giovedì 31 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Presumere di conoscere



Gv 5,31-47

"(…) E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. (…)".


Potremmo titolare queste righe così: la presunzione della conoscenza. Un conto è sapere delle cose sul Maestro, un conto è condividere con lui l'intimità del discepolo amato. A volte ho l'impressione, senza voler per questo giudicare o cadere nello stesso errore di presunzione, che nell'esperienza della comunità ecclesiale si fa mostra di sapere tanto, di istruzione a gogò, ma alla prova dei fatti tutto questo si rivela un buon esercizio di studio (necessario, intendiamoci) ma alla prova dei fatti ognuno resta con le sue convinzioni. L'esperienza della condivisione di vita con il Maestro non è fatta di "Noi sappiamo, noi ti conosciamo" perché questo porta spesso a ingabbiare il Maestro nelle nostre categorie e renderlo così "docile" e facile da manovrare, adattando la dura chiarezza della sua proposta alle nostre inerzie, alle nostre paure di perdere tutto, al nostro "onore". Conoscere Lui significa entrare in una relazione di intimità tale da accogliere quella forza che l'ha "spinto" a farsi uno di noi: l'amore del Padre, che chiede di essere accolto e condiviso. I discepoli non sono coloro che "sanno", ma coloro che vivono trasmettendo non saperi di potere, ma scelte di servizio; non saperi di possesso, ma percorsi di condivisione; non saperi di apparenza, ma fatiche quotidiane nel vivere la verità dell'essere figli e fratelli.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 30 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Vivere nel Figlio


Gv 5,17-30

"(…) In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno (…)".



Chi pensiamo che siano questi "morti"? I defunti? I trapassati? Io non penso. Ricordiamoci del prologo: "Venne tra i suoi ma i suoi non l'hanno accolto... a quanti però l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio...". L'offerta del Figlio (in senso totale di proposta e dono di sé) è fatta a tutti coloro che vivono l'esperienza della morte: la morte che viene dal misconoscimento del volto del Padre, la morte procurata dalla sottomissione ad una religione il cui Dio è una sorta di Moloch cui sacrificare tutto per ottenere qualcosina, la tenebra dell'oppressione in nome di Dio (di tutte le oppressioni, comprese quelle derivanti da fanatismi e integralismi vari), la morte di chi vive nel terrore del dio che giudica e condanna, e via dicendo. La voce del Figlio arriva a tutte e tutti costoro e chiama a vita: "quelli che l'avranno ascoltata, vivranno", entreranno cioè in una dimensione nuova in cui la qualità della vita sarà talmente superiore da essere più forte della morte stessa. Occorre però avere il coraggio di abbandonare tutto quanto, seguire il Figlio e avere il fegato di restare con Lui fino alla Croce, cioè imparare giorno dopo giorno a fare del dono di sé lo stile concreto della propria esistenza.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 29 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Alzati e cammina


Gv 5, 1-16

“ (…) Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina» (…)”.


Queste sono le parole di guarigione pronunciate da Gesù nel vangelo di oggi. Proprio questa espressione si situa al centro (“in mezzo”) del racconto e della disputa che ne segue: contate e vedrete che se ne parla cinque volte. Questo particolare mi ha fatto riflettere un po’: cinque volte come cinque sono i portici della piscina e, qui credo stia la provocazione di Giovanni, come cinque sono i libri della Legge.

Penso che possiamo vedere in quella “barella” dove giace l’infermo (in-fermo, che non sta in piedi, ossia non è “firmus”) il simbolo della Legge che tiene prigioniero quell’uomo come trasgressore e lo conduce alla Porta delle Pecore, fuori dall’acqua e dal Tempio. Non potendo seguire i precetti della Legge, questa stessa lo condanna a una non-vita, fatta di dipendenza totale: il “sabato” per quell’uomo non è gioia e riposo ma è solamente divieto, come tutta la legge (“non ti è lecito…”). La sua vita, in fondo, è subire il male fino a farne una caratteristica della sua stessa esistenza (38 anni… quasi una generazione). I capi, invece, credono di far festa perché si ritengono i custodi dei divieti della legge e li impongono agli altri.

Il Maestro, Signore del sabato, offre sempre una possibilità nella quale la guarigione, in questo caso, è associata a una assunzione di responsabilità: non è più la barella/Legge a portare te, sei tu che ora porti quest’ultima. Ogni guarigione che Gesù opera ha sempre un duplice risvolto: è dono ma anche compito. In questo caso il compito è far sì che la Legge non sia più strumento di oppressione, ma via da percorrere nella ricerca del volto autentico di Dio. 
Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 28 marzo 2022

Buongiorno mondo!

L’idolatria dei “segni”



Gv 4,43-54

“ (…) Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (…)”.



La reazione del Maestro è un invito a superare i confini di una religione che si appoggia a “segni e prodigi” per entrare in una relazione di fede che si fa fiducia totale in Lui, nella sua Parola, nella sua proposta di vita. In altre parole, è Lui l’unico “segno” che occorre continuamente ricercare, è Lui il solo capace di mostrare non “prodigi” ma il volto concreto di un Dio che ama l’uomo, ogni uomo, come figlio, ogni donna come figlia. Non si cerca Dio per soddisfare la propria curiosità e la propria sete di miracoli: si cerca Dio per diventare persone capaci di essere segno della sua presenza. La stessa cosa avviene nella comunità: uno spazio in cui la celebrazione sacramentale non è finalizzata alla gloria di Dio, ma è lo spazio in cui ognuno riceve il dono dello Spirito che lo rende così segno della presenza del Padre. Per questo i discepoli del Maestro non hanno bisogno di chissà quali manifestazioni “maravigliose”: Lui è il segno per antonomasia, Lui è colui verso il quale rivolgere lo sguardo, Lui è l’unico in grado di farci passare da una religione del sensazionale a una fede dell’essenziale. La fede che, plasmata dalla carità, diventa segno di speranza nel mondo attuale.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

sabato 26 marzo 2022

Alla scoperta del Padre

ANNO C, 27 marzo 2022, IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO; Gs 5,9a.10-12; Sal 33; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

Don Luciano Locatelli 


Tratto da: Adista Notizie n° 7 del 26/02/2022


Conosciuta abitualmente come la parabola del “figliol prodigo”, è, di fatto, la “parabola del Padre”. Siamo soliti leggerla come un invito ad accogliere il perdono che Dio offre e a non restare “fuori” a brontolare come il fratello più grande. Questa parabola, conosciuta e riportata solamente da Luca, è rivolta a tutti i “teofili” e invita alla conversione. Una conversione che riguarda in particolare il cambiamento necessario dell’immagine di Dio che, sia il giusto sia il peccatore, devono fare. Gesù, in questo testo, giustamente considerato il “Vangelo nel Vangelo”, invita a passare (un verbo decisamente pasquale) dalla delusione del proprio peccato o dalla presunzione della propria giustizia, alla gioia di essere figli di un Padre che con tutti e per tutti è desideroso di “fare festa”.

