lunedì 30 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Lasciare… le reti

Mt 4,18-22

In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedèo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.



Oggi la liturgia festeggia S. Andrea e il vangelo ci narra appunto il suo primo incontro con il Maestro e la conseguente chiamata.

La chiamata di Gesù è sempre per la vita: chiede ai suoi di lasciarsi trasformare profondamente per diventare donatori di vita. Questo è il senso dell’essere pescatori di uomini: tirare l’uomo fuori da tutto ciò che lo opprime, svilisce la sua dignità e libertà; liberare l’uomo da quelle reti di morte che gli impediscono di vivere in pienezza, secondo il progetto del Padre, la propria esistenza. Ecco perché la comunità cristiana è “esperta in umanità”: non perché offre una risposta preconfezionata e assolutamente valida per ogni situazione, non perché sale in cattedra per dare lezioni di vita e morale adatte ad ogni donna e uomo indistintamente ma perché lotta con tutte e tutti coloro che vogliono aprire spazi di vita e percorrere sentieri di libertà dentro l’umanità stessa. Il Maestro ci invita a farci con Lui e come Lui pescatori di uomini, non accalappiatori!

Sorella, fratello: in quanto discepoli, come e con il Maestro, invitiamo a libertà, non a nuove schiavitù. In questo senso occorre comprendere e ricomprendere che il Vangelo si propone e non si impone: non veniamo chiamati a dare vita per poi riprendercela in qualche modo! Essere “pescatori di uomini” significa rinunciare a qualsiasi velleità di potere sull’umanità e porsi invece a servizio della vita da far crescere ogni giorno lì dove la storia ci ha messo. Come Andrea lasciamo quelle "reti" che ci impediscono di essere liberi per camminare dietro al Maestro e imparare a spargere semi di umanità nella faticosa quotidianità in cui siamo immersi. Il Maestro non ci vuole bravi e buoni per poterci scegliere: ci prende come siamo, dove siamo, dentro la nostra storia, per permetterci di realizzare quella somiglianza divina della cui immagine siamo portatori troppo spesso inconsapevoli.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.



venerdì 27 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Custodi dei germogli della Parola

Lc 21,29-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».



Dopo aver descritto il faticoso travaglio della storia per generare "cieli nuovi e terra nuova", oggi il Maestro invita di nuovo a stare ben svegli e a saper leggere i segni della crescita del Regno dentro la stessa storia dell'umanità.

Il Regno conosce la sua primavera dentro le vicende umane e mostra i suoi germogli in quelle realtà quotidiane, banali, come può essere una pianta di fico, che tutti possono vedere e percepire ma di cui tanti non si accorgono, tanto abituale è la sua presenza. Si tratta di vivere la propria faticosa, e a volte dolorosa, quotidianità con li occhi vigili e attenti a cogliere i semi di speranza che in essa germogliano. E questa attitudine non si fonda su pie illusioni, ma si regge sulla promessa di una "parola che non ritornerà a me senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata": ecco perché le sue "parole non passeranno". Cadranno le nostre strutture, anche ecclesiali (magari qualcuna anche subito, vero?), cadranno catechismi, sentenze teologiche, dogmi intoccabili, valori non negoziabili, cadranno anche i sacramenti (quelli celebrati e quelli "tirati giù") "ma le mie parole non passeranno", dice il Maestro. Questa Parola ci è consegnata perché sappiamo ritradurla e seminarla nel nostro oggi.

Sorella, fratello: l'unica certezza, la sola roccia su cui possiamo stare saldi è quella della sua Parola. Quella Parola che risuona fin dai primordi; quella Parola che ha sussurrato alla luce (in ebraico pare proprio un sussurro: Sia luce, yehì ’ór) affinché illuminasse senza violenza le profondità della nostra storia; quella Parola che non ha esitato a farsi carne della nostra carne per dare a noi la possibilità di diventare parole della Parola.
Ci viene chiesto di essere vigili, attenti: i germogli di questa Parola sono delicati come quelli del fico. Essi hanno bisogno di custodi che ne curino la crescita, che li coltivino con passione, che attendano con pazienza il tempo della fioritura perché i dolci frutti possano essere gustati dall'umanità intera. Chi ha orecchi…

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 26 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Osare la speranza

Lc 21,20-28

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».



I discorsi apocalittici raccolti nei vangeli riflettono le paure, le ansie, le incertezze di quelle prime comunità cristiane, fragili e vulnerabili, che vivevano in mezzo al vasto Impero Romano tra conflitti e persecuzioni, nell'incertezza del futuro, senza sapere quando sarebbe tornato Gesù, il loro amato Signore.

Dopo venti secoli, la Chiesa attuale cammina come un'anziana signora, "curva" sotto il peso dei secoli, delle lotte e dei travagli del passato, cosciente dei suoi errori e dei suoi peccati, senza poter mostrare la gloria e il potere di altri tempi. È dunque il momento di ascoltare di nuovo la chiamata del Maestro: "Risollevatevi", incoraggiatevi a vicenda. "Alzate il capo": con fiducia, evitando di guardare al futuro basandovi solo sui vostri calcoli e le vostre previsioni. "La vostra liberazione è vicina", riscoprite la forza del vostro liberatore, il Signore Gesù.
È l'invito a rimettere al centro la Parola, cioè la vista stessa di Colui che ha percorso nel tempo i sentieri della nostra storia seminando in essa semi di speranza, di liberazione: i semi del Regno.

Sorella, fratello: la speranza non è un fattore alienante, una pillola che addormenta la coscienza lasciando che le cose vadano come vadano perché "tanto domani ci penserà Lui". La speranza non è un atteggiamento passivo, ma uno stimolo che spinge all'azione. Chi vive animato dalla speranza, che affonda le sue radici nella presenza continua del Maestro, si fa carico dei problemi e delle difficoltà della storia quotidiana, in maniera creativa, agendo, cercando soluzioni e infondendo fiducia.
La nostra storia oggi ha davvero bisogno di donne e uomini che osino la speranza, come instancabili cercatori del Regno di Dio e la sua giustizia.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 25 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Testimoni inermi

Lc 21,12-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza.
Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».



Il testo del vangelo proposto dalla liturgia odierna è una sorta di fotografia di quanto stanno vivendo le prime comunità cristiane: persecuzioni, uccisioni, dolorose divisioni che arrivano fin dentro le famiglie. La novità del Vangelo, la portata del suo messaggio liberante e liberatorio è così sconvolgente da scatenare la reazione violenta dell'ordine costituito. La denuncia e il conseguente rifiuto di piegarsi davanti agli idoli dell'avere, del potere e dell'apparire fanno sì che i discepoli del Maestro siano da considerarsi elementi estremamente pericolosi per la società dell'epoca. Vivere le beatitudini è molto, molto pericoloso. Ma: "con la vostra perseveranza salverete la vostra vita". Che significa: con la vostra fedeltà allo stile di vita del Maestro anche se crocifissi con lui sarete donne e uomini dalla vita nuova, che non finisce mai.

Sorella, fratello: non mi ricordo quale autore un giorno pronunciò queste parole: "Se dovessero portarci in tribunale e accusarci di essere cristiani, troverebbero le prove per condannarci?".
Non credo vi sia bisogno di dire altro, per oggi.
Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 24 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Terrorismo religioso?

Lc 21,5-11

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.



A prima vista sembrerebbe un testo evangelico adatto proprio alla predicazione farneticante dei seguaci del direttore di Radio Maria.
Grazie a Dio il Vangelo è ben altro e ben oltre questo tipo di farneticazioni pseudoreligiose!

