III DOMENICA DI AVVENTO; Is 61,1-2.10-11; Cant. Lc 1,46-50.53-54; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28
La scorsa domenica siamo entrati nel deserto con Giovanni per compiere il nostro nuovo esodo: uscire da una concezione che ha generato immagini distorte di Dio per andare incontro a Colui che, nella sua carne, con il suo stile di vita, è “inviato” per ridare autenticità e freschezza a quello stesso Volto.
Tradizionalmente questa terza tappa di Avvento è chiamata la domenica “Gaudete”, “gioite” e così, in verità, dovrebbe essere. Il testo del profeta Isaia proclamato nella prima lettura è un invito profondo alla gioia che nasce da un lieto annuncio: Dio ci vuole felici, vuole condividere con noi l’anno, il tempo della misericordia gratuita, il tempo in cui Lui ci mostra in quale modo si prende cura di noi.
Non tutti, purtroppo, riescono a fare festa, a gioire, a rallegrarsi del dono divino attraverso il quale comprendiamo come la nostra miseria diventa misura della sua misericordia.
Il testo giovanneo del Vangelo (una sorta di “spezzatino” a fini liturgici… I criteri dei liturgisti nella scelta delle pericopi evangeliche restano, a volte per me, un mistero insondabile!), il testo del vangelo odierno, dicevo, ci pone in presenza di una reazione all’annuncio del Battista. Quanto meno qualcuno reagisce (mentre davanti a certe omelie tutti restano in religioso silenzio…).
Abbiamo appena udito la flebile eco della Parola nella voce di Giovanni, abbiamo appena percepito in lontananza la luce di Colui che sta per venire e subito l’autorità costituita entra in azione.
È il paradosso dell’avventura biblica: coloro che predicano un Dio inafferrabile sono proprio coloro che se ne sono impossessati e lo hanno reso così inconoscibile a tutti gli altri. Abilmente nascosti dietro l’osservanza formale della precetto, dettano legge su come “accontentare” Dio, su come renderlo “felice”, su come attirare il suo sguardo benevolo. Basta una Messa… una confessione, un’offerta, perché no? E Dio te ne renderà merito. Un Dio che, a quanto pare, non sa ancora se rendere a Cesare o tenere per sé.
La “Una Vox” del potere religioso si fa sotto in fretta silenziando quella Parola che tenta di farsi ascoltare senza imporsi (cifra dell’annuncio che sarà di Gesù: il Vangelo si propone ma non si impone), per spegnere quel “lucignolo fumigante” che, in lontananza, si preannuncia ma che pur saprà poi far divampare il “fuoco sulla terra”.
Chi ritiene di conoscere e possedere Dio si guarda bene dal permettere ad altre voci, ad altra Parola, fosse anche quella di Dio stesso, di farsi udire. Qualcuno, e sappiamo bene chi, diceva che “Il potere logora chi non ce l’ha”, ma è anche vero che mantenere il potere è logorante: il prezzo è alto, occorre essere disposti a costruire altari su altari per sacrificare le vittime designate alla bisogna.
È questa, dunque, una domenica gioiosamente impegnativa!
Il sacerdote, che ha al suo fianco il portaborse levita, con il sottile e, sovente, ipocrita fariseo non sono personaggi sfocati nel tempo, lontani da noi, immersi ed emergenti dalle nebbie del tempo.
Essi hanno trovato un comodo rifugio dentro le nostre coscienze e le nostre comunità e fanno capolino ogni volta che siamo refrattari a mettere in discussione, a porre qualche dubbio circa le nostre comode, tranquille e tranquillizzanti immagini di Dio che custodiamo gelosamente e non permettiamo a nessuno, nemmeno a Dio, di metterle in crisi.
La gioia di questa domenica, la gioia del Felice Annuncio, demolisce tutto questo, getta a terra l’austera e severa esperienza religiosa che ha reso Dio un obbediente servo dei nostri desideri di potenza (o onnipotenza).
Allora, sorella, fratello: “Che cosa dici di te stesso?”. È una domanda davanti alla quale oggi non possiamo fuggire accampando scuse o impegni: o rispondiamo o perdiamo l’occasione, il tempo favorevole per incontrare Colui che viene. Quel primordiale “Dove sei?” torna oggi rivisitato nel “Che dici di te?”, che non significa altro che “Esprimi chi vuoi essere, a chi vuoi assomigliare, chi vuoi diventare”.
Intravvediamo una possibilità: sta a noi accettare la sfida oppure scegliere di continuare a essere mendicanti alla corte di chi offre certezze a poco prezzo e speranze a breve scadenza.
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