Il “peccato” che accomuna entrambi i figli (sono fratelli, ma in primo luogo sono figli!) è la cattiva e distorta opinione, o immagine, che hanno del padre. Questo porta entrambi a mettere in atto strategie opposte ma certamente accomunate da quella immagine di padre-padrone riversata su Dio, il Padre, che essi si sono costruiti. 

Il primo, per liberarsi da questa figura vista e ritenuta opprimente, vive secondo la strategia o il principio esclusivo del piacere. Sceglie dunque di vivere la sua esistenza in totale libertà, ma di una libertà che si rivelerà ben presto bisognosa di liberazione. In effetti questa presunta “libertà da”, orfana delle sorelle “libertà per” e “libertà con”, lo conduce sulla via dell’annichilimento, dell’oblio di sé e delle sue radici. È il figlio modello “vispa Teresa”, dove una falsa idea di libertà porta all’inconsistenza del vivere.

Il secondo, per tenersi buono questo Dio/Padre ritenuto e vissuto come severo e arcigno, mette in atto la strategia del dovere, che si esprime in una religiosità servile totalmente scevra da ogni gioia di vivere. È il figlio modello “mai ‘na gioia”, dove legalismo perfezionista e vittimismo disperato conducono alla stessa inconsistenza del vivere del fratello minore. Entrambi i figli sono rappresentativi di ciò che spesso abita dentro la nostra esperienza spirituale che genera poi lo stile di vita che mettiamo in atto: la non conoscenza, o la conoscenza distorta, di Dio.

Penso che il primo intento della parabola narrata da Gesù (che qui si rivela davvero essere un geniale narratore di quelle trappole linguistiche che sono le parabole) sia quello di condurre il fratello più grande ad accettare il fatto che Dio è misericordia. Se questa è scoperta gioiosa per il peccatore, essa assume i tratti di una sconfitta mortale per il giusto. I sentimenti prevalenti che pervadono il racconto, a mio avviso, sono essenzialmente due. Da una parte la compassione del Padre, dall’altra la collera, nemmeno troppo dissimulata, del fratello maggiore. Mi chiedo: non è forse ciò che sta caratterizzando anche il nostro tempo, il nostro oggi? Non si situa forse qui anche quella spaccatura, a volte sorda e rancorosa, a volte strombazzata con parole veementi quanto vuote, che attraversa la nostra Chiesa che ancora fatica a imbandire il banchetto festoso per tutte e tutti i figli del Padre?

Gesù realizza con le sue scelte, criticate all’inverosimile, quella convivialità che non esclude nessuno e che prefigura il tempo in cui, ma proprio tutti eh!, parteciperanno al banchetto di festa di Dio, quando colui che per ben 12 volte nel racconto (dodici… numero casuale?) è raccontato e definito “Padre” sarà finalmente tutto in tutti.

Un’ultima parola, o meglio, questione. E la madre? Non vi è alcuna madre in questa famiglia? Oso una risposta: quel Padre così “uterino” nei suoi sentimenti e atteggiamenti (ma dove lo trovi un “vecchio” che ti viene incontro correndo, spogliandosi così anche della sua dignità?) ci riporta ancora una volta al volto del Dio Creatore che riconosce se stesso, la sua immagine, nell’umano, nel semplicemente umano che è uomo e donna allo stesso tempo. Per questo fatichiamo tanto a cambiare l’immagine che ci siamo fatti di lui: un Dio così ti manda fuori giri, e “fuori tempio”, senza che tu te ne accorga. Questo è il bello del Felice Annuncio: un Dio che ti sbalordisce perché ama far festa con te, con noi, con tutti. 

Don Luciano Locatelli è presbitero della Chiesa di Bergamo, attualmente a tempo pieno in Caritas. “Laico” ridotto allo stato “pretale” dal 1988. 

giovedì 24 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Vincere il male con il bene

Lc 11,14-23

“In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero meravigliate. Ma alcuni dissero: «E' in nome di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. Egli, conoscendo i loro pensieri, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull'altra (…)»”.


L’ostinazione di molti, di fronte ai segni messianici messi in atto da Gesù, è indizio della chiusura e della durezza del cuore. Non vogliono capire la portata del “segno” che pone Gesù: la sua stessa vita come segno della presenza del Padre che non vuole donne e uomini “muti” davanti a sé, ma persone capaci e creatori di relazioni. Per questo alla fine di questa pagina Gesù dirà con estrema chiarezza: “Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde”. È un invito forte a decidersi, a non restare “con il piede in due scarpe”. È la chiamata al Regno che diventa il centro della vita di ciascuno: il Regno del Padre che si oppone a tutto ciò che svilisce a attenta alla dignità dell’uomo. Ferisce vedere come tanti che si dicono “cristiani cattolici” reagiscono sdegnati davanti ai segni che pone papa Francesco, arrivando a sostenere, come i contemporanei di Gesù, che dietro tutto quanto propone papa Francesco si percepisca il “fumo di satana”. Ferisce questa durezza di cuore che alla fine riesce a generare solamente divisione e rancore. A tutti, senza distinzione alcuna, Gesù chiede di prendere una posizione chiara: in suo favore o contro di Lui. E a tutti conviene mettersi bene in mente che Gesù non è un caposcuola che chiede adesione alle sue idee, ma un profeta che segnala con la sua vita il cammino di Dio.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 23 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Osservanza e assomiglianza


Mt 5,17-19

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: « Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. »“.




Sono certo che se chiedessi quanti sono i Comandamenti nessuno avrebbe difficoltà nel rispondere e, magari con qualche sforzo, la maggior parte potrebbe anche recitarli. La cosa si fa un po’ più complicata se ponessi la stessa questione circa le Beatitudini. Gesù infatti, nel testo del Vangelo di oggi, fa riferimento a quei “precetti minimi” che sono le Beatitudini e non, come spesso erroneamente si crede, ai precetti del Decalogo. La questione sta tutta qui. Compreso questo, si comprende anche il senso del testo di oggi. Gesù indica chiaramente che sì, vi è stata una Legge che ha cercato di creare una certa relazione con Dio, ma da questo momento si va oltre, si “dà compimento” a ciò che attendeva di essere portato a pienezza. Gesù non “getta via” la Legge ma propone qualcosa di nuovo, qualcosa che è capace di assumere e superare le vecchie istanze, qualcosa che spinge ad andare oltre la mera osservanza per entrare nella logica della somiglianza al Padre. Tutte le parole, le discussioni, le difese a oltranza di quel benedetto “Iota unum” sono solamente fini a se stesse se non vengono comprese alla luce del discorso della montagna in generale e alla luce delle Beatitudini in particolare. Proprio esse rappresentano i “precetti minimi” del Regno di Dio annunciato da Gesù: assunte come “legge fondamentale” di vita dal discepolo esse rappresentano il “compimento” dell’antica Alleanza. Vuoi osservare i comandamenti? Bene, dice Gesù, ma se vuoi ti mostro un’altra via, una possibilità nuova di costruire la tua relazione con Dio, o meglio, con il Padre.

