“Nel mezzo”, tra miseria e misericordia
- ANNO C, 3 aprile 2022, V DOMENICA DI QUARESIMA; Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
Tratto da: Adista Notizie n° 8 del 05/03/2022
Per questo scritto di Giovanni sono stati versati fiumi d’inchiostro. “Abbandoniamo” il racconto lucano anche se, di fatto, ormai tutti concordano nell’attribuire più a Luca che a Giovanni questo testo. A mio avviso, però, sta bene anche dentro il Vangelo secondo Giovanni, nel quale apre il capitolo ottavo che si chiude con un tentativo di lapidazione di Gesù, costituendo così una sorta di inclusione del capitolo.
Questo testo meriterebbe ben più di quanto io possa dire nel poco spazio in cui sono costretto.
La prima riflessione riguarda la posizione della donna sorpresa in adulterio e messa “in mezzo” a un cerchio di morte: gli accusatori sono lì per applicare una legge che prevede la morte come punizione per tale trasgressione. Al contrario di loro, spesso, nei racconti evangelici, Gesù mette “in mezzo” per guarire, per ridare dignità e vita. Pensiamo all’uomo dalla mano “seccata” cui Gesù ordina di mettersi “nel mezzo” della sinagoga, contravvenendo, con questo suo modo di fare, proprio alla medesima legge che ora il “cerchio” dei presunti giusti gli sbatte in faccia. Nella carne di Gesù Dio ci comunica che ci mette al centro della sua attenzione, ci pone “nel mezzo” del suo cuore compassionevole perché ci vuole salvi e felici, perché ci offre gratuitamente quel perdono come unica via di umanizzazione.
La seconda riflessione riguarda la modalità di applicazione della legge per punire l’adulterio. Essa prevedeva sia la modalità dello strangolamento che quella della lapidazione, e al tempo di Gesù la discussione era aperta e vivace a questo proposito. La scelta della lapidazione, nel nostro caso, rappresenta una sorta di assassinio collettivo che ha il “pregio” per i suoi esecutori di evitare la responsabilità personale: tutti uccidono, nessuno uccide. Questo esige l’unanimità della folla che in questo modo crede di compiere una specie di rito di purificazione collettivo: tutti puliti perché finalmente il malvagio è tolto di mezzo (pensiamo ai processi alle “streghe”, a quelli contro i “nemici del popolo”, agli stermini nati dalla demonizzazione dell’altro e della sua diversità, e ancora oggi gli esempi non mancano). È qui che a Gesù viene chiesto di entrare nel gioco e di schierarsi. E la trappola è davvero ben congegnata: se approva, rinnega l’atteggiamento che ha coltivato verso esclusi e peccatori (e si gioca la stima di chi lo segue) ma anche si mette contro Roma, unica detentrice del potere di vita e di morte. Se rifiuta, si mette al pari della donna e merita, per la bestemmia, la stessa sua sorte. La risposta di Gesù è sorprendente: si mette a scrivere (non sulla sabbia ma sulla pietra del lastricato: siamo nel tempio) con il dito. E Giovanni sottolinea questo per ben due volte. Ora, questo dito che scrive sulla pietra mi ricorda il dito di un “Altro” che incise la legge su tavole di pietra. Chi scrive ha qualcosa da dire, da comunicare. Se dimentichiamo il “dito” dello scrittore, allora facciamo della Scrittura una sorta di idolo muto cui far dire ciò che si vuole in funzione dei propri desideri. Dimenticando il “dito”, cioè Colui che scrive, ci sostituiamo a Lui e al messaggio che egli vuole trasmettere. Dio non ha dato una legge per condannare il peccatore ma, denunciando il peccato, essa intende offrire una via di salvezza al peccatore stesso. Quella legge è data per il perdono e non per la condanna. Anzi, proprio quella legge ti obbliga a guardare il male che ti porti nel cuore e non a scaricarlo sull’altro considerato un capro espiatorio per la tua propria salvezza. Insomma, da buon profeta, Gesù riporta le cose al loro ordine originario e rimette la responsabilità personale al posto che le è proprio.
Alla fine, quando tutti se ne vanno, lasciano le pietre per portarsi quella coscienza personale del male che identifica ciascuno come bisognoso di perdono, resta solamente, come dice S. Agostino, «la misera e la misericordia». Ed è proprio questo il messaggio che le Scritture ci consegnano, ultima domenica prima della domenica di Passione: la nostra miseria è la misura della sua misericordia. E questo vale anche e soprattutto per le nostre relazioni interpersonali: il Felice Annuncio è questo. Niente altro.
Presbitero della Chiesa di Bergamo, don Luciano Locatelli è attualmente a tempo pieno in Caritas. “Laico” ridotto allo stato “pretale” dal 1988.
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