martedì 31 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Il Maestro oggi ribadisce a chi oppone resistenza al suo messaggio che : "Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite" (Gv 8,21-30). Il volto del Dio di Gesù è quello di un Padre che si prende cura, che non abbandona mai, che si fa compagno di strada, che sostiene e infonde vita e amore con abbondanza e gratuitamente a coloro che lo accolgono. Solo chi condivide e fa propria questa prospettiva è reso capace di "fare cose che a Lui sono gradite". Gesù non sta parlando di opere generiche, di "fare un qualcosa" per gli altri, ma sta parlando dell'orientamento fondamentale dell'esistenza: "cosa gradita" è praticare un amore simile a quello del Padre, assomigliare a Lui nel nostro stile di vita. È attraversare questa esistenza in un atteggiamento di dono continuo, in tutte le situazioni che la vita stessa ci pone davanti, anche quelle create da persone che con facilità consideriamo perdute. Soprattutto con quelle. L'amore del Padre non conosce limiti, si fa prossimo a tutte e a tutti e invita fare altrettanto, così come siamo, con le nostre fragilità e le nostre paure e resistenze. Quanto più comprendiamo questo tanto più sperimenteremo come il Padre stesso si prende cura di tutto questo e ci risana, ci riempie dei suoi doni, ci rende capaci "di compiere cose gradite". So che tanti sono preoccupati spesso della loro incapacità ad aprirsi al perdono, al dono totale. Lo sa anche il Padre: non ci vuole perfetti con uno schiocco di dita, ci vuole amanti, appassionati dell'umanità, capaci di assumerci giorno dopo giorno la fatica gioiosa del crescere in questa prospettiva; un percorso accidentato, difficile, ma "Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo": per questo osiamo, ci crediamo, scegliamo di vivere così, anche in questi tempi dolorosissimi di COVID-19. Un abbraccio a tutte e tutti. Buona vita.

lunedì 30 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei" (Gv 8,1-11) frase conosciutissima, forse la più conosciuta tra quelle pronunciate da Gesù. Spesso è stata pronunciata da chi, poi, è corso a raccattare le pietre che altri hanno lasciato cadere e approfittare così per esercitarsi nello sport nazionale preferito: lancia il sasso e nascondi la mano. Il grande insegnamento di Gesù ci porta dritti al cuore del Vangelo: il giudizio del Padre è sempre un atto di misericordia. Papa Francesco, tempo fa, ce lo ha ricordato: "Chi sono io per giudicare?". Non vuol dire chiudere gli occhi su quelle situazioni di peccato che sviliscono la persona, annientano la sua dignità imbruttiscono il volto dell'umanità. Gesù il peccato lo guarda in faccia, ma con occhi di misericordia che sanno risanare, riaprire alla vita. È uno sguardo che ridona dignità e libertà, che apre nuovi percorsi e immette aria nuova. Le nostre comunità sono divenute spesso delle cave di pietre a buon mercato pronte all'uso: basta sapere a chi chiedere e trovi tutte li munizioni che vuoi. L'istituzione gerarchica stessa non ne è immune: altro che Chiesa di persone! Spesso ci troviamo immersi in autentiche pietraie che sono il frutto di anni di esclusione, di emarginazione, di abbandono. Sono pietre ben scelte, lucidate dalla rigorosità della legge, levigate dall'aridità di certa teologia che ormai non sa più nemmeno come si scrive la parola Padre. Sono le pietre che gridano la sofferenza di tutte e tutti coloro che aspirano alla bellezza e alla freschezza del Vangelo, che anelano alla vita, che aspirano all'amore. Forse è davvero giunto il momento che ognuno guardi dentro le proprie tasche e lasci davvero cadere per sempre le pietre che ancora vi giacciono nascoste in attesa del bersaglio... Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

venerdì 27 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Oggi il Maestro ci ricorda che "voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete" (Gv 7,1-2.10.25-30). Credo sia un invito a non "metterci in tasca" Dio con troppa facilità: è facile costruirsi un'immagine di Dio adatta ai nostri bisogni, un dio che funzioni a seconda dei nostri desideri. Gesù ci invita sempre ad andare oltre, a non accontentarci, a non credere di sapere. Penso che solamente così il Padre potrà manifestare il suo vero volto, e noi non cadremo nella tentazione di fabbricarcene uno a misura nostra. Facciamo dunque attenzione perché quando circolano troppe monete false, anche le vere diventano sospette. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 26 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Ecco cosa mi porto nel cuore del Vangelo di oggi: "E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. (Gv 5,31-47) ". Potremmo titolare queste righe così: la presunzione della conoscenza. Un conto è sapere delle cose sul conto del Maestro, un conto è condividere con lui l'intimità del discepolo amato. A volte ho l'impressione, senza voler per questo giudicare o cadere nello stesso errore di presunzione, che nell'esperienza della comunità ecclesiale si fa mostra di sapere tanto, di istruzione a gogò, ma alla prova dei fatti tutto questo si rivela un buon esercizio di studio (necessario, intendiamoci) ma alla prova dei fatti ognuno resta con le sue convinzioni. L'esperienza della condivisione di vita con il Maestro non è fatta di "Noi sappiamo, noi ti conosciamo" perché questo porta spesso a ingabbiare il Maestro nelle nostre categorie e renderlo così "docile" e facile da manovrare, adattando la dura chiarezza della sua proposta alle nostre inerzie, alle nostre paure di perdere tutto, al nostro "onore". Conoscere Lui significa entrare in una relazione di intimità tale da accogliere quella forza che l'ha "spinto" a farsi uno di noi: l'amore del Padre, che chiede di essere accolto e condiviso. I discepoli non sono coloro che "sanno", ma coloro che vivono trasmettendo non saperi di potere, ma scelte di servizio; non saperi di possesso, ma percorsi di condivisione; non saperi di apparenza, ma fatiche quotidiane nel vivere la verità dell'essere figli e fratelli. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 25 marzo 2020