Mi chiedo come mai, noi, cristiani, cioè discepoli di Gesù oggi, conosciamo così bene i Comandamenti ma non conosciamo allo stesso modo le Beatitudini, magna charta del cristianesimo. Forse perché le abbiamo talmente spiritualizzate da svuotarle del loro senso profondo; o forse perché abbiamo capito che, in fondo, è meno impegnativo starsene comodi in mezzo ai Comandamenti che ci dicono cosa fare, come fare, quando fare, e hanno il magico potere di farci “sentire a posto davanti a Dio”: ho fatto quel che dovevo, sono a posto. Le Beatitudini invece stravolgono continuamente la vita, ci obbligano a reinventarci ogni giorno, ci spingono ad abbandonare la categoria del merito (meretricio, è la stessa radice!) per entrare in quella della gratuità; esse ci dicono che siamo invitati a costruire una relazione con il Padre basata sull’assomiglianza e non più sull’osservanza. Questo è impegnativo, faticoso. E noi, quando possiamo, le fatiche le lasciamo volentieri ad altri.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 22 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Osare il perdono


Mt 18,21-35

“In quel tempo Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (…)”.



Pietro ha ascoltato le parabole di Gesù sulla misericordia di Dio. Conosce la sua capacità di comprendere, scusare e perdonare. Anche lui, Pietro, è disposto a perdonare “molte volte”, ma: c’è un limite a queste “volte”?

La risposta di Gesù è chiarissima: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”: devi, cioè, perdonare sempre, in ogni momento, in maniera incondizionata. Insomma, Gesù fa capire che non vi sono limiti al perdono.

Nel corso dei secoli abbiamo cercato mille modi per mitigare la risposta di Gesù: “perdonare sempre è dannoso”; costituisce “un incentivo per l’offensore”; si deve “prima esigere il pentimento”. Tutto questo sembra ragionevole, ma nasconde e sfigura quello che pensava e viveva Gesù.

Quasi sempre, quando ho scritto sul perdono, mi è capitato di ricevere lettere o messaggi in cui mi si accusava di dimenticare la sofferenza delle vittime, di non comprendere l’umiliazione di chi è stato ferito, di “non avere i piedi per terra”, di non “sapere come va il mondo”.

Non mi è difficile comprendere questa resistenza al perdono. Non posso, in effetti, non intuire la rabbia, l’impotenza e il dolore di chi è stato vittima della violenza. Ma proprio il risentimento e l’aggressività che si avvertono tra le righe di chi mi scrive mi fanno vedere con chiarezza ancora maggiore cosa sarebbe un mondo in cui fosse soppresso il perdono. Quando Gesù invita a non porre limiti al perdono, sta invitando a seguire la via più sana ed efficace per sradicare il male dalla nostra vita. Le sue parole poi acquistano una profondità ancora maggiore per chi crede in Dio come fonte ultima del perdono: “Perdonate e sarete perdonati”.

Diceva tanto tempo fa Henri Lacordaire: “Vuoi essere felice per un momento? Vendicati. Vuoi essere felice per sempre? Perdona”.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 21 marzo 2022

Buongiorno mondo!

"Padroni" di Dio



Lc 4, 24-30

“ (…)All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno (…)”.


Gesù ha appena ricordato ai suoi compaesani che essi non possiedono l’esclusiva di Dio: nessuno può vantare “diritti d’autore” nei confronti di Dio. Nessuno può dire che Dio è “fatto” in un certo modo e che il diritto di affermare questo è proprio solo di qualcuno. Come i compaesani di Gesù ci siamo, in una certa qual misura, “impossessati” di Dio, della sua Parola, della sua azione, escludendo tutte e tutti coloro che non rientrano nella nostra visione di Dio stesso. Ecco lo “sdegno” che monta come una marea impossibile da arrestare, ecco il “santo zelo” che genera il fondamentalismo integrista, perversione della religione e dell’esperienza di ogni fede.

Dopo venti secoli di cristianesimo fatichiamo ancora a comprendere che l’unico capace di rivelare il volto autentico di Dio è Gesù di Nazareth. L’avevano capito le prime comunità cristiane e ce lo hanno comunicato nei testi evangelici. Quale voce lasceremo nella storia? Il grido sdegnato di chi è sempre e solo contro o l’annuncio gioioso di un Dio che in Gesù si rivela Padre dell’umanità? Lasceremo parole rabbiose che escludono e costruiscono muri, o piuttosto parole condivise di misericordia che aprono strade di umanizzazione?

L’umanità è già troppo “rintronata” dal rumore della violenza e dell’ingiustizia: riserviamo piuttosto il nostro “sdegno” per tutto ciò che offende la dignità dell’uomo e non per salvaguardare quegli idoli muti che ci siamo costruiti a difesa delle nostre idee su Dio. Non possiamo possedere Dio: è Lui che possiede noi. Facciamocene una ragione.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

venerdì 18 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Umili operai


Mt 21,33-43.45-46

" (…) Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare (…)".



Inutile stare a cavillare: sono parole dure rivolte a una comunità che ha perso il significato della sua esistenza. Ogni volta che pensiamo di farci padroni della "vigna", ogni volta che pensiamo di appropriarci della verità perché "noi sappiamo cosa è meglio", ogni volta che agiamo pensando di fare meglio del Padre, allora perdiamo il senso della nostra esistenza; abbiamo dimenticato che "siamo semplicemente servi" sulle strade del Figlio dell'Uomo che è venuto per servire e non per essere servito. Troppe volte ce ne stiamo a guardare, sconsolati perché le cose "non sono più come una volta", troppe volte alziamo muri e barriere per la paura di perdere "il poco che resta". Ma così facendo la vigna va in rovina e non può più produrre il vino nuovo del vangelo e rischia solo di produrre aceto e per di più stantio. Ci è stato fatto il dono di essere portatori della buona notizia che il Padre accoglie tutti, che il suo amore è per tutti; nessuno ci chiede di tagliare rami che consideriamo secchi: questo è un lavoro che farà l'amore del Padre. A noi è chiesto di produrre il buon vino della compassione e della misericordia. Mettiamoci al lavoro, prima che la vigna passi ad altri.