La storia dell'umanità, per causa nostra o per cause indipendenti dalla nostra volontà, è sempre stata segnata da "terremoti, carestie e pestilenze". Questo non è un invito a vivere con fatalistica rassegnazione gli eventi della storia: qui non c'è posto per il "camm' a fa" degli amici napoletani (con cui, da tempo, vivo una splendida storia di amicizia, di sostegno, di familiarità). Il Maestro chiede ai suoi di esercitare il discernimento e di non lasciarsi attirare nella trappola di tutti coloro che "usano" questi eventi per propagandare un'immagine di Dio distorta: "Non andate dietro a loro!". Gesù invita i suoi ad aprire bene gli occhi per non perdere la via, cioè Lui, l'unico che siamo chiamati a seguire, l'unico che ci chiede ogni giorno di tornare dietro a Lui per imparare a seminare nei solchi della storia i semi del Regno.

Sorella, fratello, troppi oggi si affannano a creare frastuono per nascondere la voce del Maestro. Troppi urlano: "Sono io" o "Il tempo è vicino" per generare quel senso di paura che ti fa gettare nelle loro braccia, che ti spinge ad affidare loro la tua vita e la tua libertà.
Abbiamo un solo Maestro, che ha scelto di consegnare la sua vita nelle nostre mani perché con Lui e come Lui continuiamo il progetto della creazione. Non vi sono segreti, non vi sono minacce: solo il suo continuo invito a seguire Lui, a fidarci di Lui e della sua Parola.

"Badate di non lasciarvi ingannare": e tu a che punto sei? Chi hai scelto di seguire?

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 23 novembre 2020

Buongiorno mondo!

"Hanno occhi e non vedono…"

Lc 21,1-4

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio.
Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».



Mentre puntano il loro sguardo sui VIP del momento (chissà mai che uno di loro mi noti…), il Maestro guarda al di là delle apparenze e, forse unico tra gli astanti, coglie la presenza di un'invisibile del suo tempo, una vedova, rappresentante suo malgrado di una delle classi più deboli e sfruttate della sua epoca. Sfruttata e oppressa da un sistema che anche nella sua espressione religiosa non si faceva scrupolo di depredare i più deboli e economicamente fragili. Infatti la vedova, pur nella splendida bellezza della sua fede in Colui che è "difensore delle vedove e degli orfani", non si rende conto di far parte e di sostenere un sistema religioso che in nome di quello stesso Dio cui lei si affida succhia il sangue anche dei suoi figli più deboli e piccoli. E nella sua fede in Dio, inconsapevolmente, alimenta questo sistema che in nome di Dio arricchisce i professionisti del sacro e impoverisce il popolo. Una foto così, purtroppo, alla luce degli ultimi accadimenti che ci hanno toccato come Chiesa (cardinali affaristi in combutta con brokers senza scrupoli che alimentano quel Molok della finanza che proprio in questi giorni papa Francesco ha ripudiato), non sfigurerebbe nel nostri oggi. Chissà oggi a chi rivolgerebbe il suo sguardo il Maestro dentro la Chiesa?

Sorella, fratello, il Maestro oggi volgerebbe il suo sguardo su di te? O sei troppo impegnato a mescolarti con i ricchi e i potenti che sfoggiano la grandezza della loro "fede" misurandola col il tintinnio, o meglio, con il fruscio di banconote spese per acquistare "meriti e indulgenze" davanti a Dio. Davanti a quel Dio che abbiamo trasformato spesso in un nostro compare di finanza, credendo di averlo piegato a quelle logiche che identificano la nostra ricchezza in segno di benedizione divina, il nostro successo in segno di benevolenza e il potere acquisito in segno di vicinanza.

Chi guarderebbe il Maestro oggi? 
Il tuo sguardo va nella stessa direzione di quello del Maestro?

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

domenica 22 novembre 2020

Nessuno può possedere Dio (III di Avvento 2020)


III DOMENICA DI AVVENTO; Is 61,1-2.10-11; Cant. Lc 1,46-50.53-54; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28


La scorsa domenica siamo entrati nel deserto con Giovanni per compiere il nostro nuovo esodo: uscire da una concezione che ha generato immagini distorte di Dio per andare incontro a Colui che, nella sua carne, con il suo stile di vita, è “inviato” per ridare autenticità e freschezza a quello stesso Volto.

Tradizionalmente questa terza tappa di Avvento è chiamata la domenica “Gaudete”, “gioite” e così, in verità, dovrebbe essere. Il testo del profeta Isaia proclamato nella prima lettura è un invito profondo alla gioia che nasce da un lieto annuncio: Dio ci vuole felici, vuole condividere con noi l’anno, il tempo della misericordia gratuita, il tempo in cui Lui ci mostra in quale modo si prende cura di noi.

Non tutti, purtroppo, riescono a fare festa, a gioire, a rallegrarsi del dono divino attraverso il quale comprendiamo come la nostra miseria diventa misura della sua misericordia.

Il testo giovanneo del Vangelo (una sorta di “spezzatino” a fini liturgici… I criteri dei liturgisti nella scelta delle pericopi evangeliche restano, a volte per me, un mistero insondabile!), il testo del vangelo odierno, dicevo, ci pone in presenza di una reazione all’annuncio del Battista. Quanto meno qualcuno reagisce (mentre davanti a certe omelie tutti restano in religioso silenzio…).

Abbiamo appena udito la flebile eco della Parola nella voce di Giovanni, abbiamo appena percepito in lontananza la luce di Colui che sta per venire e subito l’autorità costituita entra in azione.

È il paradosso dell’avventura biblica: coloro che predicano un Dio inafferrabile sono proprio coloro che se ne sono impossessati e lo hanno reso così inconoscibile a tutti gli altri. Abilmente nascosti dietro l’osservanza formale della precetto, dettano legge su come “accontentare” Dio, su come renderlo “felice”, su come attirare il suo sguardo benevolo. Basta una Messa… una confessione, un’offerta, perché no? E Dio te ne renderà merito. Un Dio che, a quanto pare, non sa ancora se rendere a Cesare o tenere per sé.

La “Una Vox” del potere religioso si fa sotto in fretta silenziando quella Parola che tenta di farsi ascoltare senza imporsi (cifra dell’annuncio che sarà di Gesù: il Vangelo si propone ma non si impone), per spegnere quel “lucignolo fumigante” che, in lontananza, si preannuncia ma che pur saprà poi far divampare il “fuoco sulla terra”.

Chi ritiene di conoscere e possedere Dio si guarda bene dal permettere ad altre voci, ad altra Parola, fosse anche quella di Dio stesso, di farsi udire. Qualcuno, e sappiamo bene chi, diceva che “Il potere logora chi non ce l’ha”, ma è anche vero che mantenere il potere è logorante: il prezzo è alto, occorre essere disposti a costruire altari su altari per sacrificare le vittime designate alla bisogna.

È questa, dunque, una domenica gioiosamente impegnativa!

Il sacerdote, che ha al suo fianco il portaborse levita, con il sottile e, sovente, ipocrita fariseo non sono personaggi sfocati nel tempo, lontani da noi, immersi ed emergenti dalle nebbie del tempo.

Essi hanno trovato un comodo rifugio dentro le nostre coscienze e le nostre comunità e fanno capolino ogni volta che siamo refrattari a mettere in discussione, a porre qualche dubbio circa le nostre comode, tranquille e tranquillizzanti immagini di Dio che custodiamo gelosamente e non permettiamo a nessuno, nemmeno a Dio, di metterle in crisi.

La gioia di questa domenica, la gioia del Felice Annuncio, demolisce tutto questo, getta a terra l’austera e severa esperienza religiosa che ha reso Dio un obbediente servo dei nostri desideri di potenza (o onnipotenza).