Buongiorno

Buongiorno mondo! "In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria" (Lc 1,26-38). Cominciamo bene: per la sua "entrata in scena" nel mondo Dio non poteva scegliere di peggio: Nazareth. Villaggio oscuro, nominato forse una volta nell'AT e per di più in quella regione di teste calde, nazionalisti all'estremo, che era la Galilea. Niente Gerusalemme, niente tempio, niente sacerdoti: solo gentaglia che di suo aveva anche un dialetto che li faceva subito riconoscere. Fin dall'inizio Dio ha le idee ben chiare: se passo da Gerusalemme mi "ingabbiano" ancor prima che pronunci una parola, mi mettono nei loro schemi religiosi e addio buona notizia. Ma ancor di più, al suo arrivo sceglie una coppia che già aveva fatto i suoi progetti (o quanto meno le famiglie già avevano siglato il patto per le nozze) e sbaraglia tutto infilandoci un figlio, il Figlio, che stravolgerà non solo le loro, ma anche le vite di quanti lo incontreranno e decideranno di seguirlo. Ecco come è fatto il nostro Dio: non parte da persone religiose, perfette, pronte all'uso, ricche di spiritualità e ripiene di santa teologia. Parte da chi noi non degneremmo di uno sguardo e da lì apre una storia che si fa sorgente di vita per chi sa accogliere senza pregiudizio il suo messaggio, senza la puzza sotto il naso di chi, dall'alto della sua religiosità, può permettersi di dire: "Cosa può mai venire di buono da Nazareth?". Ecco quello che può venire di buono: un Dio che sceglie di farsi uno di noi per farci come Lui. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 24 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Oggi Giovanni nel vangelo ci narra la guarigione dell'uomo che da trentotto anni era infermo. Dopo il fatto, quando incontra Gesù per la seconda volta si sente rivolgere queste parole: "Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: "Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio" (Gv 5,1-16). Immagino già i vari "soloni" della teologia da quotidiano (abilmente camuffati da mistici mentre in realtà sono solo mistificatori: ogni riferimento è puramente casuale e non voluto) gridare: "Visto! Avevamo ragione noi! Gesù guarisce quell'uomo e gli chiede di non peccare per non ricadere malato. Quindi se siamo malati è perché siamo castigati per i nostri peccati!". Già, peccato che Gesù avesse chiesto a quell'uomo, guarito in giorno di sabato, di non peccare più intendendo con questo il fatto di non rientrare più nel gioco sporco della religione che opprime e non libera, quella religione che da 38 anno lo teneva immobile (quasi un soprammobile ben in vista per testimoniare quel che succede quando non è si è fedeli a Dio...), quella religione dove il posto di Dio è preso da coloro che dovrebbero facilitare l'incontro con Lui e non impedirlo o seppellirlo sotto tonnellate di leggi, leggine, divieti, prescrizioni, attestati, certificati, timbri, firme, verbali e azzeccagarbugli di vario genere. Gesù chiede a quell'uomo di starsene lontano da tutto questo: una volta incontrato il Dio che libera, che ridona vita, che ripara la dignità offesa, che rende il cuore capace di amare, ebbene, il peccato sta proprio nel tornare dentro il fango della religione costituita e ingabbiare così il cuore del Padre, trasformandolo di nuovo in un dio che chiede incessantemente e non in un Padre che dona senza riserve. 38 anni... una vita. Quanta strada ancora. Un abbraccio a tutte e tutti. Buona vita.

lunedì 23 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Al funzionario del re che chiede aiuto per il figlio malato, Gesù risponde con queste parole: "...Se non vedete segni e prodigi, voi non credete..." (Gv 4,43-54). Credo che queste parole siano di un'attualità sconcertante e definiscano bene la realtà religiosa (o pseudoreligiosa) in cui tanti si dibattono. Non ci interessa capire cosa il segno indichi, ma vogliamo a tutti i costi un segno, un prodigio che ci permetta di dire: "Io c'ero!". I segni che Gesù opera non sono fatti per sbalordire, per convincere, per crearsi degli adepti. Sono segni che indicano l'obiettivo della sua esistenza: rivelarci il volto del Padre e proporci di assomigliare a Lui nel praticare un amore simile al suo. Per questo in un altro passo Gesù stesso dice che se entriamo in tale percorso di fede faremo "... dei segni anche più grandi di quelli" che ha fatto Lui. In fondo, la proposta è uscire dalle sabbie mobili del prodigioso a tutti i costi ed entrare nella dimensione dove più che fare segni, diventiamo segni noi stessi. Segni che indirizzano umilmente, con le nostre fragilità, al volto di un Padre che svela giorno dopo giorno il suo sogno: fare di tutti e di ciascuno dei figli e del mondo una casa dove respirare a pieni polmoni aria ricca di vita, di amore, di perdono. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

domenica 22 marzo 2020

Ciechi vedenti o vedenti ciechi? (Gv 9,1-41)


Migliaia, anzi no, milioni e milioni di anni fa una Voce si fece suono nell'universo nero e freddo: "Yehî ’ôr", "Sia luce!". Un suono composto di aspirate e vocali, quasi un soffio, che prima di spegnersi tremolante accende la luce, si fa luce.
Lezione numero uno: il Creatore sceglie di limitare la sua "onnipotenza" con l'uso della parola, una Parola che illumina. E dove vi è luce/parola trova posto la vita.

Duemila anni fa, la stessa Parola prende carne in un uomo, Gesù di Nazareth, e la Storia si riaccende. La stessa Parola, ora fatta carne, questa volta si muta in un gesto silenzioso: fango, saliva e… di nuovo "Yehî ’ôr", il cieco entra nella luce.
Lezione numero due: il Creatore ama talmente noi,  sue creature che non sopporta le nostre sofferenze: ci vuole integri, sani, felici.

Eppure qualcosa non quadra, sembra esserci una nota stonata in questa sinfonia di creazione. Coloro che affermano di conoscere a menadito il Creatore, coloro che si ritengono i suoi rappresentanti ufficiali dichiarano che questo non è possibile: Lui ci vuole felici sì, ma a patto che osserviamo le regole che loro ci trasmettono e che, parola, provengono direttamente da Lui. Loro sanno, per loro è evidente e chiaro che "quel tipo" sta trasmettendo un messaggio falso e ingannatore. Tra il Creatore e quel falegname c'è un abisso. Non è assolutamente vero quel che afferma: la cecità è il prezzo del tradimento della Legge commesso da lui o da suoi, poco importa. Chi pecca non fa parte della cerchia, della casta dei prediletti, dei beneamati, degli eletti del Creatore. Ne siamo certi per il fatto che noi… vediamo chiaramente.
Lezione numero tre: la presunzione di vedere sempre e tutto con chiarezza è sintomo sicuro di grave cecità.

Siamo partiti da milioni di anni fa, siamo passati a duemila anni fa e ora arriviamo a noi.
Forse, ma dico forse, potremmo essere anche noi tra quelli che credono di possedere un'ottima vista. Con troppa facilità ci siamo adeguati alla visione del "se è così è perché Dio lo vuole", quando va tutto bene. Ma adesso? In questo oggi in cui tutto sembra sgretolarsi,  funziona ancora così? Siamo cresciuti convinti, certi di possedere l'unico modello di sviluppo valido per tutti: chi sta "dietro", chi sta "indietro" deve adeguarsi, deve prenderci a modello (a spese sue, certo, la fatica l'abbiamo fatta anche noi prima… noi o chi per noi…). Siamo andati avanti credendoci "padroni della luce", cioè "signore della vita" (nostra e soprattutto altrui) ed ora ci troviamo a dover tendere le mani in avanti perché ci rendiamo conto di essere ciechi che cadono sbattendo qua e là, senza più i punti di riferimento sicuri di una volta.
Lezione numero quattro: non siamo "i creatori" ma umili custodi della creazione, un dono che ci è affidato e di cui non siamo padroni.