Inoltre ai farisei "seccati" per le sue posizioni, il Maestro ricorda che "la pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo". È un invito a saper andare oltre le apparenze, a saper essere persone "intelligenti", che sanno guardare dentro la vita e non accontentarsi della superficie. Riprendiamoci l'uso del pensiero, la libertà di sperimentare e sperimentarsi in novità di vita, evitando di lasciarci intrappolare dalla rete del "tutti pensano così" e del "si è sempre fatto così". La Tradizione non è una sterile ripetizione del passato, un moto nostalgico del tempo di prima. Tradizione è saper ritrasmettere in modo sempre nuovo la freschezza del Vangelo.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 17 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Per i poveri, con i poveri



Lc 16,19-31

"(…) C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe (…)".



Se ieri il Maestro chiedeva ai suoi non di operare dei servizi ma di essere servi al servizio della vita, oggi esemplifica tutto questo con la nota, e indigesta a un certo mondo, parabola.

È un bel ritratto della nostra umanità dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ma i grandi scenari, le analisi macroscopiche, affondano le loro radici nel microcosmo delle nostre comunità e delle nostre singole scelte. Ogni passo compiuto nell'indifferenza mascherata da false paure dell'altro, intrisa di pensieri del tipo "tanto io cosa posso risolvere?", contribuisce alla creazione di nuovi poveri. Ogni comunità che celebra l'Eucaristia senza rendersi conto del "Lazzaro" che sta alla sua porta è una comunità che non celebra la cena del Signore ma partecipa al lauto banchetto del ricco, troppo impegnato a "riempirsi" per vedere gli altri.

Il ricco non è cattivo, ma peggio: è indifferente. Il ricco è l'esatto contrario del Padre che Gesù è venuto a rivelare: il ricco è talmente preso da se stesso che non si avvede dell'altro; il Padre, al contrario, è talmente preso dall'altro (da noi) che stravede per lui tanto da volerlo rendere simile a sé.

E noi da che parte stiamo?

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.




mercoledì 16 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Il potere del servizio



Mt 20,17-28

“(…) Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno» (…)”.


Parafrasando un noto detto potremmo dire che la “madre dei figli di Zebedeo è sempre incinta”. Ogni volta che facciamo del messaggio di Gesù un mezzo per coltivare la nostra sete di potere, non facciamo altro che dare voce a quella madre. Essa rappresenta in maniera molto concreta la perversione del messaggio evangelico, laddove il “servizio”, qualunque tipo di servizio, diventa sorgente di potere e oppressione dell’altro. Interprete dei pensieri più reconditi dei figli, ma anche degli altri dieci che alla fine fingono di essere scandalizzati e forse, in cuor loro, si maledicono per non essersi fatti avanti prima, la madre dei figli di Zebedeo è un’icona che ben descrive le tentazioni che serpeggiano dentro le nostre comunità. La tentazione di “ridurre” il messaggio di Gesù ai nostri ideali, di impacchettarlo dentro i nostri schemi mentali; la presunzione di “sapere” meglio e più di Lui come fare e quali strade percorrere per “salvare” il mondo. Ebbene, tutto questo, spesso, ci porta a fare richieste sconsiderate come quella della madre.

Davanti alla meschina e svilente domanda, il Maestro non può far altro che riproporre se stesso e le sue scelte: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire…”. L’unico “potere” ammesso nel Regno è quello di chi si fa servo; gli unici “posti d’onore” sono quelli ai piedi delle sorelle e dei fratelli per lavare loro i piedi. Ogni altra “richiesta” è destinata a frantumarsi ai piedi della Croce; ogni altra “pretesa” si perde nel “calice” pieno del dono della vita del Maestro. Come sempre, ad ognuna ed ognuno la scelta del calice cui dissetarsi.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 15 marzo 2022

Buongiorno mondo!

La "cattedra" del servizio



Mt 23,1-12

"Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno (...)".



Mosé ha cercato di dare al popolo una legge che portasse alla nascita di una nazione in cui giustizia e diritto potessero risplendere come un faro per tutti gli altri popoli. Una volta che la Torah è diventata appannaggio esclusivo di "scribi e farisei", questi l'hanno ridotta a un puro mezzo per conquistare potere sul popolo, creando così situazioni gravissime di ingiustizia... sempre "in nome di Dio". Nella comunità di Gesù non c'è posto per logiche di questo tipo. Non vi sono "studiati" che impongono e "popolino" che deve limitarsi a ubbidire. La comunità di Gesù nasce a servizio dell'uomo per aprire spazi al Regno, ossia al modo di essere presente di Dio nella storia, comunicando il suo amore a tutti e a ciascuno. Non abbiamo bisogno di maestri, ma di sorelle e fratelli testimoni di tale amore. Come sempre il Vangelo chiede di posizionarsi: mendichiamo un posticino presso una qualche "cattedra" per un po' di potere, o lavoriamo per il bene dell'uomo comunicando l'amore del Padre che si fa servizio?

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 14 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Essere misericordiosi


Lc 6,36-38

"In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso (…)".


Ecco le parole che ci consegna il Vangelo di oggi. Esse costituiscono il fondamento dell'etica cristiana. Etica che non si fonda più su una regola esterna all'uomo, imposta e alla quale obbedire perinde ac cadaver. Le scelte etiche del cristiano si fondano non più sull'osservanza ma piuttosto sull'assomiglianza. Il criterio che definisce le mie scelte, il mio stile di vita non è più dunque l'obbedienza servile, ma la somiglianza al Padre che è misericordioso ed esplicita la sua presenza proprio attraverso il dono incondizionato e gratuito della sua misericordia. L'accoglienza profonda e autentica di tale offerta di misericordia mi condurrà ad esprimere nella vita delle scelte coerenti con tale misericordia. La conversione consiste proprio nel cambiamento della mia immagine di Dio: da un Dio che pretende di essere servito a un Dio che serve. Questo ha mostrato Gesù, questo è il messaggio affidato a chi vuole farsi suo discepoli. Il cammino di metanoia (conversione) evangelica non è orientato primariamente verso Dio, ma verso l'altro, verso la sorella o il fratello che incrociano la mia storia. Perché? Perché questa è la via che Dio stesso, in Gesù, ha scelto. Accogliendo la sua misericordia nella mia vita, divento strumento di misericordia, aprendo spazi a Dio nell'umanità ferita o ancora preda di quell'insano egoismo che fagocita ogni cosa e persona.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

