ANNO C 10 aprile 2022 DOMENICA DELLE PALME Is 50,4-7 Sal 21 Fil 2,6-11 Lc 22,14 - 23,56
Tratto da: Adista Notizie n° 9 del 12/03/2022
Questa domenica che apre la Settimana Santa, o Settimana Autentica nella tradizione ambrosiana, si apre con un invito alla contemplazione. È una domenica in cui lasciamo la nostra parola entrare nel grembo del silenzio perché siamo invitati più a contemplare e volgere lo sguardo sull’Uomo della Croce che parlare.
È infatti in quell’Uomo che si rivela, nella sua passione, nel suo patire, tutta la “passione” di Dio per l’uomo, la passione di Dio per questo mondo che lui non vuole vada perduto. E questa “doppia passione” si tramuta in invito alla conversione, cioè al cambiare definitivamente l’immagine di Dio che ci siamo costruiti.
Ogni brano di questo racconto è come una pennellata che mostra il volto del Figlio e, nel momento della Croce, Luca usa (unica volta in tutto il Nuovo Testamento) la parola theorìa, che vuol dire visione, contemplazione, spettacolo. Infatti lì, proprio in quel momento, vediamo com’è Dio e chi è: il suo Volto è finalmente svelato (il velo del Tempio è caduto, il “luogo” della rivelazione è altro ormai) e noi possiamo guardarlo senza temere di dover morire: è lui che offre la sua vita non solo per, ma anche a noi.
Questa manifestazione è un invito dolce ma fermo allo stesso tempo a smettere di nasconderci per paura, come Adamo, per costruire i nostri idoli e a tornare a casa, nel “giardino”, a dimorare di nuovo con il Padre che, nel Figlio, ci offre la sua stessa esistenza. Come ha scritto bene Dietrich Bonhoeffer: “La croce è la distanza infinita che Dio ha posto tra se stesso e ogni nostra immagine religiosa di Lui”. Nella “theorìa” della Croce non si tratta tanto di affermare che Gesù è Dio, ma il contrario: Dio, che nessuno ha mai visto e che qui si svela in tutta la sua nudità, è Gesù. Lì vediamo Dio così com’è: è la theorìa cristiana. Con buona pace di tutte e tutti coloro che si fanno portatori di tante altre “teorie” e professano verità indubitabili, questa è l’unica teoria che conosce Dio, l’unica che appare nella carne del Crocefisso. Le altre sono solamente idoli costruiti abilmente dalle nostre mani per soddisfare il nostro desiderio di possedere tutto, persino Dio stesso.
Nel racconto della passione che ci viene dipinto da Luca, questa tentazione idolatrica, assume tre volti espressi da tre figuranti nel quadro. Il primo idolo nasce dalla “visione” degli “arconti”, i capi religiosi del popolo i quali “exemuktérizon”, “storcono il naso per lo schifo” davanti a un dio incapace di salvare se stesso. Un dio così fa davvero pena! Dov’è il Signore che stende il braccio per operare meraviglie? Dov’è l’Altissimo che fa tremare i monti? Dov’è il Signore dei signori? Ecco il primo idolo concepito dalla mente e fabbricato dalla mano dell’uomo.
Il secondo si rivela nelle parole dei militari che si fanno beffe di una “regalità” così misera e incapace di salvare se stessa. Il terzo emerge dalle parole di uno dei malfattori che rimprovera Gesù di incapacità di salvezza per sé e per gli altri. Tutte e tre queste “visioni” sono accomunate dal fatto che in ognuna si attende una manifestazione di salvezza spettacolare: una salvezza capace di lasciare a bocca aperta e che risponde ai propri bisogni di un Dio che si manifesta secondo i nostri desideri e capricci.
Ma Luca, nel racconto, ci ricorda che la salvezza non sta nel fatto che noi siamo buoni e fedeli, ma che il Signore ci è fedele. La salvezza non sta nel dire, come Pietro, “io morirò per te” ma nell’accogliere il dono della vita di Dio che passa attraverso la carne crocifissa di Gesù di Nazareth. Nella Passione Dio si rivela come Colui che ci fa dono di se stesso e non come un Dio che chiede di donarci a Lui.
Ecco allora la grande chiamata alla conversione: cambiare la nostra visione, la nostra idea di Dio per imparare ad accogliere in primo luogo ciò che lui fa per noi piuttosto che arrovellarci a inventare cosa fare per lui. Compreso questo allora potremo contemplare con gratitudine questa “theorìa”, liberarci dagli idoli che ci siamo costruiti e vivere la nostra esistenza condividendo la stessa “passione” che Dio, in Gesù, nutre per tutta l’umanità.
Don Luciano Locatelli è presbitero della Chiesa di Bergamo, attualmente a tempo pieno in Caritas. “Laico” ridotto allo stato “pretale” dal 1988.
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