Che fare? Bella domanda, direbbe qualcuno. Quella Parola che si è fatta carne parla ancora, a volerla ascoltare. Parla e ci dice: riconoscete di essere dei ciechi, fatevi guarire e imparate a guardare il mondo, la storia e le persone con gli stessi occhi del Creatore.
Occhi che guardano in maniera nuova, occhi che si prendono cura; sguardi che non passano sulla storia e sulle persone con noncuranza o indifferenza, Occhi che non si posano famelicamente sull'altro per trarne profitto, occhi che esprimono compassione e perdono. Occhi che sussurrano, senza imporsi, un mite e dolce "Yehî ’ôr", sia luce nella tua vita sorella e fratello. Occhi che dicono con dolcezza: "Fatti luce con me".
Lezione numero cinque: siamo sempre in tempo.

Don Luciano


sabato 21 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! "Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano..." (Lc 18,9-14).
Arcinota parabola, tanto che ogni fariseo oggi la usa per proclamarsi pubblicano, cadendo nello stesso ridicolo errore: "Io non sono come quel fariseo là...". Questa perla di parabola però tocca il cuore del Vangelo e la conversione che ne segue: tratta del passaggio dalla religione alla fede, cioè da quel rapporto con Dio in cui io sono preoccupatissimo far qualcosa per Lui a un rapporto in cui accolgo ciò che Lui fa per me. Verissimo in questo contesto quanto afferma con chiarezza il mio amico Alberto Maggi: Dio non volge il suo sguardo ai meriti delle persone ma ai loro bisogni. I meriti (o supposti tali) li possono avere alcuni, ma non tutti; bisogni invece ne hanno tutti e su questi Dio posa il suo sguardo compassionevole. Quindi la parabola non è un invito a quella umiltà melensa che diventa occasione di fariseismo (sono umile e me ne vanto!), ma una proposta a cambiare il nostro rapporto col Padre: da un Dio che esige, a un Padre che dona e chiede di fare altrettanto, da un Dio che vuole dei fedeli, a un Padre che apre la sua casa a dei Figli. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

venerdì 20 marzo 2020

Lettera a Matteo


Carissimo Matteo,
che il tuo cognome sia Salvini o Renzi poco importa: scrivo a te che rappresenti, in un qualche modo, una delle anime che rappresentano questo nostro paese.
Siamo stanchi, ti/vi assicuro, stanchi e impauriti. Ci sentiamo indifesi, inermi (etimologicamente "senza armi") in questa battaglia contro quel piccolo esserino che ha stravolto le nostre vite.
Ti/vi scrivo da questa terra di lacrime e dolore che è diventata Bergamo in questi giorni, la mia Bergamo, dove anche il dolore della perdita di parenti, amici e conoscenti non conosce il tempo dell'addio, di quell'ultimo percorso doloroso che accompagna al camposanto e che in qualche modo fa percepire la morte non come chiusura definitiva ma tappa di un cammino che tocca tutti e ciascuno.
Ti/vi sento in questi giorni parlare, parlare e parlare ancora. Ognuno di voi due "vende" o "svende" la sua proposta come la migliore, quasi fosse una gara per decidere chi di voi può indossare la veste del salvatore, per decidere chi tra voi ritiene di avere la soluzione al problema.
Ve le siete giocate tutte pur di farvi sentire: prima aprite tutto, poi chiudete tutto. Prima no alla Cina, poi grazie alla Cina. Prima il Governo è inefficiente, poi il Governo funziona se fa quel che diciamo noi. Suvvia, basta.
Non avete compreso ancora che noi oggi abbiamo bisogno di silenzio e di lavoro silenzioso (e parlo di lavoro riferendomi all'uno e di silenzio riferendomi all'altro).
Chi vi scrive impegna la sua esistenza ogni giorno proprio con chi non ha voce e con coloro che voi non avete tempo di ascoltare perché non fanno parte di quelli che entrano in cabina.
Io parlo per chi in questi giorni rischia sanzioni perché non può stare a casa per il semplice fatto che casa non ce l'ha e fa parte di quell'Italia ferita di cui fa parte ciascuno di noi.
Parlo anche a nome di quelle famiglie e persone che stanno lottando per la vita ma anche e soprattutto di coloro che sono alle prese con il dolore della perdita, del lutto "non vissuto" perché non han più visto chi fino a poco prima  stava loro accanto e che  tornerà solamente in una piccola urna da seppellire.
Parlo per tutte e tutti coloro che in questo momento sono stanchi e nauseati delle vostre piccole beghe, delle vostre soluzioni populiste, del vostro ergervi davanti a noi come uomini forti che pensano al posto nostro e conoscono il meglio per noi.
Vi prego: usate la mascherina per stare in silenzio e per lavorare umilmente.
Imparate a rispettare i tempi del silenzio.
Imparate a rispettarci nel dolore che attanaglia le nostre vite.
Abbiamo bisogno di testimoni silenziosi, non di politicanti parolai che concimano il loro orticello con il nostro dolore.
Abbiate pietà di noi: mettete la mascherina e fate silenzio. Farete del bene a voi e anche a noi.
Fraternamente, buona vita.
Don Luciano.

