sabato 14 novembre 2020

Icona di una Chiesa incarnata e aperta (Immacolata 2020)

 



All’interno del laborioso e faticoso percorso dell’Avvento, la Liturgia apre una sorta di finestra che si spalanca su un panorama che rasserena e comunica speranza.

Non voglio comporre un panegirico sdolcinato dedicato alla figura di Maria, donna bella e forte del Vangelo.
Purtroppo, a tutt’oggi, vi sono tante voci (via etere ve n’è una in particolare, che si piglia ovunque, che ha fatto di Maria la portatrice di terribili segreti dati a conoscere solo a qualcuno, perché “Dio lo vole”… mah…) le quali, per troppo zelo, riescono quasi a svilire la bellezza e la grandezza di questa donna.

Oggi, in questa solennità dell’Immacolata Concezione, volgo il mio sguardo a Maria come a un’icona della Chiesa.

In primo luogo ci offre l’immagine di una Chiesa immersa nell’ordinarietà del quotidiano. Maria è donna del popolo, integrata in un villaggio che non godeva di grande considerazione (“Può forse venire qualcosa di buono da Nazareth?”), pronta a seguire, ovviamente, la strada segnata dai “padri”, sottomessa alla tradizione e quindi certa di dover “pagare”, prima o poi, il debito di Eva con i dolori del parto al fine di generare (ops, mi scuso: nella cultura dell’epoca, in Israele, solo il maschio poteva “generare”; la donna era considerata un semplice contenitore) quei figli di Abramo eredi della promessa.
Maria è dunque icona di una Chiesa che è immersa nel “popolo”, nella fatica del vivere quotidiano. È immagine e icona di una comunità cristiana che non si mette al di sopra, che non scansa, che non prende le distanze, ma che si fa compagna di viaggio di un’umanità che vive in un determinato luogo, in un preciso momento della storia, e che ogni giorno affronta la sfida del vivere e non del sopravvivere (o così dovrebbe essere). È una Chiesa che si “incarna” nell hic et nunc della storia.

In secondo luogo Maria accoglie, con stupore e timore, Colui che entra nella sua ordinarietà recando un pizzico di straordinarietà.
È dunque icona di una Chiesa che si vuole incessantemente aperta all’Altro e all’altro.

È immagine di una comunità che non teme l’irrompere del Nuovo, che non ha paura di ciò che esce dall’ordinario. È immagine di una comunità che rifiuta di rinchiudersi dentro il recinto rassicurante del “si è sempre fatto così” per aprirsi alla novità di Colui che fa intravedere vie nuove, percorsi audaci, strade finora sconosciute. È l’immagine di una Chiesa che si pensa e si ripensa ogni giorno nuova dentro le storie dell’umanità, abbandonando la preoccupazione di ripetere modelli e modalità che a volte non sono che sterili reiterazioni di modelli di altri tempi.

È immagine, dunque, di una comunità che parla con parole sue una Parola che non è sua, che non la possiede ma che da essa si lascia “possedere” e guidare; una comunità che dà carne a una Parola sempre in cerca di una tenda e non di un tempio in cui essere rinchiusa; una parola capace di parlare ai cuori del nostro oggi senza ripetere pedissequamente ciò che balbettava ieri.
Maria è donna di parola e della Parola: è capace di fidarsi, di affidarsi, e per questo diventa credibile.

Ecco l’icona più bella che ci offre questa Immacolata 2020: diventare con Lei e come Lei spazi dove la Parola ritrova la sua limpida trasparenza, dove ogni a ogni parola ambigua su Dio viene tolta la maschera. Celebrare l’Immacolata Concezione significa diventare con Lei e come Lei uteri, grembi capaci di dare di nuovo carne a una Parola che offre autentica speranza e felicità non effimera per tutta l’umanità.

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