sabato 26 marzo 2022

Alla scoperta del Padre

ANNO C, 27 marzo 2022, IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO; Gs 5,9a.10-12; Sal 33; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

Don Luciano Locatelli 


Tratto da: Adista Notizie n° 7 del 26/02/2022


Conosciuta abitualmente come la parabola del “figliol prodigo”, è, di fatto, la “parabola del Padre”. Siamo soliti leggerla come un invito ad accogliere il perdono che Dio offre e a non restare “fuori” a brontolare come il fratello più grande. Questa parabola, conosciuta e riportata solamente da Luca, è rivolta a tutti i “teofili” e invita alla conversione. Una conversione che riguarda in particolare il cambiamento necessario dell’immagine di Dio che, sia il giusto sia il peccatore, devono fare. Gesù, in questo testo, giustamente considerato il “Vangelo nel Vangelo”, invita a passare (un verbo decisamente pasquale) dalla delusione del proprio peccato o dalla presunzione della propria giustizia, alla gioia di essere figli di un Padre che con tutti e per tutti è desideroso di “fare festa”.

Il “peccato” che accomuna entrambi i figli (sono fratelli, ma in primo luogo sono figli!) è la cattiva e distorta opinione, o immagine, che hanno del padre. Questo porta entrambi a mettere in atto strategie opposte ma certamente accomunate da quella immagine di padre-padrone riversata su Dio, il Padre, che essi si sono costruiti. 

Il primo, per liberarsi da questa figura vista e ritenuta opprimente, vive secondo la strategia o il principio esclusivo del piacere. Sceglie dunque di vivere la sua esistenza in totale libertà, ma di una libertà che si rivelerà ben presto bisognosa di liberazione. In effetti questa presunta “libertà da”, orfana delle sorelle “libertà per” e “libertà con”, lo conduce sulla via dell’annichilimento, dell’oblio di sé e delle sue radici. È il figlio modello “vispa Teresa”, dove una falsa idea di libertà porta all’inconsistenza del vivere.

Il secondo, per tenersi buono questo Dio/Padre ritenuto e vissuto come severo e arcigno, mette in atto la strategia del dovere, che si esprime in una religiosità servile totalmente scevra da ogni gioia di vivere. È il figlio modello “mai ‘na gioia”, dove legalismo perfezionista e vittimismo disperato conducono alla stessa inconsistenza del vivere del fratello minore. Entrambi i figli sono rappresentativi di ciò che spesso abita dentro la nostra esperienza spirituale che genera poi lo stile di vita che mettiamo in atto: la non conoscenza, o la conoscenza distorta, di Dio.

Penso che il primo intento della parabola narrata da Gesù (che qui si rivela davvero essere un geniale narratore di quelle trappole linguistiche che sono le parabole) sia quello di condurre il fratello più grande ad accettare il fatto che Dio è misericordia. Se questa è scoperta gioiosa per il peccatore, essa assume i tratti di una sconfitta mortale per il giusto. I sentimenti prevalenti che pervadono il racconto, a mio avviso, sono essenzialmente due. Da una parte la compassione del Padre, dall’altra la collera, nemmeno troppo dissimulata, del fratello maggiore. Mi chiedo: non è forse ciò che sta caratterizzando anche il nostro tempo, il nostro oggi? Non si situa forse qui anche quella spaccatura, a volte sorda e rancorosa, a volte strombazzata con parole veementi quanto vuote, che attraversa la nostra Chiesa che ancora fatica a imbandire il banchetto festoso per tutte e tutti i figli del Padre?

Gesù realizza con le sue scelte, criticate all’inverosimile, quella convivialità che non esclude nessuno e che prefigura il tempo in cui, ma proprio tutti eh!, parteciperanno al banchetto di festa di Dio, quando colui che per ben 12 volte nel racconto (dodici… numero casuale?) è raccontato e definito “Padre” sarà finalmente tutto in tutti.

Un’ultima parola, o meglio, questione. E la madre? Non vi è alcuna madre in questa famiglia? Oso una risposta: quel Padre così “uterino” nei suoi sentimenti e atteggiamenti (ma dove lo trovi un “vecchio” che ti viene incontro correndo, spogliandosi così anche della sua dignità?) ci riporta ancora una volta al volto del Dio Creatore che riconosce se stesso, la sua immagine, nell’umano, nel semplicemente umano che è uomo e donna allo stesso tempo. Per questo fatichiamo tanto a cambiare l’immagine che ci siamo fatti di lui: un Dio così ti manda fuori giri, e “fuori tempio”, senza che tu te ne accorga. Questo è il bello del Felice Annuncio: un Dio che ti sbalordisce perché ama far festa con te, con noi, con tutti. 

Don Luciano Locatelli è presbitero della Chiesa di Bergamo, attualmente a tempo pieno in Caritas. “Laico” ridotto allo stato “pretale” dal 1988. 

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