sabato 12 marzo 2022

Guerra in Ucraina. Si vis pacem... para iustitiam

Guerra in Ucraina. Si vis pacem... para iustitiam


Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 10 del 19/03/2022

Prima di offrire questa riflessione, premetto che sono contrario a ogni forma di violenza e, in particolare, alla guerra in ogni sua forma. Inoltre, se a chi legge non fosse chiaro, non parteggio per il Putin russo né per gli altri “Putin” sparsi per il mondo che fanno di guerre e devastazioni il loro hobby preferito. Desidero aprire la mia riflessione con la Pacem in terris di Giovanni XXIII: «Le comunità politiche hanno il diritto all’esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo: a essere le prime artefici nell’attuazione del medesimo; e hanno pure il diritto alla buona reputazione e ai debiti onori: di conseguenza e simultaneamente le stesse comunità politiche hanno pure il dovere di rispettare ognuno di quei diritti; e di evitare quindi le azioni che ne costituiscono una violazione. Come nei rapporti tra i singoli esseri umani, agli uni non è lecito perseguire i propri interessi a danno degli altri, così nei rapporti fra le comunità politiche, alle une non è lecito sviluppare se stesse comprimendo od opprimendo le altre» (51b). Il conflitto di questi giorni è il frutto di un seme piantato nel 2014 con lo scontro in Crimea e nel Donbass che ha generato le repubbliche indipendenti filo-russe. Quel seme ha prodotto il frutto avvelenato del conflitto cui stiamo assistendo non inermi, visto che stiamo inviando armi in Ucraina. Una domanda me la sono posta: dove eravamo nel 2014? Perché in quel conflitto che ha causato migliaia di vittime abbiamo girato lo sguardo dall’altra parte? Credo che una riflessione sia doverosa. Nel mondo dello spettacolo vige la massima The Show must go on. Anche tutto ciò che riguarda le relazioni con le altre nazioni sia improntato alla regola Business must go on. Non ci interessa tanto la Crimea o il Donbass, l’Afghanistan o il Congo o la Nigeria, per citare alcuni Paesi che vivono conflitti devastanti, ma il fatto che, al di là di tutto, Business must go on. In questo momento siamo tutti impegnati a dar sollievo, ad accogliere questa umanità ferita e dolente, impaurita e impoverita, che giunge dall’Ucraina. Tuttavia, se questa risposta immediata all’urgenza non viene attraversata da una seria e articolata riflessione che coinvolga tutte e tutti noi, nazioni, organismi internazionali, Chiese, sul tema della pace che sgorga dalla giustizia, dovremo rimboccarci le maniche per far fronte all’ennesima emergenza. Una pace intesa solo come assenza di conflitto e che non trovi il suo fondamento nella giustizia non può essere duratura. Una pace a servizio esclusivo del business, del denaro che genera potere e del potere che genera denaro, non può essere definita pace a meno di rinunciare al senso autentico delle parole (in questo siamo maestri: chiamare “operazione speciale” una guerra o definire “esportazione di democrazia” l’occupazione di un Paese ne sono un esempio lampante). Una pace così definita ha il sapore di una “tregua” concordata solo per concludere affari che non possiedono alcun tratto di umanità, al pari della guerra o di qualsivoglia forma di violenza. Non posso rinunciare al riferimento biblico. La narrazione della creazione (Genesi) è di una chiarezza disarmante. Il narratore non ci presenta un Creatore che vuole sottomettere il creato e trasformarlo in un palcoscenico da cui far sfoggio della propria onnipotenza, ma un Creatore che “si ritira”, che “fa spazio”, offre all’altro la possibilità di vivere e non di sopravvivere. Per questo invita l’umano a “mangiare di tutto ma non tutto”: lo invita a fare spazio all’altro affinché ciascuno possa vivere bene e in pienezza. Come? Invitando l’umano a farsi “pastore della propria animalità”, a far sì che l’animale preda dei propri istinti realizzi la chiamata all’umanizzazione delle relazioni con l’altro realizzando quella “somiglianza” con Colui della cui “immagine” è portatore. Questa è la riflessione che ci consegna quell’uomo di secoli fa che vede il suo mondo pieno di conflitti, come il nostro, abitato dalla bramosia di possesso, madre di conflitti e guerre. Con “giustizia” non intendo il semplice “a ciascuno il suo” (e già sarebbe un gran passo), ma la giustizia che impegna a umanizzare l’umanità, che “obbliga” a prendersi cura del bene dell’altro (che Gesù mostrerà con la sua parola e il suo modo di vivere). È la giustizia che prima di guardare al proprio business si chiede se il benessere attuale non sia prodotto dallo sfruttamento dell’altro. È la giustizia che non tiene conto solo del proprio orticello ma sa rifiutare la logica che permette di indossare, ogni tanto, la veste del “buon samaritano” per mettersi la coscienza a posto. È la giustizia che si traduce in quella carità evangelica che “in-forma” la mia vita e le mie scelte di ogni giorno (non come la carità ad libitum di certi politici che oggi vorrebbero recuperare profughi ucraini ma che ieri, davanti a profughi di altre guerre, si atteggiavano a “difensori della patria”). È la giustizia che deve prevalere nelle comunità che si professano cristiane, a volte più attente alla salvezza dell’economia che all’economia della salvezza, strada maestra per una giustizia umanizzata e umanizzante. Siamo tutti figli del detto Si vis pacem, para bellum. È ora che impariamo a declinare in altro modo: Si vis pacem, para iustitiam.

Trasfigurare Dio nell’umano

II DOMENICA DI QUARESIMA  Anno C 

Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17 - 4,1; Lc 9,28b-36

Tratto da: Adista Notizie n° 5 del 12/02/2022



Il testo evangelico proposto per questa seconda Domenica di Quaresima è noto come il racconto della “Trasfigurazione”. Occorre dire che, nonostante i titoletti riportati nelle nostre Bibbie, Luca evita accuratamente di utilizzare la parola “trasfigurazione”. Egli, infatti, si indirizza a un mondo pagano che conosceva già tante “trasfigurazioni”. In greco viene usata la parola “metamorfosi” e questa era usata per indicare per lo più la trasformazione degli dèi quando volevano apparire in forma umana.
Nel nostro testo Luca vuole evidenziare esattamente il contrario: è l’umanità di Gesù che permette di vedere Dio. In particolare Luca, invece di concentrarsi sulla “trasfigurazione”, richiama l’attenzione del lettore sul Volto. Quel Volto tanto desiderato, quel Volto che nemmeno Mosé poté vedere se non di spalle, quel Volto tanto agognato e pregato dal salmista che incessantemente invoca: «Mostrami il tuo volto… il tuo volto io cerco».