Buongiorno


Buongiorno mondo! Oggi uno scriba si avvicina la Maestro per porre la domanda: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?" (Mc 12,28-34). Era abitudine tra le varie scuole confrontarsi su tale problema, e la prevalenza nelle risposte assegnava alla legge sull'osservanza del sabato la preminenza. Gesù nella sua risposta ("Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi") riporta Israele al cuore della sua esperienza, dove l'amore a Dio, (il Dio creatore e liberatore, non il Dio legislatore quello della casistica ma il Dio della tradizione profetica), si innesta in quello all'uomo: una professione di fede che si incarna e si verifica (si fa vera, verificare, verum facere) nella dimensione più squisitamente etica. Anche lo scriba riconosce la veridicità di tale affermazione (per quanto nella sua risposta resti sempre ben ancorato all'interno del recinto della sua ortodossia, per esempio guardate come non riesce a personalizzare il rapporto con Dio, lasciandolo all'impersonale...). Gesù lo invita ad andare oltre, a superare la barriera del legalismo, dicendogli che non è lontano dal modo di "regnare" del Padre. Per questo Gesù affida ai suoi, superando così il punto più alto della spiritualità ebraica, un solo e unico comandamento: “Amatevi gli uni gli altri…” Non sappiamo come sia finita con lo scriba. Sappiamo però che tale invito è rivolto a noi oggi: ce la facciamo a superare le esitazioni e a passare la soglia? O preferiamo restare "prossimi" senza però troppe compromissioni? Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 19 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Oggi nella liturgia si festeggia San Giuseppe, che la classica iconografia ha spesso dipinto come un simpatico vecchierello, preso da Dio per dare una famiglia a Gesù, che fa una brevissima comparsa nei vangeli cosiddetti dell'infanzia, e poi, misteriosamente, scompare nel nulla. Il vangelo di Matteo, che si legge oggi, narra così: "... Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore.(Mt 1,16.18-21.24a)".
Giuseppe era un "giusto", cioè uno stretto osservante della Legge e per questo un acceso nazionalista. L'osservanza dei giusti si pensava accelerasse l'arrivo del Messia che avrebbe liberato dall'oppressore romano e ricostituito il Regno d'Israele. Quindi Giuseppe, il Giusto secondo la Legge, sceglie di infrangere la Legge stessa (decise di licenziarla in segreto, al posto di denunciarla come la Legge obbligava) per fare spazio a Dio. Giuseppe il Giusto, apre la strada al Figlio del Padre che rinnova il suo rapporto con l'umanità: non più un Dio che governa emanando leggi, ma un Padre che apre la sua casa e invita a entrare nella creazione dell'uomo nuovo. Il "Figlio" di Giuseppe il Giusto sbriciolerà la vecchia religione per aprire la via all'esperienza della fede che offre alla vita di chi accoglie tale dono una qualità nuova: la stessa condizione divina.
In questi tempi di COVID-19 penso alle traversie e alle sofferenze che Giuseppe avrà pur dovuto subire; penso al fatto che anche lui, come Maria, sarà rimasto incredulo vedendo come gli stava venendo su quel Figlio, finito poi mica tanto bene.
Con lui e in lui un ricordo particolare a tutti i padri oggi in sofferenza, ai nostri qui e ai padri senza più lacrime scappati dalla guerra in Siria e ammassati alla stregua di animali in Grecia. Pensiamoci: che umanità vogliamo costruire?
Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 18 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Ecco le parole del Maestro nel vangelo di oggi: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli" (Mt 5,17-19). Gesù parla in questo modo subito dopo aver proclamato le Beatitudini e a queste bisogna far riferimento per intendere rettamente quanto vuol dire. In un certo senso è una dedica a tutti i nostalgici di "ordine e disciplina", ai cultori dello “Iota Unum”, a tutti coloro che identificano il Dio di Gesù nel Dio legislatore che dai suoi fedeli pretende obbedienza cieca e assoluta, pena la dannazione eterna. "Legge e Profeti" sono compresi e superati dalla proposta che Gesù fa nelle Beatitudini. I "precetti minimi" cui fa riferimento, infatti, son proprio le beatitudini e niente altro. Chi volesse intendere che Gesù faccia riferimento alle minuziose prescrizioni della Legge è completamente fuori strada. L'ostinazione di chi ancora oggi continua a credere in una visione conciliante tra la legge antica e quella proposta da Gesù non è nella linea proposta da Gesù. Per certi aspetti, anche il Decalogo viene “compiuto”: davanti alle Beatitudini le Dieci Parole il cedono il passo. Perché allora continuiamo a proporre "esami di coscienza" fondati sul Decalogo? Noi continuiamo a far esplorare minuziosamente le coscienze, con precisione chirurgica, mentre le Beatitudini invitano ad assumere uno stile di vita ben diverso. Uno stile in cui da "fedeli" si è invitati a diventare "figli"; dove lo stile di vita non è più orientato all'obbedienza, ma all'assomiglianza all'amore del Padre. Eppure Gesù ha pagato con la vita la sua proposta! Al dolore causato da COVID-19 si aggiunge in questi giorni anche quello di vedere come siamo ancora attaccati a una visione religiosa della vita che sfiora la superstizione: richieste di chiese aperte quasi che Dio sia solamente lì, di sacramenti da ricevere per "garantire il diritto di andare in paradiso" (sentita su Radio24!!!). Non so più per cosa piangere… Un abbraccio e buona vita a tutte e a tutti.

martedì 17 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! "
"In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. (…) Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello»" (Mt 18,21-35).

Pietro, rendendosi conto che seguire questo  Maestro non è poi cosa così scontata, vuol vederci chiaro. È un po' come noi: davanti a una proposta, che so, assicurativa che a prima vista sembra allettante e capace di entusiasmarci, prima di firmare le "carte" ci ripigliamo e andiamo a cercare le famigerate "righe piccole" (quelle che prima o poi ti fregano sempre). Anche Pietro, che comincia appena a mandare giù il fatto che questo Messia non è come se lo immaginava lui (o forse come  lo desiderava) tocca un argomento delicatissimo, per i suoi tempi come per i nostri: il perdono. A chi e quante volte?
A chi? "Se mio fratello"… Pietro ha già lasciato fuori una buona fetta di gente: per esempio gli odiati Romani (e che è? So' fratelli questi? Ma neanche per sogno! Sono invasori. E gli invasori mica li si perdona: per quelli c'è un altro trattamento…). Comunque sia, resta il problema del "quante volte" a chi considero "fratello", cioè uno della mia cerchia, della mia comunità (magari agli altri si pensa dopo…vediamo). La risposta del Maestro è radicale: "Sempre!" (questa è una delle volte in cui avrei voluto esserci per vedere la faccia di Pietro…). Perché così? Perché senza misura alcuna? Perché il perdono è uno stile di vita: non è un vestito che ti metti in un momento e poi lo rimetti nell'armadio. Il perdono è lo stile del Padre, è il suo modo di relazionarci con noi. Ogni istante assume le nostre fragilità e le perdona perché questa è la sua essenza: non può fare né aire altrimenti. Occorre dunque comprendere bene il senso dell'ultima espressione di Gesù perché queste parole determinano, in ultima analisi, il senso del nostro essere discepoli del Maestro stesso. Il perdono che il Padre ci offre non verrà mai a mancare, ma ci è affidato perché attraverso noi raggiunga tutte quelle situazioni e persone che col perdono devono essere risanate, guarite. È inutile "sentirsi perdonati", accogliere il perdono su di noi se poi questo resta in noi. Se lo tratteniamo lo rendiamo sterile, infruttuoso, oserei dire anche inutile. Il perdono che ogni istante ci viene offerto è perché a partire da questo "informiamo", diamo forma alle nostre relazioni personali, come e con Lui.
Io che scrivo queste parole mi rendo conto di quanto ancora sia lontano da uno stile di vita come questo. Ma lo ripeto ogni giorno a me stesso: non vi è altra via per vivere da figlio: assomigliare al Padre per costruire la fraternità di coloro che osano ancora credere al perdono come unica via per diventare pienamente umani. Questo è realizzare quella "somiglianza" originaria che deve essere ricomposta con "l'immagine" che Lui vede ogni volta che ci guarda. In questo modo anche ai nostri "Romani" attuali, a coloro che non consideriamo fratelli,  offriremo l'abbraccio del perdono.
 Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita, sempre e comunque.