Allora, sorella, fratello: “Che cosa dici di te stesso?”. È una domanda davanti alla quale oggi non possiamo fuggire accampando scuse o impegni: o rispondiamo o perdiamo l’occasione, il tempo favorevole per incontrare Colui che viene. Quel primordiale “Dove sei?” torna oggi rivisitato nel “Che dici di te?”, che non significa altro che “Esprimi chi vuoi essere, a chi vuoi assomigliare, chi vuoi diventare”.

Intravvediamo una possibilità: sta a noi accettare la sfida oppure scegliere di continuare a essere mendicanti alla corte di chi offre certezze a poco prezzo e speranze a breve scadenza.

venerdì 20 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Farsi casa del Padre

Lc 19,45-48

In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.


Arrivando a Gerusalemme il Maestro compie, in effetti, un gesto che rientrava nelle prerogative del Messia: la purificazione del Tempio ai fini della restaurazione della purezza del culto e di quanto questo comportava (il modello era quello della riforma di Esdra e Neemia: la ri-costituzione di una teocrazia ammantata, diremmo oggi, di sovranismo condito da una sana dose di razzismo. Andate a leggervi le pagine di Esdra e Neemia a proposito degli "extracomunitari" dell'epoca… anche lì però si trovò chi si ribellò a quel clima e scrisse un certo libretto… Giona…).

Il Maestro pone certamente quel gesto, ma non secondo le aspettative messianiche di allora. Il suo atto indirizza al cuore dell'Alleanza: il culto a Dio, così come i profeti denunciavano e annunciavano, non può essere disgiunto dalla pratica del "diritto e della giustizia". Chi ingrassa sulla pelle del popolo "in nome di Dio" non ha diritto a restare nel Tempio, cioè a entrare in relazione con Dio, a far parte della sua casa. Il Maestro denuncia questa situazione e così facendo, mettendo le mani nelle tasche dei capi del popolo, gente religiosamente qualificata, non fa altro che firmare la sua condanna a morte. Anche se Luca ci dice che il "popolo pendeva dalle sue labbra" (quando si tratta di dar dietro al governo tutti sono pronti alla pugna) tuttavia lo stesso popolo, quando si renderà conto che Gesù non è il Messia che corrisponde alle aspettative, si unirà a quegli stessi capi per urlare il proprio "Crucifige".

Sorella, fratello, il Maestro indica una via che non sempre colma i nostri desideri. Camminando dietro a Lui bisogna trovare il coraggio di "purificare il Tempio", cioè passare da un rapporto con il Padre fondato sul "do ut des" per entrare in relazione con Lui nella via del dono gratuito. Con il Padre non si mercanteggia: non vi sono offerte da fare per ottenere in cambio protezione, benedizione, indulgenza o qualsivoglia orpello religioso. Con il Maestro impariamo a entrare in relazione con il Padre per apprendere ad assomigliare a Lui.

Dio non cerca fedeli devoti, ma figli assomiglianti. "Pendere dalle labbra" del Maestro significa mettere in crisi il "Tempio" invaso da mercanti che abita la nostra vita, significa convertire la religione alla fede affinché la nostra vita diventi "casa di preghiera", spazio dove chi entra possa incontrare il sorriso accogliente del Padre.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 19 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Segni dei tempi

Lc 19,41-44

In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.
Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».


Luca "descrive, seppur in forma di profezia messa in bocca a Gesù, quella che fu la terribile tragedia per il popolo d'Israele che culminò con la distruzione di Gerusalemme da parte di Roma.
Il Maestro, giunto ormai nei pressi della sua ultima tappa, lascia trasparire tutta la sua amarezza e il suo sconforto davanti a chi doveva essere pronto ad accogliere Colui che visita il suo popolo e invece lo ha "silenziato" come, secoli prima, aveva fatto con le voci dei profeti.

Il Vangelo è parola viva e questa giunge a noi oggi con tutta la sua forza. E se quella "Gerusalemme" che non ha riconosciuto il suo "kairòs" fossimo noi? Papa Francesco ha un bel dire che questa non è un'epoca di cambiamenti ma un cambiamento d'epoca: noi continuiamo a innalzare i nostri peana perché i cambiamenti non ci piacciono. Nemmeno e soprattutto quelli causati da questa pandemia che sta dicendo a tutti che è ora di cambiare stile di vita. la pandemia ci ha tolto tanto, ci ha precluso molto: è da insensati pensare di ritornare a "prima" come se niente fosse. Credo davvero che questo dramma che stiamo vivendo ci stia chiedendo di aprire le porte a uno stile di vita più sobrio, più solidale, dove l'economia sia a servizio dell'uomo e non l'uomo a servizio della finanza. Il Maestro piange sulla caparbia resistenza e ottusità di Gerusalemme, incapace di leggere i segni del tempo e discernere in essi la chiamata a una vita nuova, in sintonia con Colui che visita il suo popolo.

Sorella, fratello: non dare ascolto a chi legge questi testi per propagandare paure, ansie e timori. Il Maestro non ci vuole impauriti e a capo chino: ci vuole ben dritti, con lo sguardo teso a scrutare i segni dei tempi per liberare la sua Chiesa dai tanti orpelli che la appesantiscono, dalle tante panzane pseudospirituali che la soffocano, dalle troppe voci di falsi profeti che si nutrono delle paure che essi stessi contribuiscono a generare. Impariamo a scovare le tracce di Colui che ogni giorno visita il suo popolo per camminare dietro a lui e dare voce con Lui e come Lui al Vangelo della vita.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 18 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Dieci monete per me

Lc 19,11-28

In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d'oro, dicendo: "Fatele fruttare fino al mio ritorno". Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: "Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi". Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: "Signore, la tua moneta d'oro ne ha fruttate dieci". Gli disse: "Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città".
Poi si presentò il secondo e disse: "Signore, la tua moneta d'oro ne ha fruttate cinque". Anche a questo disse: "Tu pure sarai a capo di cinque città".
Venne poi anche un altro e disse: "Signore, ecco la tua moneta d'oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato".
Gli rispose: "Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi".
Disse poi ai presenti: "Toglietegli la moneta d'oro e datela a colui che ne ha dieci". Gli risposero: "Signore, ne ha già dieci!". "Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me"».
Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.



Rilettura lucana della parabola narrata da Matteo e che abbiamo ascoltato la domenica passata. Mutatis mutandis, il tema è comunque sempre quello, ossia l'immagine che ci facciamo di quel "uomo di nobile famiglia" che rappresenta Dio, nella parabola, e che chiama a libertà.
Questa volta è il contesto che offre una possibile interpretazione. Luca, nella sua narrazione, sottolinea all'inizio e alla fine che il Maestro cammina in direzione di Gerusalemme, dove il tutto conoscerà una fine drammatica.

Gesù cammina spedito verso il dono totale di sé e in questo percorso chiede chi vuole associarsi a lui. Non va a Gerusalemme per liberarla, per conquistarla, per ricostituire il Regno d'Israele. Le "monete d'oro" affidate si suoi "servi" rappresentano la proposta rivolta a chi vuole seguirlo in questa avventura che, agli occhi dei più, suona come fallimentare e assurda. Come si può "guadagnare" di più condividendo? Come si può essere "vincenti" dall'alto di una croce?
I suoi, anche i suoi, alla fine, non han compreso: "Signore, ne ha già dieci!". Non hanno compreso la logica del Regno, sono ancora lì a pensare che il Regno è "cosa nostra", fatto per noi "che sappiamo", fatto per noi che sappiamo come funziona questo mondo.

