlo continuamente accudire in maniera paternalista, e non paterna come quella del Dio di Gesù. Il Padre non desidera "fioretti" di bontà, ma persone libere di cuore che scelgono liberamente di essere "zoofori", portatori di vita, praticanti un amore simile al Suo, capaci di liberare da povertà e ingiustizia attraverso la creazione di spazi comunitari dove l'azione dello Spirito, comunicato in abbondanza, si manifesta in maniera concreta ed efficace. E per far questo non servono indicazioni del Parroco, del Vescovo o del Papa: basta camminare dietro al Maestro giorno dopo giorno. Ricordiamo: anche nel cammino quaresimale non basta fare della carità, occorre diventare caritatevoli,cioè donne uomini che profumano della carità di Cristo. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
domenica 1 marzo 2020
Sine Dominico non possumus?
Ho aggiunto di proposito il punto interrogativo perché di questi tempi la domanda mi pare d’obbligo. E cerco di spiegarmi.
Premetto
che non voglio banalizzare (l’Eucaristia domenicale è davvero, o dovrebbe essere, “fons et culmen” (LG 11)
della vita della comunità cristiana) tantomeno generalizzare (vi sono, invero,
comunità di sorelle fratelli in cui si percepisce in maniera più autentica e
profonda la celebrazione di questo mistero, non ridotto a mera osservanza
precettuale).
In secondo luogo, ricordo che questa espressione risale ai Martiri di Abitene: 49 cristiani uccisi durante la persecuzione di Diocleziano. Gente che per la celebrazione dell'Eucaristia è arrivata a dare la vita... una cosa seria!
Detto
questo, allora, perché quel punto interrogativo? Esso nasce da un certo fastidio
interiore che provo in questi giorni in cui siamo alle prese con l’emergenza
sanitaria da COVID-19 (questo è il nome datogli dalla comunità scientifica; il nome
Corona virus ha contribuito a generare commenti talmente avvilenti, vedi per
esempio su Radio Maria, che la metà basta).
Siamo
a conoscenza delle restrizioni cui, per quanto non ovunque, la situazione ci ha
costretti. Queste restrizioni hanno toccato anche le celebrazioni della
comunità cristiana e non solo. Negli ultimi giorni,in reazione, ho assistito a un fiorire di
“petizioni” tipo “Ridateci la Messa”, di reazioni scandalizzate per la “sacrilega
comunione sulla mano”, fino alle solite (non mancano mai!) teorie complottiste
in cui “questa volta Satana si è davvero manifestato e, complici i Vescovi, sta
distruggendo la Chiesa”.
Tutto
questo mentre siamo appena entrati nel periodo quaresimale e oggi siamo alla I
domenica, dove la liturgia della Parola, il Vangelo in particolare, ci mostrano
Gesù che entra nel deserto ed è messo alla prova (Gesù fa parte di un popolo
che con il deserto ha un feeling particolare: il deserto biblico è il tempo/luogo
della nudità, del ritorno, della ricerca, della prova; è lo spazio/tempo in cui
ritrovare una più autentica relazione con quel Liberatore il cui Nome è
impronunciabile e il cui Volto inafferrabile).
La
domanda che mi sono posto è: perché questa nostra fatica (paura?) di fronte al “deserto”?
Perché temiamo così tanto questa esperienza di spoliazione, di mancanza, di
paura, sì, di paura di perdere le troppe sicurezze
che ci siamo costruiti?
Sine
Dominico non possumus? Sì, dico io, possiamo e dobbiamo: sine Dominico!
Possiamo e dobbiamo perché il “deserto”, nel quale entriamo con il Maestro, ci
obbliga a purificare tutte quelle distorte immagini di Dio che con troppa facilità
e noncuranza ci siamo fabbricati e ci portiamo in tasca, a uso e consumo della
situazione del momento.
Questo
“digiuno eucaristico”, imposto dalle circostanze, è allora un digiuno benedetto
che può aiutarci a recuperare una dimensione più evangelicamente autentica di
quanto celebriamo ogni domenica. In questo “deserto”, infatti, soli con noi
stessi, comunità erranti in cerca di una libertà ancora e sempre da liberare,
dobbiamo vivere “etsi Deus non daretur” o, parafrasando, “etsi Eucharistia non
daretur” per imparare a chiedere di nuovo, in maniera più autentica, questo
dono di cui sfacciatamente ci siamo appropriati manipolandolo fino a farlo
diventare devozione personale, premio per la nostra supponente e supposta
giustizia, pane per una tavola troppo ricca di ricchezze rubate ad altri,
calice colmo sovente di vino reso acido dalle nostre connivenze con quelle ingiustizie
che continuano a generare povertà e violenze all’uomo e al creato. Vivere “etsi
Deus… etsi Eucharistia…” proprio per spogliarci di quelle mistificazioni che
abbiamo costruito su Dio stesso e sul sacramento dell’Eucaristia e che
contribuiscono ad alimentare quella falsa e farisaica consapevolezza di essere
sempre nel giusto, di poter andare davanti a Dio a testa alta anche quando
sotto i nostri piedi schiacciamo la testa del povero.
Possiamo
celebrare la Cena del Signore nella verità, cioè secondo quanto Gesù ci ha consegnato
(ci ha dato una vita, la Sua, non un
semplice rito!), quando le nostre parole e le nostre relazioni sono segnate da rancore, da livore, finanche da odio verso chi “non è dei nostri”?
Possiamo
celebrare l’Eucaristia quando viviamo all’insegna di slogan costruiti sul “prima
noi” (che ricorda amaramente quegli slogan d’altri tempi che facevano ribollire le
piazze al grido ottuso di: “A noi!”). Ricordiamo che quando qualcuno proclama e
inietta nella nostra società slogan di questo tipo sempre si trova chi queste
parole le ascolta e le condivide: uno grida, tanti approvano.
Possiamo
celebrare l’Eucaristia restando sordi e indifferenti alle urla di migliaia di
rifugiati che fuggono dalla Siria in guerra?
Possiamo
mangiare la Cena del Signore mentre un’altra catastrofe fatta di locuste sta
letteralmente mangiando mezza Africa?
Possiamo
infine continuare a celebrare l’Eucaristia se poi nella nostra vita facciamo
del denaro, del prestigio e del potere il nostro vero pane quotidiano (il
Maestro ci ha messo e ri-messo la vita per vincere questi tre idoli, e noi siamo
preoccupati per le acquasantiere vuote?).
Ecco
perché, alla fine di questa riflessione, ribadisco che questo “deserto/digiuno
eucaristico” nel quale entriamo oggi non può che farci del bene (ammesso che
accettiamo di entrarci non per fare una scampagnata!).
Termino
ricordando una bella espressione dell’Arcive-scovo di Bari, Mariano Magrassi,
che negli anni ‘70, credo, quindi in tempi non sospetti, affermava: “Più Messa
e meno Messe”.
E
Dio sa quanto, già da allora, avesse ragione.
Don
Luciano
P.S. "etsi Deus non daretur", antica espressione bergamasca che significa "Come se Dio non esistesse, non ci fosse"...