lunedì 16 marzo 2020

Buongiorno mondo

Buongiorno mondo! Nel Prologo del Vangelo di Giovanni troviamo scritto che "venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto". Luca, nel vangelo odierno,ci fa sapere che a Nazareth, in mezzo ai suoi, non è andata molto bene, tanto che il Maestro se ne esce con queste parole: "In verità vi dico: nessun profeta è bene accetto in patria" (Lc 4,24-30). Già, la tentazione dei suoi compaesani di gestire la faccenda, di utilizzare Gesù (è uno dei nostri!)per ridare lustro al paesello (tu fai i miracoli, noi pensiamo alla gestione) e per rinnovare lo spirito nazionalista contro i Romani era ben presente. È un po' quello che succede anche tra noi, quando tiriamo in ballo il Maestro per giustificare le nostre idee, per portare avanti i nostri progetti. Non si andò alle Crociate gridando a squarciagola "Dio lo vole!"? E anche ai tempi nostri succede che prima si fanno progetti pastorali, si dettano linee programmatiche, ci si inventano programmi "per salvare la fede", poi si piglia il Vangelo e si cerca di metterlo d'accordo con quanto pensato. Coloro che accettano la via del Maestro, Lui che è l'unica Parola del Padre,incontrerà spesso resistenze che provengono proprio dalle persone religiose. Ma Lui non vuole pia gente religiosa, lui vuole uomini e donne di fede, che sanno osare anche l'opposizione di chi seduto in cattedra sproloquia a proposito e a sproposito per difendere una visione di Chiesa ormai morta e defunta. “Venite a me, voi che siete stanchi e oppressi”… non è un invito di pura consolazione: è una chiamata a condividere la via dura del Maestro, con Lui e come Lui. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

domenica 15 marzo 2020

Acqua viva per noi, assetati di vita


Il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7b): la domanda posta a Massa e Meriba dal popolo assetato risuona nei cuori di tanti di noi in questo tempo in cui siamo messi alla prova da COVID-19.
Tante certezze, tante sicurezze sono state sbriciolate da questo microscopico esserino che si è incuneato nelle nostre vite. E il lamento nella sofferenza, come per Israele nel deserto, sale e si trasforma in dubbio: “il Signore è in mezzo a noi sì o no?”. La certezza di avere sempre questa Presenza “a portata di mano” (o di chiesa), la sicurezza di essere protetti perché “in regola” e “certificati” come buoni osservanti, la presunzione di possedere il “Nome” quasi fosse un talismano da invocare in caso di pericolo o di bisogno, ebbene, tutto questo vacilla e ci fa sentire ancora più soli e nudi.
Ora,  la domanda che in tanti si pongono diventa, ancora una volta, occasione per scavare il proprio pozzo e cercare di fare verità. Ben venga allora il dubbio, la fatica della ricerca fatta non tanto per chiedersi se il Signore sia in mezzo a noi, ma per domandarsi “quale” Signore desideriamo in mezzo a noi!
Israele ha dovuto confrontarsi per un lungo periodo di tempo con questo Nome impronunciabile e questo Volto inafferrabile. Ha dovuto apprendere, dalle voci dei profeti, che non basta essere formalmente osservante per costruire un’alleanza/relazione autentica con quel Dio che si è preso sulle spalle la sofferenza del suo popolo per camminare con lui, ma a modo suo, non secondo i desiderata del popolo. Israele ha conosciuto la tentazione di costruirsi il suo Dio, ha cercato di “informarlo”, cioè di dargli la forma che fosse più immediatamente fruibile e adatta ai propri usi, consumi e bisogni. Lo stesso Dio però ricorda a Israele e a noi che “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8).
In questi giorni abbiamo un’occasione preziosa per pensare e ripensare al nostro rapporto con Lui. E in questo frangente non dobbiamo temere di confrontarci con dubbi e paure. Inutile piangersi addosso perché vi sono chiese chiuse o Eucaristie e non celebrate: è l’eterna tentazione del “Dio a portata di mano” che emerge e ci impedisce di cercare Colui che comunica “in Spirito e verità”.
Arriviamo così al bellissimo testo del Vangelo di oggi, laddove Giovanni ci narra l’incontro al pozzo di Sicar tra Gesù e la donna samaritana (Gv 4,5-42). Una donna, la samaritana, che oggi in particolare diviene icona di una Chiesa che ha bisogno di ritrovare e annunciare l’unico e autentico Volto di Dio: quello incarnato in Gesù di Nazareth.
Quell’incontro avvenuto 2000 anni fa riverbera la sua potenza e profondità fino al nostro oggi. Ci mette di fronte allo sforzo inutile di placare la nostra sete di vita scavando cisterne screpolate che offrono un’acqua che non disseta ma che, al contrario, alimenta sempre più la nostra sete. La samaritana è icona di ciascuno di noi che confondiamo lo Sposo con un Baal/marito che ci siamo costruiti a nostro uso e consumo, un idolo che abbiamo posto dentro un edificio e che solo lì deve restare affinché siamo certi di trovarlo al bisogno. Gesù invita quella donna, noi dunque oggi, ad andare oltre, ad oltrepassare il tempio (che sia a Gerusalemme o sul Garizim) e a scavare “in Spirito e verità” il nostro pozzo, abbandonando quell’acqua putrida con cui l’idolo continua ad avvelenare la nostra vita.
Questo tempo così dolorosamente segnato dalla sofferenza e dalla vulnerabilità è davvero un “kairòs”, faticoso ma benedetto, in cui “distruggere questo tempio” per ritrovare una più autentica relazione con Dio.
Questo ci aiuterà forse a comprendere che quel Dio che tanto stiamo invocando e che riteniamo confinato in un edificio, ci ha già preceduto altrove: è davvero in mezzo a noi e lo troveremo là dove la sofferenza devasta la nostra umanità, inginocchiato a servire le sue figlie e i suoi figli nuovamente e continuamente incarnato in chiunque oggi si fa servo della vita dell’altro, per amore, null’altro che per amore.
Ritrovando il Dio di Gesù in questo modo  anche le nostre comunità potranno essere pozzi di acqua che disseta e non cisterne fangose che soffocano e alienano. Ne va della nostra umanità e del Suo buon Nome.