Sorella, fratello: ancora una volta il Maestro chiama in causa la tua libertà. Scegli se e come far fruttare la possibilità di condividere la sua esistenza. O scegli la logica del dono totale, o il vangelo diventerà una clava nelle tue mani per ridurre in schiavitù le sorelle e i fratelli che incroci ogni giorno.
Il Regno di Dio non ha bisogno di radiopredicatori che si fanno padroni di vite, ma di servitori del Vangelo che, con il loro atteggiamento quotidiano, rivelano il volto di Colui che "non è venuto per essere servito ma per servire".

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 17 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Piccoli uomini crescono


Lc 19,1-10

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».



Giosuè, l'Unto del Signore che sostituì Mosé, si mosse alla conquista di Gerico e lo fece da condottiero. Oggi il Vangelo ci racconta di un altro Messia che "conquista" Gerico in ben altra maniera: non per distruggere, non per depredare, ma per "cercare e salvare ciò che era perduto".
Solamente chi ha occhi come quelli del Maestro può accorgersi di quei "piccoli di statura" che stanno dentro la nostra storia: solo chi "vede in maniera nuova", come il cieco di ieri, vede donne e uomini in cerca di autentica felicità e vita e non peccatori da evitare e condannare.

Zaccheo ha cercato di compensare la sua piccolezza attraverso il potere, l'avere e l'apparire: lui, il capo dell'Agenzia delle entrate di allora, ricco da far schifo, con una rete di relazioni che lo rendeva intoccabile, amante sicuramente di festini e al centro dell'attenzione di molti in cerca di notorietà, forse anche oggi cerca di farsi un nuovo amico famoso (questa descrizione si riferisce a un personaggio della Gerico degli anni trenta… ogni riferimento ad altri è casuale). Sarà l'Altro invece a volersi fare amico di Zaccheo.
Il Maestro non teme di sporcarsi le mani con questo "pubblico peccatore" per fargli la sua proposta, dura, chiara, spietata. Nella vita di Zaccheo ecco dunque un prima e un poi. In questo "poi" nasce la condivisione dello stile del Maestro: ora l'importante non è trattenere ma condividere, far di se stesso un dono. La salvezza è tutta qui: scegliere di assomigliare a Lui e come Lui vivere, nella pienezza di una gioia che trova le sue radici nel percepirsi continuamente amati e perdonati e apprendere a fare lo stesso.

Sorella, fratello: che fai ancora su quell'albero? La tua "piccolezza", per quanto mascherata da mille cose, non sfugge al Maestro. Quel "Scendi subito" oggi è per te. Il Maestro sta provocando quella libertà che hai scelto troppe volte di svendere all'idolo del potere, dell'avere e dell'apparire, del contare. A te la risposta: nessun altro può rispondere al posto tuo.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 16 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Ritrovare lo sguardo




Lc 18,35-43

Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!».
Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.



La pericope evangelica odierna si rivela interessante e provocante perché ci interroga di nuovo sul nostro modo di "vedere" o "non vedere Gesù".

Già l'indicazione geografica è preziosa: nei pressi di Gerico, città emblematica nella storia d'Israele, la prima grande conquista di Giosué, il primo segno concreto di quella promessa che andava realizzandosi nelle fatiche della storia.
Qui vive la sua esistenza di escluso un cieco, che si svela essere simbolo dei discepoli e di tutte e tutti coloro che "vedono" nel Nazareno il "Figlio di Davide", quel Messia atteso che, proprio da Gerico, farà ripartire la "reconquista", la lotta contro l'odiato invasore per ritrovare tutta la grandezza di quel Regno che Davide edificò con la benedizione di Jahvé.
Quel cieco rappresenta tutte e tutti coloro che hanno una visione distorta del Maestro, coloro che trasferiscono su di Lui e dentro le sue parole i loro desideri di potere, di supremazia, di ricchezza finalmente ritrovata.

L'unica risposta a questa pericolosa cecità sta in quella domanda e in quanto segue:" Cosa vuoi che io faccia per te?": scava dentro di te per capire bene ciò che vuoi, per accettare il fatto di essere cieco. "Che io veda di nuovo": il cieco chiede di poter vedere di nuovo, cioè in maniera nuova, con occhi diversi che parlano di desideri e cuori purificati, che sanno "vedere" bene le orme da seguire dietro al Maestro.

Sorella, fratello: quel cieco siamo noi. Noi con le nostre visioni distorte e, a volte svilenti, di Gesù e del suo annuncio (penso in questi giorni a chi vanta pellegrinaggi al "Manto di san Giuseppe" per scagionare l'epidemia… perché allora non fare come a Gerico? Perché non far correre monsignori e abbadesse per sette volte intorno agli ospedali con le reliquie in mano?).

Vediamo spesso in Lui il realizzatore dei nostri desideri che sono sovente desideri di potere, desideri legati alla volontà di mostrare quanto siamo bravi a piegare Dio alle nostre esigenze e a fargli risolvere problemi e casini di cui siamo noi stessi responsabili.

A chi stiamo andando dietro? A un Messia sanguinario che viene a imporre con la forza il suo regime teocratico o al Maestro di Galilea che, pur di non imporsi e non imporre alcunché, si lascia inchiodare al trono della Croce?
Occorre chiedere con forza il dono di occhi nuovi, di uno sguardo nuovo se vogliamo anche noi "cominciare a seguirlo glorificando Dio" con il nostro stile di vita e non con le panzane pseudospirituali cui si aggrappano coloro che si ostinano a difendere un'immagine di Dio stesso ormai indifendibile.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

sabato 14 novembre 2020

Icona di una Chiesa incarnata e aperta (Immacolata 2020)

 



All’interno del laborioso e faticoso percorso dell’Avvento, la Liturgia apre una sorta di finestra che si spalanca su un panorama che rasserena e comunica speranza.

Non voglio comporre un panegirico sdolcinato dedicato alla figura di Maria, donna bella e forte del Vangelo.
Purtroppo, a tutt’oggi, vi sono tante voci (via etere ve n’è una in particolare, che si piglia ovunque, che ha fatto di Maria la portatrice di terribili segreti dati a conoscere solo a qualcuno, perché “Dio lo vole”… mah…) le quali, per troppo zelo, riescono quasi a svilire la bellezza e la grandezza di questa donna.

Oggi, in questa solennità dell’Immacolata Concezione, volgo il mio sguardo a Maria come a un’icona della Chiesa.

In primo luogo ci offre l’immagine di una Chiesa immersa nell’ordinarietà del quotidiano. Maria è donna del popolo, integrata in un villaggio che non godeva di grande considerazione (“Può forse venire qualcosa di buono da Nazareth?”), pronta a seguire, ovviamente, la strada segnata dai “padri”, sottomessa alla tradizione e quindi certa di dover “pagare”, prima o poi, il debito di Eva con i dolori del parto al fine di generare (ops, mi scuso: nella cultura dell’epoca, in Israele, solo il maschio poteva “generare”; la donna era considerata un semplice contenitore) quei figli di Abramo eredi della promessa.
Maria è dunque icona di una Chiesa che è immersa nel “popolo”, nella fatica del vivere quotidiano. È immagine e icona di una comunità cristiana che non si mette al di sopra, che non scansa, che non prende le distanze, ma che si fa compagna di viaggio di un’umanità che vive in un determinato luogo, in un preciso momento della storia, e che ogni giorno affronta la sfida del vivere e non del sopravvivere (o così dovrebbe essere). È una Chiesa che si “incarna” nell hic et nunc della storia.

In secondo luogo Maria accoglie, con stupore e timore, Colui che entra nella sua ordinarietà recando un pizzico di straordinarietà.
È dunque icona di una Chiesa che si vuole incessantemente aperta all’Altro e all’altro.

