Ho aggiunto di proposito il punto interrogativo perché di questi tempi la domanda mi pare d’obbligo. E cerco di spiegarmi.
Premetto
che non voglio banalizzare (l’Eucaristia domenicale è davvero, o dovrebbe essere, “fons et culmen” (LG 11)
della vita della comunità cristiana) tantomeno generalizzare (vi sono, invero,
comunità di sorelle fratelli in cui si percepisce in maniera più autentica e
profonda la celebrazione di questo mistero, non ridotto a mera osservanza
precettuale).
In secondo luogo, ricordo che questa espressione risale ai Martiri di Abitene: 49 cristiani uccisi durante la persecuzione di Diocleziano. Gente che per la celebrazione dell'Eucaristia è arrivata a dare la vita... una cosa seria!
Detto
questo, allora, perché quel punto interrogativo? Esso nasce da un certo fastidio
interiore che provo in questi giorni in cui siamo alle prese con l’emergenza
sanitaria da COVID-19 (questo è il nome datogli dalla comunità scientifica; il nome
Corona virus ha contribuito a generare commenti talmente avvilenti, vedi per
esempio su Radio Maria, che la metà basta).
Siamo
a conoscenza delle restrizioni cui, per quanto non ovunque, la situazione ci ha
costretti. Queste restrizioni hanno toccato anche le celebrazioni della
comunità cristiana e non solo. Negli ultimi giorni,in reazione, ho assistito a un fiorire di
“petizioni” tipo “Ridateci la Messa”, di reazioni scandalizzate per la “sacrilega
comunione sulla mano”, fino alle solite (non mancano mai!) teorie complottiste
in cui “questa volta Satana si è davvero manifestato e, complici i Vescovi, sta
distruggendo la Chiesa”.
Tutto
questo mentre siamo appena entrati nel periodo quaresimale e oggi siamo alla I
domenica, dove la liturgia della Parola, il Vangelo in particolare, ci mostrano
Gesù che entra nel deserto ed è messo alla prova (Gesù fa parte di un popolo
che con il deserto ha un feeling particolare: il deserto biblico è il tempo/luogo
della nudità, del ritorno, della ricerca, della prova; è lo spazio/tempo in cui
ritrovare una più autentica relazione con quel Liberatore il cui Nome è
impronunciabile e il cui Volto inafferrabile).
La
domanda che mi sono posto è: perché questa nostra fatica (paura?) di fronte al “deserto”?
Perché temiamo così tanto questa esperienza di spoliazione, di mancanza, di
paura, sì, di paura di perdere le troppe sicurezze
che ci siamo costruiti?
Sine
Dominico non possumus? Sì, dico io, possiamo e dobbiamo: sine Dominico!
Possiamo e dobbiamo perché il “deserto”, nel quale entriamo con il Maestro, ci
obbliga a purificare tutte quelle distorte immagini di Dio che con troppa facilità
e noncuranza ci siamo fabbricati e ci portiamo in tasca, a uso e consumo della
situazione del momento.
Questo
“digiuno eucaristico”, imposto dalle circostanze, è allora un digiuno benedetto
che può aiutarci a recuperare una dimensione più evangelicamente autentica di
quanto celebriamo ogni domenica. In questo “deserto”, infatti, soli con noi
stessi, comunità erranti in cerca di una libertà ancora e sempre da liberare,
dobbiamo vivere “etsi Deus non daretur” o, parafrasando, “etsi Eucharistia non
daretur” per imparare a chiedere di nuovo, in maniera più autentica, questo
dono di cui sfacciatamente ci siamo appropriati manipolandolo fino a farlo
diventare devozione personale, premio per la nostra supponente e supposta
giustizia, pane per una tavola troppo ricca di ricchezze rubate ad altri,
calice colmo sovente di vino reso acido dalle nostre connivenze con quelle ingiustizie
che continuano a generare povertà e violenze all’uomo e al creato. Vivere “etsi
Deus… etsi Eucharistia…” proprio per spogliarci di quelle mistificazioni che
abbiamo costruito su Dio stesso e sul sacramento dell’Eucaristia e che
contribuiscono ad alimentare quella falsa e farisaica consapevolezza di essere
sempre nel giusto, di poter andare davanti a Dio a testa alta anche quando
sotto i nostri piedi schiacciamo la testa del povero.
Possiamo
celebrare la Cena del Signore nella verità, cioè secondo quanto Gesù ci ha consegnato
(ci ha dato una vita, la Sua, non un
semplice rito!), quando le nostre parole e le nostre relazioni sono segnate da rancore, da livore, finanche da odio verso chi “non è dei nostri”?
Possiamo
celebrare l’Eucaristia quando viviamo all’insegna di slogan costruiti sul “prima
noi” (che ricorda amaramente quegli slogan d’altri tempi che facevano ribollire le
piazze al grido ottuso di: “A noi!”). Ricordiamo che quando qualcuno proclama e
inietta nella nostra società slogan di questo tipo sempre si trova chi queste
parole le ascolta e le condivide: uno grida, tanti approvano.
Possiamo
celebrare l’Eucaristia restando sordi e indifferenti alle urla di migliaia di
rifugiati che fuggono dalla Siria in guerra?
Possiamo
mangiare la Cena del Signore mentre un’altra catastrofe fatta di locuste sta
letteralmente mangiando mezza Africa?
Possiamo
infine continuare a celebrare l’Eucaristia se poi nella nostra vita facciamo
del denaro, del prestigio e del potere il nostro vero pane quotidiano (il
Maestro ci ha messo e ri-messo la vita per vincere questi tre idoli, e noi siamo
preoccupati per le acquasantiere vuote?).
Ecco
perché, alla fine di questa riflessione, ribadisco che questo “deserto/digiuno
eucaristico” nel quale entriamo oggi non può che farci del bene (ammesso che
accettiamo di entrarci non per fare una scampagnata!).
Termino
ricordando una bella espressione dell’Arcive-scovo di Bari, Mariano Magrassi,
che negli anni ‘70, credo, quindi in tempi non sospetti, affermava: “Più Messa
e meno Messe”.
E
Dio sa quanto, già da allora, avesse ragione.
Don
Luciano
P.S. "etsi Deus non daretur", antica espressione bergamasca che significa "Come se Dio non esistesse, non ci fosse"...
Purtroppo ci siamo troppo abituati ad un cristianesimo "tiepido"; Spesso viviamo le celebrazioni Eucaristiche come un tributo da pagare per mettere a posto la nostra coscienza; molto spesso il partecipare alla santa Messa è un'abitudine domenicale poichè poi si va bere il caffè oppure l'aperitivo: dipende dall'ora.
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