Nel Vangelo secondo Luca questo racconto chiude, per così dire, la prima parte che ruota attorno al tema della rivelazione dell’identità di Gesù. L’episodio costituisce la chiusa a una serie di domande riguardanti l'identità di Gesù che attraver-sano tutto il capitolo e si pone tra i primi due annunci della passione, che troviamo sempre nel capitolo 9. Non so per quale motivo i miei fratelli liturgisti abbiano tagliato il versetto ini-ziale che aiuta a comprendere meglio il nostro testo. Luca infatti scrive: «Circa otto giorni dopo questi discorsi…». Di che discorsi si tratta? Gesù, ai suoi, a noi dunque, ha appena comunicato il primo annuncio della sua passione nel quale lui stesso si definisce “Figlio dell’Uomo” (titolo dall’antico sapore profetico, in particolare di Daniele). Nell’evento sul monte, alla presenza dei tre discepoli, dalla nube esce una voce, la voce del Padre, che ribadisce e conferma quanto Gesù ha appena detto: «Questi è il mio Figlio… ascoltate lui!»: il “Figlio dell’Uomo” che ha annunciato la sua passione e morte nel dono totale di sé è “Figlio di Dio”, l’unico capace di rivelare il volto del Padre.

Nella scena sul monte Gesù mostra ai suoi, a noi oggi, il destino che ci appartiene, portando così a compimento il processo della creazione. Ricordiamo come, all’inizio dell’avventura dell’umanità, ci fu “una voce altra” che diede inizio alla perversione dell’immagine del Creatore, rovinando così la relazione con le cose, con le persone e con Dio stesso (cfr. I Domenica di Quaresima). Ne uscì un’immagine di Dio come di Colui che è geloso delle sue prerogative, talmente geloso di se stesso che non avrebbe mai voluto che potessimo diventare come Lui. Nella “trasfigurazione” Gesù ci dice e ci mostra esattamente il contrario perché ci fa vedere la volontà del Padre: ci vuole esattamente come Lui.

Ora, e torniamo ancora sulla questione: come e chi è Dio? L’unica risposta alla domanda è il “Figlio dell’Uomo”, Gesù di Nazareth. Accettando di essere “denudato” e “de-figurato” sulla croce, egli ci mostra l’autentico e non distorto volto di Dio. Facendoci entrare nella sua “trasfigurazione” che sarà totale sulla croce, ci indica la via per realizzare l’autentica somiglianza con Dio. Gesù “trasfigura” perché “de-figura” l’immagine di Dio che ci siamo fatti, riportandoci così di nuovo nel giardino iniziale, ma senza più la paura che ci ha portato a nasconderci. Gesù ci rivela il volto di Dio che non chiede offerte ma si offre in dono, e nella via del dono totale di sé indica la via per realizzare in pienezza la nostra umanità. La trasfigurazione è così un invito potente a imparare a pensare e a credere non solamente che Gesù è Dio, ma soprattutto che Dio è Gesù. Solamente così potremo davvero essere come e con Lui portatori sani di vita, di una vita ogni giorno trasfigurata in Lui.


Presbitero della Chiesa di Bergamo, don Luciano Locatelli è attualmente impegnato a tempo pieno in Caritas. “Laico” ridotto allo stato “pretale” dal 1988.  

venerdì 11 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Una giustizia "Vitale"



Mt 5,20-26

"In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli (…)".


Scribi e farisei, per quanto in parte temuti, erano comunque ammirati da buona parte del popolo. La loro "giustizia", cioè il loro essere irreprensibili davanti alle esigenze della Legge, la loro osservanza scrupolosa era un monito ben visibile e tangibile agli occhi del popolo. "Separati" dalla massa dannata dei peccatori si distinguevano per la loro adesione formale ad ogni precetto in risposta alle esigenze dell'Alleanza. Il guaio arriva quando l'adesione alla legge diventa fine a se stessa, anzi, peggio, diventa motivo di vanto agli occhi dell'Altissimo, la cui benevolenza deve prendere atto dei meriti accumulati di queste pie persone.

L'insegnamento di Gesù mette in luce questo pericolo e avverte coloro che vogliono osare l'avventura del Regno. La "giustizia", l'essere giusti davanti al Padre non dipende più dall'osservanza di un precetto esterno, ma dall'assomiglianza all'amore del Padre stesso. Questo è il passaggio da una religione che esige un Dio cui obbedire a una fede che invece apre una relazione di somiglianza con Colui che è datore di Vita. Sì, perché alla fine, questo Dio, o Padre o come lo si voglia chiamare non è altro che la Fonte, l'essenza stessa della Vita, il Principio Vitale in cui tutti siamo immersi. Lo stile di vita suggerito da Gesù per chi lo vuol seguire, ci porta proprio in questa direzione: quella di una Vita continuamente accolta e continuamente ridonata.

Per questo chiunque propugna la legge della violenza e della guerra, in tutte le svariate forme rese possibili dalla nostra perversa creatività, non può "entrare nel regno dei cieli". Oltre che assurdo, è totalmente inutile dare spazio e "parola" alle armi, e questa ultima guerra alle porte di casa ci sta mostrando ancora una volta quella "banalità del male" di cui solamente noi umani siamo capaci.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 10 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Cercatori instancabili


Mt 7,7-12

"Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto (…)".


Non si dice che cosa chiedere, che cosa cercare né dove bussare. L'importante è l'atteggiamento del vivere chiedendo, cercando e bussando. Siccome poco dopo Luca dice che il Padre «darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono», sembra che la prima cosa che si debba chiedere, cercare e
per la quale bussare sia lo Spirito Santo.

«Chiedete e vi sarà dato». Nella Chiesa si pianifica, si organizza e si opera cercando efficienza e rendimento. Ma spesso facciamo affidamento solo sul nostro sforzo. Non c'è spazio per lo Spirito. Chiediamo vocazioni sacerdotali e religiose pensando che sia la cosa più necessaria perché la Chiesa continui a funzionare, ma non chiediamo vocazioni di profeti, colmi dello Spirito di Dio, che promuovano la conversione al Vangelo.

«Cercate e troverete». Spesso non sappiamo cercare al di là del nostro passato. Abbiamo paura di aprire nuove vie dando ascolto allo Spirito. Non abbiamo il coraggio di reputare finito quello che ormai non genera più vita e invece soffochiamo la nostra ricerca creativa di qualcosa di veramente

nuovo e buono. Senza cercatori è difficile che la Chiesa trovi vie per l'evangelizzazione del mondo di oggi.