È immagine di una comunità che non teme l’irrompere del Nuovo, che non ha paura di ciò che esce dall’ordinario. È immagine di una comunità che rifiuta di rinchiudersi dentro il recinto rassicurante del “si è sempre fatto così” per aprirsi alla novità di Colui che fa intravedere vie nuove, percorsi audaci, strade finora sconosciute. È l’immagine di una Chiesa che si pensa e si ripensa ogni giorno nuova dentro le storie dell’umanità, abbandonando la preoccupazione di ripetere modelli e modalità che a volte non sono che sterili reiterazioni di modelli di altri tempi.

È immagine, dunque, di una comunità che parla con parole sue una Parola che non è sua, che non la possiede ma che da essa si lascia “possedere” e guidare; una comunità che dà carne a una Parola sempre in cerca di una tenda e non di un tempio in cui essere rinchiusa; una parola capace di parlare ai cuori del nostro oggi senza ripetere pedissequamente ciò che balbettava ieri.
Maria è donna di parola e della Parola: è capace di fidarsi, di affidarsi, e per questo diventa credibile.

Ecco l’icona più bella che ci offre questa Immacolata 2020: diventare con Lei e come Lei spazi dove la Parola ritrova la sua limpida trasparenza, dove ogni a ogni parola ambigua su Dio viene tolta la maschera. Celebrare l’Immacolata Concezione significa diventare con Lei e come Lei uteri, grembi capaci di dare di nuovo carne a una Parola che offre autentica speranza e felicità non effimera per tutta l’umanità.

venerdì 13 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Spiritualità dell'ordinario

Lc 17,26-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti.
Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà.
In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot.
Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva.
Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata».
Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi».


Pare un testo misterioso, quasi il terreno in cui affondano le radici quei misteriosi "segreti" che, nella più becera delle interpretazioni, vengono affidati a qualcuno perché li sveli un poco alla volta, così da tenere agganciati i "fedelissimi al messaggio" mensile! Nulla di tutto questo, anzi, al contrario, le parole del Maestro sono di una limpidezza che disinnesca tutti gli imbonitori spirituali che offrono la loro merce avariata.

Cosa fanno Noé o Lot? Nulla di speciale: vivono l'ordinarietà della vita, del quotidiano, come tutti noi. Ma a differenza di altri Noé ha costruito l'arca, gli altri si sono fatti il diluvio. Lascio la parola a un mio venerato maestro, p. Fausti: "Fuori metafora, il mondo è uguale per tutti. Ora noi possiamo vivere questo mondo, anche l’economia, tutte le nostre relazioni in modo da ammazzarci gli uni gli altri e distruggere tutto, o possiamo vivere in modo opposto di solidarietà, di condivisione, di amore, di fraternità, in modo da costruire la salvezza in questo mondo, in questa quotidianità, non in un altro mondo. Perché la tentazione è sempre di pensare che la salvezza sta in un altro mondo, invece Luca dice che la salvezza sta in questo mondo, nel modo, nello stile di vita filiale. La vita spirituale è come viviamo le cose materiali, non è una cosa volatile, far preghiere sollevandoci da terra o cose simili. La vita spirituale è come viviamo le nostre relazioni con gli altri, con le cose". Potremmo dire: la vita spirituale è il nostro modo concreto di stare dentro la storia: vivendo dello Spirito del Maestro o, al contrario, scegliendo di vivere da padroni affamati che non hanno alcun ritegno nel volere possedere tutto e tutti.

Sorella, fratello: come sempre il Maestro propone la sua via, cioè la via del dono: "Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva". È tutto qui: se semini vita continuerai a restare immerso nella vita; se coltivi la logica de "mors tua vita mea" raccoglierai solamente frutti di morte. In questo modo, anche la nostra morte corporale avrà il volto che noi gli abbiamo dato: se abbiamo sempre rubato vita si presenterà come un ladro più furbo di noi che riuscirà a sottrarci quanto abbiamo accumulato; se abbiamo donato vita essa verrà a noi come il ninfagogo che ci conduce all'incontro con lo Sposo, Colui che abbiamo amato e della cui Parola ci siamo fidati.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 11 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Un Escluso tra gli esclusi

Lc 17,11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».


Gesù, pur restando sempre un galileo fatto e finito, nutriva una certa qual simpatia per i samaritani. Forse perché erano esclusi dalla religione ufficiale? Forse perché erano considerati impuri ed eretici? Considerando le frequentazioni del Maestro, non è difficile immaginare un suo sguardo benefico su costoro, i ripudiati, gli esclusi per eccellenza (dare dal "samaritano" a un giudeo, a quel tempo, era un'offesa da punire con il sangue!).
In questa pericope, non solo uno è samaritano, ma pure lebbroso: vien da dire che piove sul bagnato!
È la logica illogica del Vangelo: quelli che per i credenti ufficiali sono esclusi agli occhi di Dio, e quindi automaticamente da escludere agli occhi nostri (perché noi siamo i soli puri che accedono ai criteri di Dio), agli occhi di Gesù sono quelli che vengono "salvati". Non solo "purificati", ma "salvati"! Mi viene da chiedere a tutti coloro che sbandierano che Gesù è il Salvatore: ma è il Salvatore di chi? Di chi ritiene di avere già la salvezza in tasca perché si piglia una messa la domenica e poi ne mette in conto un'altra la sera per "riserva" o di chi non ha altra via che incrociare lo sguardo di Colui che non guarda le apparenze, la provenienza, la religione, per posare il suo sguardo guaritore senza discriminazione alcuna?
Siamo lontani; quanto siamo miopi rispetto allo sguardo risanante di Gesù, il Maestro! E nei suoi occhi, ricordiamolo, riluce lo sguardo di quel Dio che con troppa facilità abbiamo intrappolato dentro le spesse lenti della nostra miopia religiosa, infarcita di meriti, di precetti, di farisaiche ostentazioni di pratiche religiose fatte più per soddisfare noi stessi che per metterci in comunione con Dio stesso e cambiare radicalmente la nostra relazione con l'altro.

Sorella, fratello: è tempo di lasciarsi purificare dalla lebbra di una religiosità ottusa. È giunto il tempo di farsi guarire dallo sguardo del Maestro e di diventare con Lui e come Lui un inno di lode e di gratitudine a quella misericordia divina che non teme la lebbra che infesta il nostro cuore.
È giunto il tempo, il "kairòs", in cui chi è stato escluso per troppo tempo ritrovi ora la sua dignità e impari a proclamare con la sua propria vita le meraviglie di un Dio che salva colui che, agli occhi dei religiosi benpensanti, è definitivamente perduto ed escluso. Il nostro Dio non teme di infettarsi con la nostra lebbra: ci chiede di fare altrettanto con Lui e come Lui nei confronti degli esclusi della storia.
Sporcarci le mani nel fango della storia di ordinaria emarginazione è affondarle con lui in quella melma che si trasforma in storia di salvezza e inno di gratitudine.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 10 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Servi senza meriti

Lc 17,7-10

In quel tempo, Gesù disse: «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».