Don Luciano

venerdì 13 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Alla fine della parabola dei vignaioli omicidi il Maestro lancia questo monito: "Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare" (Mt 21,33-43.45 ). Inutile stare a cavillare: sono parole dure rivolte a una comunità che ha perso il significato della sua esistenza. Ogni volta che pensiamo di farci padroni della "vigna", ogni volta che pensiamo di appropriarci della verità perché "noi sappiamo cosa è meglio", ogni volta che agiamo pensando di fare meglio del Padre, allora perdiamo il senso della nostra esistenza; abbiamo dimenticato che "siamo semplicemente servi" sulle strade del Figlio dell'Uomo che è venuto per servire e non per essere servito. Troppe volte ce ne stiamo a guardare, sconsolati perché le cose "non sono più come una volta", troppe volte alziamo muri e barriere per la paura di perdere "il poco che resta". Ma così facendo la vigna va in rovina e non può più produrre il vino nuovo del vangelo e rischia solo di produrre aceto e per di più stantio. Ci è stato fatto il dono di essere portatori della buona notizia che il Padre accoglie tutti, che il suo amore è per tutti; nessuno ci chiede di tagliare rami che consideriamo secchi: questo è un lavoro che farà l'amore del Padre. A noi è chiesto di produrre il buon vino della compassione e della misericordia. Mettiamoci al lavoro, prima che la vigna passi ad altri.
Inoltre ai farisei "seccati" per le sue posizioni, il Maestro ricorda che "la pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo". È un invito a saper andare oltre le apparenze, a saper essere persone "intelligenti", che sanno guardare dentro la vita e non accontentarsi della superficie. Riprendiamoci l'uso del pensiero, la libertà di sperimentare e sperimentarsi in novità di vita, evitando di lasciarci intrappolare dalla rete del "tutti pensano così" e del  "si è sempre fatto così". La Tradizione non è una sterile ripetizione del passato, un moto nostalgico del tempo di prima. Tradizione è saper ritrasmettere in modo sempre nuovo la freschezza del Vangelo. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 12 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Se ieri il Maestro chiedeva ai suoi non di operare dei servizi ma di essere servi al servizio della vita, oggi esemplifica tutto questo con una nota parabola: "C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe" (Lc 16,19-31). È un bel ritratto della nostra umanità dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ma i grandi scenari, le visioni macroscopiche affondano le loro radici nel microcosmo delle nostre comunità, delle nostre singole scelte. Ogni passo compiuto nell'indifferenza mascherata da false paure dell'altro, intrisa di pensieri del tipo "tanto io cosa posso risolvere?", contribuisce alla creazione di nuovi poveri. Ogni comunità che celebra l'Eucaristia senza rendersi conto del "Lazzaro" che sta alla sua porta è una comunità che non celebra la cena del Signore ma partecipa al lauto banchetto del ricco, troppo impegnato a "riempirsi" per vedere gli altri. E se di questi tempi l’Eucaristia ci è forzatamente tolta io resto dell’idea che non tutto il male vien per nuocere… Il ricco non è cattivo, ma peggio: è indifferente. Il ricco è l'esatto contrario del Padre che Gesù è venuto a rivelare: il ricco è talmente preso da se stesso che non si avvede dell'altro; il Padre è talmente preso dall'altro (da noi) che vuole farlo come sé. E noi da che parte stiamo? Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 11 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Oggi il Maestro ci propone di condividere il sogno di Dio nella costruzione di un mondo nuovo. Mondo caratterizzato da relazioni che si fondano sulla disponibilità a mettersi a servizio: "...colui che vorrà diventare grande tra voi, sarà vostro servitore, e colui che vorrà essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo,che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,17-28). La proposta di Gesù non è una semplice e pia esortazione a "fare un po' di bene", ma un invito ben chiaro a dare un orientamento ben preciso alla propria esistenza: è un invito a giocarsi a fondo la vita nella libertà che nasce dal servizio. E perché non si cada nella trappola di un "semplice fare qualcosa", di "compiere qualche buona azione" o mettere sul registro della suora di turno la stellina per il "fioretto fatto" (ve lo ricordate?), Il Maestro ci ricorda che servire non è dare qualcosa ma offrire se stessi, fare della propria esistenza un dono continuo e quotidiano. Quindi, sorelle e fratelli, facciamo attenzione a non cadere nella tentazione del semplice "fare" per sentirci "a posto": la questione qui è più profonda, perché tocca il nostro essere, la scelta di uno stile di vita decisamente diverso, dove condivisione e servizio, dono di sé e prossimità sono i pilastri fondanti il nostro percorso quotidiano perché il Padre, Lui stesso, opera in questo modo, non servendosi dell’uomo ma mettendosi a servizio dell’uomo. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 10 marzo 2020

Buongiorno!

Buongiorno mondo! Parole dure quelle del Maestro nel vangelo odierno. "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno" (Mt 23,1-12). Mosé ha cercato di dare al popolo una legge che portasse alla nascita di una nazione in cui giustizia e diritto potessero risplendere come un faro per tutti gli altri popoli. Una volta che la Torah è diventata appannaggio esclusivo di "scribi e farisei", questi l'hanno ridotta a un puro mezzo per conquistare potere sul popolo, creando così situazioni gravissime di ingiustizia... sempre "in nome di Dio". Nella comunità di Gesù non c'è posto per logiche di questo tipo. Non vi sono "studiati" che impongono e "popolino" che deve solamente ubbidire "perinde ac cadaver" (allo stesso modo di un cadavere). La comunità di Gesù nasce a servizio dell'uomo per aprire spazi al Regno, ossia al modo di essere presente di Dio nella storia, comunicando il suo amore a tutti e a ciascuno. Non abbiamo bisogno di maestri, ma di sorelle e fratelli testimoni di tale amore. Come sempre il Vangelo chiede di posizionarsi: mendichiamo un posticino presso una qualche "cattedra" per un po' di potere, o lavoriamo per il bene dell'uomo comunicando l'amore del Padre che si fa servizio? Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 9 marzo 2020

Buongiorno mondo!