«Bussate e vi sarà aperto». Se nessuno bussa per chiamare lo Spirito, non si apriranno mai porte nuove. Difenderemo la sicurezza con tutte le nostre forze, quella sicurezza che viene dal passato. La paura dei cambiamenti ci paralizzerà e cadremo nella tentazione dell'accanimento terapeutico per salvare ciò che ormai deve essere lasciato andare. Ci manca la fede nello Spirito creatore di vita nuova. Costruiremo una Chiesa-cittadella, al riparo da pericoli e minacce, ma sarà una Chiesa senza gioia e senza vivacità, perché ci mancherà lo Spinto Santo di Dio, l'essenza creativa del Padre.

A noi la scelta: o la via del perenne capezzale, o la via della "maieutica" per una Chiesa invitata a rinascere.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 9 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Un Dio inedito

Lc 11,29-32

"Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona (…)".


Il libretto di Giona è stato scritto quasi in reazione alla deriva fondamentalista che l'autore sperimenta nella riforma di Esdra e Neemia durante la ricostruzione postesilica. Il bisogno profondo di ritrovare le proprie origini, di ritornare alla propria identità dopo l'amara e tragica esperienza dell'esilio a Babilonia, conduce Israele a una sorta di chiusura quasi ermetica di fronte "agli altri", a coloro che non "conoscono il vero e unico Dio", "quelli che hanno calpestato il nostro popolo, la nostra dignità". Leggiamo in Neemia: "In quei giorni vidi anche che alcuni Giudei si erano ammogliati con donne di Asdod, di Ammon e di Moab; la metà dei loro figli parlava l’asdodeo, nessuno di loro sapeva parlare giudaico, ma solo la lingua di un popolo o dell’altro. Io li rimproverai, li maledissi, ne picchiai alcuni, strappai loro i capelli e li feci giurare su Dio: «Non darete le vostre figlie ai loro figli e non prenderete le loro figlie per i vostri figli o per voi stessi. Salomone, re d’Israele, non ha forse peccato appunto in questo? Certo, fra le molte nazioni non ci fu un re simile a lui: era amato dal suo Dio e Dio l’aveva fatto re di tutto Israele; eppure le donne straniere fecero peccare anche lui. Dovremmo dunque ascoltare voi e fare tutto questo grande male e prevaricare contro il nostro Dio sposando donne straniere?». Uno dei figli di Ioiadà, figlio di Eliasìb, il sommo sacerdote, era genero di Sanballàt, il Coronita; io lo cacciai via da me. Ricòrdati di loro, mio Dio, poiché hanno profanato il sacerdozio e l’alleanza dei sacerdoti e dei leviti. Così li purificai da ogni elemento straniero e ristabilii gli incarichi dei sacerdoti e dei leviti, ognuno al suo compito…" (Ne 13,23-30).

Non è forse questo un monito anche per il nostro tempo? Non è forse questo "il segno di Giona" per noi oggi? Giona viene inviato a Ninive, storica potenza nemica d'Israele, perché possa accogliere l'annuncio della misericordia del Signore.

Noi, che oggi viviamo ed esprimiamo in maniera più che visibile questa tentazione di rinchiuderci, come Chiesa e come Stato (Prima gli Italiani!), dentro la nostra cittadella fortificata per godere e bearci delle nostre ricchezze spesso generatrici di ingiustizie, per ribadire che possediamo l'unica verità su tutto e tutti, che l'unica vera chiesa siamo noi, a noi oggi viene dato il segno di Giona. E questo segno non è da cercare in visioni o apparizioni (i vari "segreti" affidati ai "visionari" li lasciamo volentieri a quelli che sguazzano in queste cose). Il segno è Colui da cui traspare il volto di un Dio che "fa sorgere il suo sole sui giusti e sugli ingiusti", Gesù stesso. Come sempre a noi la scelta: di quale Dio vogliamo essere figli? Di quale Maestro vogliamo essere discepoli?

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 7 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Come e con Lui



Mt 25,31-46

"«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra (…)".



Basta l'incipit per riconoscere immediatamente questa pericope evangelica in cui il Maestro si identifica con coloro che sono nel bisogno: "...l'avete fatto a me" .

La provocazione che lancia il Maestro a chi vuole seguirlo è devastante dal punto di vista della religione. La figura del discepolo/credente che ne esce infatti rimanda a colui che non "fa" ogni cosa per Dio, ma come e con Lui. E per sapere come opera Dio, o come lo si voglia chiamare, bisogna guardare Gesù, il quale ribadisce che Dio non considera i meriti delle persone ma i loro bisogni e in base a questi agisce.

Gli occhi di Gesù sono il riflesso di Colui che "vede" l'oppressione e la miseria del suo popolo e decide di intervenire. Nella narrazione biblica il primo volto di Dio conosciuto da Israele è quello di Liberatore, di Colui che interviene per farsi carico della sofferenza del suo popolo e farlo uscire da essa. Gesù, nella sua vita, è "passato facendo del bene", cioè mettendo sempre come e con il Padre il bene dell'uomo al primo posto e come criterio di ogni scelta.

Per questo possiamo affermare che alla fine della nostra vita non conteranno tanto le pratiche di pietà cui abbiamo partecipato, ma la pietà che abbiamo vissuto e condiviso; non conteranno tanto le "belle messe" cui abbiamo assistito, ma le volte in cui siamo stati capaci di farci noi stessi pane per l'altro. Insomma, non saremo valutati tanto per ciò in cui abbiamo creduto, ma per come siamo stati capaci di "farci prossimi" all'uomo sofferente, umiliato e derubato della sua dignità da scelte politiche ed economiche disumane. Quel "l'avete fatto a me" significa, in ultima analisi, "l'avete fatto come e con me".

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

venerdì 4 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Uno stile sobrio


Mt 9,14-15

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».