Un piccolo ma significativo testo quello di oggi, una pericope che definisce l'identità del discepolo. "Arare, pascolare il gregge": sono le attività del Signore, che si occupa dei suoi campi e del suo gregge. I discepoli, camminando dietro al Maestro, sono associati alle sue stesse attività e con le stesse modalità: si entra nella storia dell'umanità come servi e non come padroni.
E siccome il Maestro vuol essere chiaro, non vuol lasciare possibili scappatoie al sottile fariseo che ci abita ed è sempre equipaggiato di distinguo, specifica: servi "inutili".
Si può tradurre certamente così l'aggettivo greco, ma che senso avrebbe un servo "inutile"? Un'altra possibile accezione della parola indica "che non fa profitto" e questa possibilità è forse più illuminante e attinente al messaggio del Maestro. In parole povere: siate servi che non vantano meriti, che non esigono di essere "pagati", che non svolgono il loro servizio in cambio di qualcosa. Se riflettiamo un momento possiamo comprendere meglio. Il "lavoro" del Maestro non è infatti fondato sulla gratuità e sul dono? Ecco allora il senso dell'essere "servi inutili": uomini e donne che non guardano al merito, alla ricompensa, ma vivono come e con il Padrone del campo e Pastore del gregge il loro servizio nella gratuità più totale. Non dimentichiamo che la parola "merito" ha la stessa radice di "meretricio": è la logica del "do ut des", logica che inaridisce ogni relazione con Dio e rende infernale quella con l'altro.

Sorella, fratello: siamo semplicemente servi che gioiscono del "lavoro" condiviso con il Maestro. Non abbiamo contratti a ore, non pretendiamo riconoscimenti, non esigiamo il "dovuto": per noi, come diceva Bernanos, "tutto è grazia". Non siamo possessori della gratuità di Dio: con Lui e come Lui siamo dispensatori felici di questa gratuità che passa attraverso il nostro farci servi con Lui e che ci porta a dire alla sera di ogni giorno: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare". E se qualcuno ce ne chiederà il motivo, noi risponderemo: perché il nostro Maestro si è fatto servo e noi abbiamo scelto di essere tali con e come Lui.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 9 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Il mercato del sacro

Gv 2,13-22

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».
Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.


Mai come di questi tempi risuona attuale la parola evangelica della liturgia odierna! Gesù si scaglia con una certa violenza nei confronti di chi ha fatto della "casa del Padre un mercato". E il mercato della peggior specie, nell'ambito della fede, è quello che spaccia per autentica e devota una relazione commerciale con Dio, quella squallida relazione fondata sulla regola del "do ut des". È questa, a mio avviso, la radice che genera il fango della corruzione anche dentro la comunità cristiana, anche dentro la Chiesa. Quando si considera Dio alla stregua di un mercante disposto a concedere la sua "merce" al miglior offerente, a colui che sa donare più "offerte" di altri, allora siamo disposti a passare sopra tutto e tutti pur di entrare nelle sue "grazie"; allora siamo anche disposti a spacciare per "opera a fin di bene" anche l'affare finanziario che permette ad alcuni di arricchirsi spudoratamente sulla pelle di altri condannati alla povertà ma "consolati" dall'idea predicata di un Dio che ama i poveri e che in paradiso li accoglierà. Una comunità che accetta e vive di tali logiche è la negazione della fraternità voluta dal Maestro e come tale è destinata a scomparire (e il nostro tempo ce lo sta mostrando).

Sorella, fratello: il Maestro oggi ci chiede di resistere con forza alla tentazione del "mercato", la tentazione di cedere a quella logica del "do ut des" che è la negazione del messaggio evangelico. Presso Dio non c'è niente da comprare né tanto meno da meritare attraverso i propri intrallazzi spirituali. La relazione con Dio è fondata su una gratuità accolta e condivisa affinché "nessuno sia nel bisogno", affinché la vita sia "vita in abbondanza" per tutte e tutti, senza discriminazione alcuna. Il Maestro oggi cerca donne e uomini che vivano con lui e come lui la scelta del dono totale: non ha bisogno di commessi di negozio o di compari di affare; non ha bisogno di professionisti del sacro che, come agenti di commercio, presentino la "merce" e attirino clienti decantando le proprietà degli articoli messi in vendita. Ha bisogno di testimoni, non di venditori.
Come sempre, la scelta è nelle nostre mani.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

sabato 7 novembre 2020

“Portatori sani” di Vangelo (II Avvento 2020)




Se la prima domenica era un invito a non addormentarsi e a restare svegli, a farsi sentinelle, questa seconda tappa del percorso di Avvento invita ad un atteggiamento di accoglienza, di apertura. È come se dicesse: “state svegli perché sta accadendo qualcosa: non perdete l’occasione, il kairòs, un tempo di opportunità”.

Dio, per un lunghissimo tempo, ha cercato di educare il suo popolo liberandolo dalla schiavitù, dapprima, è stipulando poi con esso un patto fondato su una legge di libertà. In questo percorso, irto di ostacoli, Israele, l’uomo, ha finito, purtroppo, per confondere Dio con la legge facendolo diventare una sorta di padre-padrone, giudice che tutto vede e tutto conosce, spietato nel suo giudizio.

Ora che è chiamato a diventare “vigile come una sentinella”, l’uomo ha la possibilità di cogliere un nuovo “inizio”, un capitolo completamente nuovo in quella che definiamo comunemente come storia della salvezza.

Giovanni il Battezzatore è il crinale posto tra la prima e la nuova alleanza, il punto di svolta di questa relazione in cui Dio stesso decide di “rifare ordine” (come nel processo della creazione narrato nel libro della Genesi) e finalmente mostrare all’umanità il suo autentico volto.
Quel “Volto” che nessuno poteva vedere senza poi morire ora si prepara ad entrare di persona nella storia attraverso la carne di Gesù di Nazareth, Colui “che immergerà nello Spirito Santo”, cioè colui che ci farà entrare, se siamo disposti a seguirlo, nel respiro stesso di Dio.

E cosa è mai questo Spirito, questo soffio se non la stessa parola che risuona da sempre sul mondo e nei cuori di ciascuno e che incessantemente chiede: “Dove sei?”. Alla sentinella che “veglia” è richiesto ora di prestare ascolto e di offrire apertura perché nella carne di Colui che viene la Parola avrà finalmente un volto, unico e definitivo, che chiede di essere riconosciuto. Giovanni è la voce che prelude alla Parola. Gesù è la Parola che dà carne al volto di un Dio che “passa oltre” il criterio dell’osservanza e propone all’umanità la via della somiglianza.

Il nuovo “inizio”, il Vangelo, la buona notizia, il felice annuncio consiste proprio in questo: ogni uomo può partecipare del “soffio divino” e attraversare il percorso della storia facendosi somiglianza di Lui. In questo modo si realizza quel primissimo compito affidato fin dagli albori della creazione: realizzare quella somiglianza della cui immagine siamo portatori.

Giovanni, ultimo e nuovo Elia, si fa porta-Voce di questo annuncio. Con lui occorre entrare di nuovo nel deserto affinché si possa compiere quel nuovo esodo capace di dare la luce il nuovo popolo costituito non più da pii osservanti ma da figli assomiglianti.
Assomiglianti a chi? A Colui che, in Gesù, si rivela Padre e Madre, principio di vita continuamente donata, offerta a tutti e che chiede di essere da tutti condivisa.

L’invito sconvolgente di cui il Battista si fa inconsapevole portatore è l’entrata di Dio nella storia. Giovanni crede ancora che con il suo arrivo ci sia qualcosa da meritare per il tramite di opere e azioni che riescano a commuovere il cuore irato del Signore delle Schiere. Il Dio che si rivela in Gesù polverizza la categoria religiosa del “merito” e apre la storia all’accoglienza del valore della gratuità.
Il merito bisogna guadagnarselo, la grazia è semplicemente da accogliere e da condividere con un stile di vita che ci faccia entrare nella storia e nel mondo non da padroni ma da servi e custodi (così come il Creatore ha fatto fin dall’inizio dei tempi).