Buongiorno mondo! Il nostro percorso quaresimale viene oggi illuminato da un'altra parola del Maestro che ribadisce la necessità di vivere la vita e la fede nella somiglianza al Padre: "Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6,36-38). È la via della vita, fatta di gesti di misericordia e accoglienza che apre spazi all'azione risanatrice del Padre. È la via maestra per quella società nuova che nasce dal cuore amante dell'Uomo della Croce Risorto che vive per sempre con noi e ci accompagna nella realizzazione del sogno di Dio sull'uomo. Qualcuno potrebbe pensare che essere misericordiosi sia mostrarsi deboli. È proprio di questa "debolezza" che abbiamo bisogno se vogliamo cantare quel canto nuovo di cui parla il salmista. Ma per cantare il canto nuovo occorre essere donne e uomini nuovi, nel cuore e nella vita. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

domenica 8 marzo 2020

La “Trasfigurazione” ai tempi del Covid-19



 La narrazione che Matteo (Mt 17,1-9) ci offre della Trasfigurazione si apre con una significativa annotazione cronologica: “E dopo sei giorni…” (Il testo liturgico ci ammannisce il trito e ritrito “In quel tempo…”, vabbè, evitiamo polemiche…).
Dopo sei giorni” è preludio al settimo giorno, rimanda al compimento della creazione: il “riposo” di Elohim che si fa invito all’umano perché sia custode di quanto gli viene affidato. È l’invito a realizzare il compito di “somiglianza” che sgorga dal dono “dell’immagine”. Nella Trasfigurazione, il Figlio si propone come modello dell’umano che risponde all’invito.
Per far questo Gesù “si trasforma” davanti ai suoi. Il termine usato da Matteo è “metamorfosi” e ci offre un rimando interessante. Nella mitologia religiosa pagana spesso le divinità si divertivano ad assumere forma umana (pensate a Zeus e alle sue molteplici “trasformazioni” per soddisfare i suoi capricci e mettere un cespuglio di corna alla moglie!) Nella Trasfigurazione del Figlio è il contrario: è l’umanità di Gesù che assume i tratti del divino: il volto di quel carpentiere di Nazareth “s’illumina d’immenso” per fare intravvedere il senso del cammino di ogni uomo: diventare trasparenza del divino. In altre parole: è la realizzazione piena di quella “somiglianza” che ci identifica con “l’immagine” di cui ciascuno è portatore.
Ecco allora la reazione di Pietro: “È bello per noi essere qui”. In effetti, per quanto si possa dubitare che Pietro abbia veramente compreso in profondità, le sue parole illuminano il cammino. “È bello” perché il Volto trasfigurato di Gesù ci permette di contemplare quella Bellezza originaria per la quale siamo stati creati e che, giorno dopo giorno, è nostro compito cercare, svelare e realizzare.
Torno su quanto ho scritto in “Sine dominico non possumus?”. L’assenza forzata di Eucaristia domenicale ci ha fatto entrare nel deserto per permetterci di guardare quell’idolo impastato di potere, avere e prestigio che risiede nei cuori di ciascuno di noi. Oggi, sempre in assenza “benedetta” di Eucaristia, possiamo salire sul monte per comprendere lo scopo della lotta nel deserto: essere trasfigurati. Ci siamo resi conto, nel deserto, di quanto l’idolo ci ha “de-figurati”, di come e quanto l’idolo ha distorto svilito la nostra umanità e la Sua immagine. Ora è tempo di alzare lo sguardo per vedere il fine, non la fine, del nostro camminare.
È allora il tempo di entrare nella “nube luminosa” per ascoltare la Voce.
Troppo abituati e attaccati alle nostre distorte immagini divine è giunto il tempo di reimparare ad ascoltare Colui che è Voce e si fa Parola nella vita del Figlio.
Anche oggi, dunque, l’assenza di Eucaristia diventa “Shekhinah”. Questo termine, che potrebbe essere tradotto con “dimora” ma anche “presenza”, indicava, nella tradizione dei rabbini, lo spazio vuoto posto fra i due cherubini che stavano sul coperchio dell’arca dell’alleanza.
Ecco, forse questo tempo in cui COVID-19 ci obbliga all’assenza di Eucaristia, potrebbe essere letto così: un kairòs, un tempo privilegiato per imparare a relazionarci in maniera più corretta e autentica con Dio e la sua presenza “a modo di Shekhinah”, spogliandoci così da ogni pretesa di possesso e accettando questo processo di “de-figurazione” per essere “trasfigurati”.
Risuona oggi un imperativo: “Ascoltate lui!”. Ascoltare, biblicamente parlando, è intimamente connesso a obbedire. Ma non si tratta qui di obbedienza “perinde ac cadaver”. È un obbedienza che nasce dalla fiducia, da quella fiducia cieca che ha un unico fondamento: l’amore, che sempre interpella la libertà personale.
Mi fido perché so che mi ami; mi fido perché sento che tu hai fiducia in me.
È quella stessa fiducia che ha segnato l’alba della creazione quando hai voluto condividere il tuo progetto con me, uomo chiamato a diventare Dio con te e come te.
Allora, coraggio! Accettiamo di essere “De-figurati” per essere “Trasfigurati”.
Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

venerdì 6 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Il nostro Maestro non si accontenta mai; è l'uomo che va sempre "oltre", e invita a fare altrettanto: "Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 5,20-26). È un invito ai suoi, a quelli che si riconoscono nel suo messaggio, a superare la fedeltà (così è da intendere il termine "giustizia") all'Antica Alleanza per entrare nell'ottica di quella Nuova, dove non basta astenersi dal fare il male ma occorre essere portatori di vita, persone che si occupano e si preoccupano del bene e del benessere del fratello e della sorella. Anzi, la proposta è ancora più sconvolgente: invita all'amore verso chi mi fa del male, invita ad andare "oltre" la risposta naturale (tu fai questo a me, io faccio questo a te, o reciprocità della risposta violenta) per comunicare vita e amore come e con  il Padre "che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti...". Non sono parole facili (e chi lo ha mai detto?), ma sono le Sue e sul piatto della scommessa non ci si può giocare solo per una parte: Lui su quel piatto ci ha messo la vita, e noi che ci mettiamo? Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 5 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Mi piace pensare a una comunità di fratelli e sorelle che camminano dietro al Maestro, giorno dopo giorno, nella personale fatica del crescere quotidiano; una comunità dove risuonano e dove le persone fanno risuonare queste parole del Maestro: "Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto" (Mt 7,7-12). Mi piace immaginare queste parole come se fossero le parole di benvenuto poste all'entrata, un'entrata immaginaria, forse, di questa comunità: a chi arriva chiedendo, viene dato; chi arriva cercando, sa di poter trovare; e chi bussa sommessamente sa che una porta si aprirà. Ecco una bella proposta di cammino di conversione quaresimale per le nostre comunità cristiane: comunità che aprono spazi in cui mendicanti di vita, cercatori di speranza e "bussatori" in solitudine possano trovare una vita di qualità nuova, diversa; una vita che si cura della vita e non una proposta in cui "devi"... "sei chiamato a...", "questa è la norma....", "i nostri obblighi sono questi..."; una vita che sappia far volgere lo sguardo verso il Maestro non con timore o addirittura noia, ma con la freschezza di una Parola che ha un sapore sempre nuovo: il sapore della vita stessa, e non l'odore della muffa che spesso emanano le nostre comunità stanche e rinchiuse in loro stesse. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 4 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Quanti segni e segnali nella vita di tutti noi! Pensiamo solamente ai cartelli stradali; quanti ne incontriamo ogni giorno? E le in-segne (il trattino è voluto) pubblicitarie? E quanti In-segnanti, persone che additano percorsi, che spremono cervelli, che passano informazioni...e via discorrendo. Segni, segnali, simboli... tutto un universo che ci dice cosa fare, come fare, cosa non fare, quando fare, cosa evitare... Oggi anche il Maestro ci parla di segni: "Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona" (Lc 11,29-32). Già, già... a noi immersi nei segni, a noi perenni cercatori di segni e segnali, il Maestro propone un'altra via (come al solito): non la via dell'apparire, ma la via dell'essere segno. "Il segno di Giona", il segno di una vita (quella di Gesù, inteso, non quella di Giona) che si immerge nella pieghe più profonde della storia dell'umanità per farsi dono e dono di vita. Donne e uomini che non "in-segnano" ma che si fanno segni essi stessi; donne e uomini capaci di fare della propria esistenza un dono che diventa segno di un amore più grande e totale: quello del Padre. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 3 marzo 2020