Il digiuno è una delle pratiche che caratterizza nei secoli il tempo quaresimale. Non stiamo qui a discutere sulla validità o meno di tale pratica. Mettendo dentro la nostra cultura la parola digiuno forse possiamo allargarne il significato.
Indiscutibilmente viviamo in una società caratterizzata dal troppo da una parte e dal nulla dall'altra: chi "ha" pare avere sempre di più, chi non "ha" pare cadere sempre più in basso.
Ha senso allora chiedere il digiuno, così come inteso nella tradizione, a chi fatica a mettere in tavola qualcosa? Se è questo il digiuno voluto da Dio, allora, scusate, ma non è il mio Dio.
E se al posto della parola digiuno provassimo a inculturare il messaggio evangelico e parlassimo di sobrietà? Potremmo, in coscienza, domandarci seriamente: ma il modello di sviluppo che stiamo esportando e chiedendo a tutto il mondo, è un modello veramente "umano"? O è un modello finanziario e capitalistico che produce ingiustizie e diseguaglianze a spron battuto.
Mi chiedo: ma tutti i propugnatori dei digiuni al fine di allontanare l'iradiddio e provocare la conversione, da che parte del mondo, o della tavola, vivono?
Sii sobrio, pratica la giustizia, coltiva la solidarietà, spezza il tuo pane piuttosto che digiunare: allora potrai partecipare al banchetto di nozze dello Sposo. Il digiuno è il segno che sei disposto a fare spazio all'Altro e all'altro: non è solo questione di cibo, ma di ogni cosa della quale ti riempi pur di non fare spazio all'A/altro, ogni cosa che ti dona la sensazione di quella pienezza che serve esclusivamente a colmare i tuoi vuoti esistenziali.


Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.


giovedì 3 marzo 2022

Buongiorno mondo!

SE… vuoi...


Lc 9,22-25

"(…)Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà (…)".



Pagina impegnativa il vangelo di oggi! "Rinnegare se stessi": un invito a nozze per i predicatori del terrore spirituale! "Umiliati! Abbassati! Rinuncia a te stesso!". Ci potrebbe anche stare, ma ci si dimentica che quel "rinneghi se stesso" è preceduto da un invito non da poco: " Se qualcuno vuol venire dietro a me". C'è un "SE" grande come una casa; un "se" grande perché interpella la libertà di ciascuno e quando si arriva a toccare la libertà personale cominciano i "Sì, ma…". Fissiamo i paletti. Chiariamo i limiti. Leggiamo le "righe piccole" del contratto… poi vediamo se è il caso.

La proposta del Maestro non si limita a fornire degli insegnamenti, a dare delle lezioni. Dice semplicemente: "Io faccio così, se vuoi, fai anche tu lo stesso". Non si tratta di "andar per dottrine" ma di scelte e di stile di vita, di uno stile che "in-forma", "dà-forma" alla vita concreta, quella delle scelte quotidiane, quelle scelte che incidono e "in-formano" le relazioni quotidiane con l'altro e l'Altro.

La proposta del Maestro persegue la direzione voluta dal Creatore per l'umanità: essere e diventare uomini e donne vuol dire essere e agire come Lui, vuol dire prendersi cura e custodire la creazione intera perché sia "Eden" per ogni persona. "Rinunciare a se stessi" non significa svalutarsi, degradarsi, buttarsi via: significa rinunciare a qualsiasi ambizione e desiderio di potere sull'altro; significa smettere di pensarsi come unici detentori di verità; significa accettare di mettersi in ginocchio a servizio della vita dell'altro, anche in perdita, a "immagine e somiglianza" di Colui che "fa piovere sui giusti e sugli ingiusti", a immagine di Colui che davanti alla somma ingiustizia non chiama a raccolta le truppe ma dice semplicemente: "Padre, perdona…".

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 2 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Ritorno alla sorgente



Mt 6,1-6.16-18

"State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli (…)".



Con queste parole del Maestro inizia il tempo forte della Quaresima. Malauguratamente è stato spesso considerato un tempo di mestizia, di rinunce, di penitenze poste sotto lo sguardo corrucciato di un Dio che sembra quasi voler dire a ciascuno: "Attento a te! Ti sto osservando!".

Per me è un tempo dedicato a ciò che l'ebraico definisce "teshuvà", che caratterizza una dinamica di pentimento, per certi aspetti, ma soprattutto di ritorno, di risposta.

Ritorno a cosa? Alla fonte, alla sorgente, a quel pozzo inesauribile che è la Sua Parola. Quaresima per me è il tempo particolare dell'ascolto, il momento in cui ciascuno è invitato a dare carne alla evocativa definizione di Maria della Tradizione orientale: La "Tutta Orecchio". Quaresima è il tempo dell'ascolto gioioso e confidante, fiducioso e capace di abbandono. E questo ascolto ci aiuta a riprendere la barra del cammino, a guardare in faccia quelle tentazioni di ipocrisia che ci portiamo nel cuore, quelle che ci fanno agire per il nostro buon nome, in difesa delle nostre sole idee, definitive e solenni. Quaresima è un percorso di ascolto per imparare ad agire come e con il Maestro per ritrovare un'identità umana ancora più "somigliante" a quella "Immagine" che ci è stata data in dono.

Quaresima: tempo per lasciare la nostra "polverosa argilla" tra le mani del Vasaio sapiente che ci modella fino a far uscire dalla forma grezza la bellezza dell'Immagine in noi celata, spesso sporcata e incrostata da pratiche religiose che nulla hanno in comune con la fede ma che in compenso esaltano il nostro essere piccoli ipocriti in perenne ricerca di potere, gloria e ricchezza.

Quaresima, tempo di ascolto per diventare ascoltatori di una storia che oggi più che mai esige profeti, uomini e donne autentici, guaritori feriti, peccatori perdonati, uomini e donne che non vivono di proclami e promesse elettorali buone per tutte le pance ma uomini e donne che osano aprire squarci di Pasqua nel cielo bruno dell'umanità intera.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 1 marzo 2022

Buongiorno mondo!

Proprio tutto?


Mc 10,28-31

"In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (…)".



Dopo l'incontro col ricco che si lascia avvolgere dalle reti della sua ricchezza, ora è Pietro a farsi avanti, lui che ha davvero lasciato le reti e tutto quanto. "Abbiamo lasciato tutto…". Sicuro Pietro di aver lasciato proprio tutto? A leggere bene la narrazione di Marco non mi sembra che tu abbia lasciato proprio tutto! Va bene, il lavoro, la casa la tua vita ordinaria... Ma sei sicuro che il tuo cuore sia veramente libero? Non è per caso che qualche ideuzza circa il Messia, il suo "potere", la sua "gloria" te la porti ancora dentro?

Quando nel nostro cuore non vi sarà più alcun desiderio di potere e di ricchezza; quando anche noi, come il Creatore, entreremo nello "shabbat" per fare spazio all'altro, segno della disponibilità al totalmente Altro; quando rinnegheremo quella bramosia dei progenitori di voler "mangiare tutto" per "dominare" senza custodire, per comandare senza farci "pastori della nostra animalità"; quando sapremo orientare le nostre scelte quotidiane a partire dal dono e non dal merito; quando finalmente saremo capaci di amare l'altro come e con l'Altro; quando saliremo su una croce pronunciando parole di perdono "a perdere", solo allora potremo provare a dire: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito".

Fino a quel giorno camminiamo dietro al Maestro, umilmente.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.