Siamo entrati nel tempo in cui l’invito ad aprire il cuore per ricominciare è ormai pressante: aprirsi a Colui che viene a visitare il suo popolo significa riscoprire la novità del Felice Annuncio e diventarne così “portatori sani”, cioè non inquinati da tutta quelle serie di pratiche e devozioni che ci hanno inculcato per assicuraci che “Dio vuole così”.
Non dobbiamo preoccuparci di piacere a Dio, ma accogliere il fatto che Dio ci vuole talmente bene che si prepara, nel Figlio, ad indicarci la strada per diventare come Lui.

venerdì 6 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Carità creativa

Lc 16,1-8

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare".
L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua".
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta".
Poi disse a un altro: "Tu quanto devi?". Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta".
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza.
I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».


Parabola scocciante, quella di oggi. Sembra quasi un testo scritto per giustificare lo sport nazionale, quello della corruzione, che pare serpeggi senza vergogna anche nella chiesa, visti i recenti avvenimenti.
A una prima lettura, banale, potrebbe essere così.
Credo che invece una riflessione più attenta ci offra indicazioni diverse.
Le parabole di Gesù non sono mai storielle edificanti, come quelle che alcuni parroci raccontano alla fine dell'omelia per tirare la morale a quanto detto in precedenza. Le parabole che il Maestro racconta sono delle trappole linguistiche molto raffinate che, in un primo momento, tirano l'ascoltatore dentro la storia per obbligarlo a prendere posizione (e quando ormai sei dentro non puoi più tirarti fuori) e poi ti sbattono in faccia un'immagine inedita di Dio che ti obbliga a confrontarti con essa (e siccome ormai sei dentro, non puoi esimerti).
Anche questa parabola opera lo stesso meccanismo, sottile, ma efficace. Il "ricco" rappresenta Dio, il Padre, che condivide e lascia amministrare i suoi beni a persone fidate, noi. Il punto è proprio questo: che immagine ci siamo fatti del "padrone"? E se, per caso, non avessimo compreso che il "padrone" è uno che ama condividere, donare piuttosto che tenere e accumulare per sé? Ecco allora perché il "padrone" elogia alla fine il suo amministratore che noi, con troppa fretta e secondo i nostri criteri, abbiamo facilmente catalogato come "disonesto". L'amministratore ha compreso che "tipo" di padrone è il suo: è uno cui piace donare, condividere, e non accumulare. I poveri che lui ha contribuito a creare, sono quelli che ora riempie di doni, come avrebbe fatto il suo "padrone", e che poi condivideranno con lui i beni che hanno. Tutto dipende dall'immagine di Dio che ci siamo fatti.

Sorella, fratello: fino ad oggi, seguendo i passi di Luca, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare il Maestro che ci ha messo davanti l'immagine di un Dio che, per noi, accetta di giocare in perdita, di un Dio che non gode nel vedere accumulare meriti davanti a lui, ma che si compiace di donne e uomini che, con Lui e come Lui, accettano di giocarsi la vita nella via del dono e del perdono. Non siamo padroni ma amministratori. A noi è chiesto di amministrare in nome del "padrone". Ma se questo "padrone" non lo conosciamo? Se di questo "padrone" abbiamo un'idea distorta, come possiamo essere amministratori fedeli?

È un cammino faticoso e lungo. Presentarsi come amministratori è facile, se abbiamo altri interessi. Curare gli autentici interessi del "padrone" è ben altro.
Ciò che sta a cuore al padrone è il nostro essere felici: se siamo suoi amministratori fedeli, allora di questo dovremmo preoccuparci: del benessere e della felicità della sorella e del fratello che ci passa accanto, pronti a prendere la "sua ricevuta" e praticargli uno "sconto" in nome del "padrone".
L'autentica ricchezza non sta nell'accumulare e trattenere per sé, ma nel condividere generosamente.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 5 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Un Dio "sprecone"

Lc 15,1-10

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”.
Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”.

Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».


Luca ci conduce con sapienza e gradualità dentro il messaggio evangelico proponendo un percorso che arriverà al suo culmine nella parabola del Padre misericordioso. Nel testo di oggi, quasi in forma di preludio alla grande parabola, risuonano le parole di queste due piccole perle paraboliche che sono risposta alle critiche dei benpensanti e ben-osservanti dell'epoca.
L'annuncio del Maestro è sconvolgente perché propone l'immagine di un Dio che si svela come il Dio delle misericordie, il Dio che non si spaventa delle nostre fragilità, il Dio che non ci lascia soli nei nostri peccati ma ci offre il suo perdono gratuito per guarire i nostri cuori malati.
È un'immagine inedita e sconvolgente perché ci racconta di un Dio che non sta ad aspettare che noi torniamo a Lui a capo chino, pieni di paura e con offerte propiziatorie: è Lui stesso che si muove alla nostra ricerca, è Lui che si scomoda per venirci a cercare e, senza porre condizioni, ci carica sulle sue spalle e ci risparmia pure la fatica del "ritorno a casa". I credenti tutti-di-un-pezzo non possono digerire questa immagine: il Dio che offre il suo perdono gratis, senza condizioni, non è un Dio serio, non è un Dio che si fa rispettare. Come si fa ad offrire il perdono senza condizione alcuna? Nemmeno un po' di penitenza? E poi… cos'è questo far festa per un peccatore? Ma che Dio è un Dio che festeggia con e per un peccatore?

Sorella, fratello: ecco il cuore del messaggio del Maestro. E per questo Lui ci ha rimesso la vita. È talmente fuori dalle nostre concezioni religiose che ci siamo subito precipitati a mettere dei distinguo, a porre condizioni, a specificare che sì, è vero che Dio è un Padre misericordioso, ma…
Lui è quello della misericordia, noi siamo quelli del Sì, ma… Non ce la facciamo proprio. Occorre dirlo: un Dio così, che non ci assomiglia affatto, che non sposa le nostre concezioni di Lui non esiste. Visto come abbiamo fatto in fretta? Invece di assomigliare noi a Lui è Lui che deve assomigliare a noi! Fino a quando non accetteremo il fatto che non è tanto importante ribadire che Gesù è Dio quanto piuttosto che Dio è Gesù il Vangelo resterà una bella favoletta scritta da leggere prima di dormire.
Noi siamo per le cose serie: un Dio che fa festa non è per noi.
E pensare che Gesù è arrivato al dono totale di sé per questo: ma noi, duri e puri, ci siamo inventati di tutto pur di ribadire che Gesù è morto per i nostri peccati e quindi il perdono non può essere gratuito. Dio stabilisce il prezzo per ogni cosa e la festa non può far parte di questo Dio.

Ecco perché stiamo spegnendo il fuoco del Vangelo, ecco perché ne stiamo annacquando il vino: e di questo, sì, di questo, dovremo rendere conto.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 4 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Perdenti divini

Lc 14,25-33

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.

Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».


È una "folla numerosa" quella che segue il Maestro, tante persone, un assembramento. Lui non ha bisogno di emanare un DCPM per sfoltire: si limita a dare alcune indicazioni: chi vuole venire dietro a me, ecco, queste sono le condizioni. Quali? Ti è donato di entrare non in una famiglia, con le sue regole, i suoi limiti, le sue relazione ben determinate, ma in una comunità dove la regola è la fraternità. Una fraternità che si prende cura del più fragile, del più debole, di quello che conta meno degli altri. Una fraternità dove la tua vita non ti appartiene se non come dono che puoi fare all'altro: non ti possiedi più ma scegli di farti possedere in una logica di servizio, di dono e di perdono. Una fraternità dove la "croce" diventa l'espressione più alta del dono totale di sé, in pura perdita, e del perdono gratuito che non si aspetta nulla, che non chiede nulla, che è affidato all'altro senza garanzia alcuna. Perché tutto questo? Perché Dio fa così. Vuoi essere simile a Lui? Questa è la via. E la vita del Maestro ne è testimonianza: la sua carne ci parla di Dio, di chi è, di come funziona e di cosa ci propone. Il discepolo è colei/colui che accetta di giocare in perdita con e come Dio.

