Il pane del Regno
Lc 14,15-24
In quel tempo, uno dei commensali, avendo udito questo, disse a Gesù: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!».
Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. (…)
Una delle immagini più ricorrenti per descrivere il Regno di Dio, all’epoca di Gesù, era quella del banchetto. Un convito cui sarebbero stati invitati a partecipare tutti i giusti, mentre i peccatori… fuori a rosicare. Gesù, al solito, ribalta la concezione: il banchetto non è un premio per l’al di là, un premio che verrà concesso a pochi eletti, ma una realtà che inizia già nell’oggi quotidiano ed è aperta a tutti, senza esclusione alcuna. I primi inviti che il “padrone” rivolge sono per coloro che dovrebbero capire più e meglio degli altri, per gli “operai della prima ora”. Sappiamo come i primi invitati snobberanno l’invito e come verranno sostituiti. L’attualità di questa parabola è sotto gli occhi di tutti e non occorre spendere tante parole per commentarla.
Se le nostre eucaristie non diventeranno segni/banchetti del Regno così come lo intende Gesù, resteranno irrimediabilmente deserte, piccoli circoli esclusivi per pochi adepti che avranno comunque fretta di tornare ai loro affari. Per rispondere a quell’invito: “Venite, è pronto” occorre “essere pronti”, aperti alla novità del banchetto come se fosse la prima volta che vi partecipiamo. Occorre uscire dalle proprie case/vite, dai propri affari, e lasciarsi trascinare dalla gioia e dalla comunicazione di vita di Colui che invita. Occorre avere il cuore aperto per accogliere chi non ci saremmo mai aspettati di vedere e sedersi allo stesso tavolo da sorelle e fratelli. Smettiamola di mugugnare perché ci sono invitati che non ci piacciono: non siamo noi i padroni del banchetto! Oppure, torniamo ai nostri affari, e scegliamo altri banchetti più confacenti ai nostri desideri esclusivi.
Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
La guerra è la malattia non la soluzione.
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Grazie.
RispondiEliminaPaola
Buongiorno don, fatico ancora ad accettare la interpretazione dell’ Eucarestia come pane condiviso,che ci porta a diventare,a nostra volta,pane da spezzarci per gli altri,come ha fatto Gesù! Proprio domenica durante la messa,al momento della consacrazione riflettevo su questo… il campanellino suona, la maggior parte dei presenti si inginocchia, anche i bambini vengono invitati a farlo ….alla fine del rito ci si alza , molti fanno il segno della croce e tutto ricomincia… la magia è finita! E’ questo che si è fatto da sempre e purtroppo si continua a fare . Sicuramente sono eretica… anche perché mica riesco a spezzarmi! Un abbraccio e grazie
RispondiEliminaComprendo la tua difficoltà, Marilisa. Tutti siamo stati cresciuti ed educati in quel modo nella comprensione del Sacramento dell'Eucaristia. Sottolinenando in maniera esclusiva e a senso unico solamente il Sacramento come Sacramento della Presenza, Reale sì ma intesa spesso e volentieri come fisica-materiale, tanto che era chiesto di non masticare la particola per rispetto a Gesù, cui avremmo provocato dolori ulteriori insieme a quelli dei nostri peccati, siamo finiti quasi per snaturare il senso del Sacramento stesso, facendolo diventare un fine in se stesso e non un mezzo, come ogni sacramento. Quel "Fate questo in memoria di me" non fa riferimento alla ripetizione di un rito grazie alla quale il "sacrificio" (anche su questo quanto bisognerebbe dirne...) di Gesù viene attualizzato per continuare a placare l'ira di un Dio che altrimenti ci avrebbe già incenerito. Celebrare il memoriale è rendere presente tutta intera la vita di Gesù, nella sua modalità concreta di dono di vita. Associarmi, mediante la comunione in cui accetto di accogliere il dono, significa apprendere a vivere diventando trasparenza di Dio con Gesù e come Gesù stesso. Ci vorrebbe più tempo... magari vedremo di tornarci.
EliminaMarilisa
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