Sorella, fratello: hai ben compreso? Accettare di essere discepoli esige discernimento! Non sei in un negozio di scarpe in cui devi scegliere tra vari modelli. Qui il modello è Uno, e Uno solo: Gesù di Nazareth, con le sue scelte di vita, con il suo stile di vita. Siediti e fai bene i conti! Non puoi dire "sì" al Regno e poi tornare a occuparti degli affari tuoi; non puoi correre dietro a Lui e poi tenerti da parte qualcosa perché "non si sa mai". Lui sul piatto, meglio, sulla croce, ha messo tutta la sua esistenza: ciò in cui ha creduto, ciò per cui ha lottato, ciò per cui ha pagato fino in fondo.
Il Vangelo non è fatto per essere sbandierato, ma per essere vissuto sulla propria pelle. Se non te la senti, non annacquarlo con l'acqua della tua mediocrità. Se non accetti di farti povero della Sua ricchezza "non puoi essere suo discepolo".

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 3 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Assembramenti evangelici

Lc 14,15-24

In quel tempo, uno dei commensali, avendo udito questo, disse a Gesù: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!».
Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”.
Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”.
Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».


Questa parabola ruota attorno a quello che gli studiosi definiscono "schema di sostituzione". In parole semplici: è un racconto flash della storia della salvezza. Gli invitati del primo gruppo rappresentato quell'Israele che, in un modo o in un altro si è chiuso davanti ai molteplici inviti di Dio a condividere con Lui il "piatto della vita". Questo popolo resistente e recalcitrante viene ora "sostituito" da altri che accettano la proposta. Questi altri però hanno una particolarità: sono costituiti da tutti coloro che, secondo i canoni del tempo, dovevano essere esclusi da qualsiasi relazione con Dio a causa del loro stato. "Poveri, storpi, ciechi, zoppi e anche quelli che già vivevano fuori, ai margini", segni viventi della maledizione divina che cade come mannaia sui peccatori (se sei malato è perché Dio ti ha punito). Ecco lo sconvolgente annuncio del Vangelo del Maestro: coloro che ai nostri occhi sono i più lontani e i "meno meritevoli" sono "costretti" a entrare al banchetto del Regno. Comprendiamo qui come il Vangelo non è un semplice scritto: è la vita stessa, lo stile di vita del Maestro che si fa parabola. Non è forse uscendo fuori "per le strade e lungo le siepi", e non in sinagoga (o chiesa,) che il Maestro si è manifestato come la carne del Dio che si fa prossimo a chi è escluso?

Sorella, fratello: quanto narrato dalla parabola potrebbe succedere (o sta già succedendo) a noi. Noi che ci riteniamo con troppa sicurezza "i signori del Vangelo", noi che abbiamo sempre la scusante a portata di mano per noi ma siamo giudici inflessibili per gli altri; noi che riteniamo talmente sicuro il nostro diritto di entrare al banchetto da poter accampare scuse quando dobbiamo seguire i nostri "piccoli affari sporchi" (o grandi, grandi come compravendite di palazzi, grandi e sporchi come gli affari siglati con quella finanza che affama, uccide e rende schiavi). 

A noi, che da invitati al banchetto ci siamo fatti proprietari del "ristorante", a noi potrebbe succedere di venire estromessi perché abbiamo trasformato un invito gratuito in un accesso per merito, escludendo chi, a nostro giudizio, non rientrava nelle categorie. 

La pandemia che stiamo vivendo ci sta interrogando anche su questo ed è urgente prenderne coscienza. Quando assisto a discussioni infuocate, e quanto mai vane, sulla possibile chiusura delle celebrazioni per arginare la pandemia e sento lo "stracciarsi delle vesti" da parte di sedicenti cattolici, non posso non pensare alla veste strappata dal Sommo Sacerdote durante il processo a Gesù: era il simbolo dello strappo definitivo da quel Dio che le aveva tentate tutte e che ora doveva passare dalla Croce per riempire la sua sala con un popolo nuovo. 

Ecco, il nostro è un "kairòs", un tempo favorevole. Non sprechiamolo correndo dietro a chi ha trasformato il messaggio del Vangelo in un "favola profana, roba da vecchierelle" (1Tm 4,7; con tutto il rispetto per le nonne).

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 2 novembre 2020

Buongiorno mondo!

Ri-andare al cuore


Mt 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».


Il 2 novembre è tradizionalmente dedicato al ricordo dei defunti.
Per gli antichi romani il "fare memoria" rimandava al cuore, ritenuto da essi il luogo proprio della memoria stessa. Ricordare è dunque riandare al cuore: al cuore di quelle vite che hanno incrociato la nostra vita e in un qualche modo, voluto o meno, hanno contribuito a renderla quella che è oggi.

La pandemia che stiamo affrontando (per quanto i soliti idioti si affannino a negarla) ci ha reso, per certi aspetti, l'esperienza della morte ancora più difficile da accettare e da vivere. Vi sono stati momenti in cui non è stato possibile, almeno per me, "riandare al cuore" a causa della violenza di certe morti che mi hanno lacerato il cuore stesso. Il posto dedicato al ricordo si è come trasformato in un campo minato in cui era difficile pensare di entrare per la paura che il dolore esplodesse incontrollato con tutta la sua carica distruttiva e lacerante.

I Padri ci insegnano che "caro saluti cardo", la carne è il cardine della salvezza, il perno attorno al quale ruota e si costruisce il nostro rapporto con la mano tesa di quel Dio sempre alla ricerca dei suoi. E così anche questa parte sofferente della mia carne diventa il luogo dove la pazienza magnanime di Dio e l'amore delle sorelle e dei fratelli che vivono fin da ora nel Mistero riescono a richiudere le lacerazioni del mio cuore, a farle sanguinare un po' meno. Mi consola proprio questo: non sto pregando per i defunti, ma con loro, con loro che continuano a lottare, a sperare, a vivere con me questa folle avventura che mi porta a fidarmi di Uno che è riuscito a trasformare la violenza di una morte ingiusta, proprio una morte di quelle incomprensibili e che spaccano il cuore, in un dono capace di risvegliare la potente forza della vita, a farne sprigionare tutta la sua vitalità.

Questa vita stessa del Maestro, se accolta e condivisa, conduce a fare anche della propria esistenza un dono, alla luce di quella stupenda pagina evangelica che ci viene offerta oggi. Con le sorelle e i fratelli che vivono nel Mistero continuiamo a osare e a credere che il Regno cresce e estende ogni volta che i nostri occhi guardano nella stessa direzione del Padre, con la sua stessa tenerezza e cura verso tutte e tutti coloro che cercano in noi sorelle e fratelli capaci di farsi servi dell'umanità che ancora non riesce a vivere con dignità in questa casa comune.

Non abbiamo bisogno di "lucrare indulgenze" per i defunti (bruttissimo verbo specie di questi tempi; ancor più brutto per chi, come me, non ha bisogno di questo per vivere la sua fede) se poi non siamo indulgenti e benedicenti verso le sorelle e fratelli più poveri. Piuttosto, insieme a coloro che vivono nel Mistero camminiamo per rendere sempre più credibile il messaggio di vita che il Maestro ci ha consegnato.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita, soprattutto oggi.