Buongiorno


Buongiorno mondo! Proposta "spinosa" quella che ci arriva oggi dal Maestro, ma che tocca l'essenza della nostra fede: "Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe" (Mt 6,7-15).
Come leggere queste parole? Davvero il Padre può "non perdonare"? Credo che il significato delle parole di Gesù vada inteso in altro modo. Infatti egli ricorda ai suoi, cioè a noi, che abbiamo il "potere" di "bloccare" o "rendere sterile" il perdono che il Padre continuamente ci concede. Siamo stati educati a pensare che occorre chiedere il perdono perché il Padre ce lo conceda. Ma Dio perdona sempre, senza bisogno che glielo chiediamo perché Lui è amore e come tale non può far a meno di perdonare (vedi la parabola del Padre misericordioso). Il fatto è che Lui chiede che il perdono offerto sia condiviso e non ridotto a mera questione personale tra noi e Lui (e non entro nel merito del Sacramento della Riconciliazione... che a volte assume i tratti di un accertamento fiscale in cui si spera di cavarsela con il minor danno possibile!!!). Ecco il perché delle parole di Gesù: se non siamo disponibili a far circolare questo perdono tra noi, a fondamento delle nostre relazioni, rendiamo sterile l'amore del Padre in noi. La comunità dei discepoli è essenzialmente una comunità di uomini e donne continuamente aperti e disposti al perdono perché continuamente perdonati. Solo in questo modo il Regno diventa una realtà capace di modificare profondamente il nostro vivere insieme, il nostro stile di vita sociale. Perdoniamo perché perdonati: e se necessario, perdoniamo in perdita, anche davanti al rifiuto, perché così il Padre opera. E chiede a noi di associarci a tale stile. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 2 marzo 2020

Buongiorno mondo!


Buongiorno mondo! Parole che non lasciano spazio a molta immaginazione quelle che oggi il Maestro rivolge ai suoi: "Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?
Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me
" (Mt 25,31-46). È la pagina di Matteo che chiamiamo del "giudizio universale", ma dovrebbe essere chiamata quella della "prova delle Beatitudini". Non si può leggere e capire questo testo senza tenere davanti quello delle Beatitudini, e in particolar modo la prima. Infatti solo chi sceglie volontariamente e liberamente di vivere quella povertà che è fatta di condivisione, di attenzione totale al bene e alla vita dell'altro, avrà occhi per vedere l'affamato, l'assetato, il malato... ecc. Inutile farne, come spesso è accaduto, un pia esortazione a compiere qualche opera buona. Dunque il tutto, o si regge sull'opzione fondamentale delle Beatitudini, o diventa un semplice esercizio dove "io buono aiuto te che sei nel bisogno" ma mantenendo l'altro nel bisogno per poterlo continuamente accudire in maniera paternalista, e non paterna come quella del Dio di Gesù. Il Padre non desidera "fioretti" di bontà, ma persone libere di cuore che scelgono liberamente di essere "zoofori", portatori di vita, praticanti un amore simile al Suo, capaci di liberare da povertà e ingiustizia attraverso la creazione di spazi comunitari dove l'azione dello Spirito, comunicato in abbondanza, si manifesta in maniera concreta ed efficace. E per far questo non servono indicazioni del Parroco, del Vescovo o del Papa: basta camminare dietro al Maestro giorno dopo giorno. Ricordiamo: anche nel cammino quaresimale non basta fare della carità, occorre diventare caritatevoli,cioè donne uomini che profumano della carità di Cristo. Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

domenica 1 marzo 2020

Sine Dominico non possumus?



Ho aggiunto di proposito il punto interrogativo perché di questi tempi la domanda mi pare d’obbligo. E cerco di spiegarmi.

Premetto che non voglio banalizzare (l’Eucaristia domenicale è davvero, o dovrebbe essere,  “fons et culmen(LG 11) della vita della comunità cristiana) tantomeno generalizzare (vi sono, invero, comunità di sorelle fratelli in cui si percepisce in maniera più autentica e profonda la celebrazione di questo mistero, non ridotto a mera osservanza precettuale).
In secondo luogo, ricordo che questa espressione risale ai Martiri di Abitene: 49 cristiani uccisi durante la persecuzione di Diocleziano. Gente che per la celebrazione dell'Eucaristia è arrivata a dare la vita... una cosa seria!
Detto questo, allora, perché quel punto interrogativo? Esso nasce da un certo fastidio interiore che provo in questi giorni in cui siamo alle prese con l’emergenza sanitaria da COVID-19 (questo è il nome datogli dalla comunità scientifica; il nome Corona virus ha contribuito a generare commenti talmente avvilenti, vedi per esempio su Radio Maria, che la metà basta).
Siamo a conoscenza delle restrizioni cui, per quanto non ovunque, la situazione ci ha costretti. Queste restrizioni hanno toccato anche le celebrazioni della comunità cristiana e non solo. Negli ultimi giorni,in reazione, ho assistito a un fiorire di “petizioni” tipo “Ridateci la Messa”, di reazioni scandalizzate per la “sacrilega comunione sulla mano”, fino alle solite (non mancano mai!) teorie complottiste in cui “questa volta Satana si è davvero manifestato e, complici i Vescovi, sta distruggendo la Chiesa”.
Tutto questo mentre siamo appena entrati nel periodo quaresimale e oggi siamo alla I domenica, dove la liturgia della Parola, il Vangelo in particolare, ci mostrano Gesù che entra nel deserto ed è messo alla prova (Gesù fa parte di un popolo che con il deserto ha un feeling particolare: il deserto biblico è il tempo/luogo della nudità, del ritorno, della ricerca, della prova; è lo spazio/tempo in cui ritrovare una più autentica relazione con quel Liberatore il cui Nome è impronunciabile e il cui Volto inafferrabile).
La domanda che mi sono posto è: perché questa nostra fatica (paura?) di fronte al “deserto”? Perché temiamo così tanto questa esperienza di spoliazione, di mancanza, di paura, sì, di paura di perdere le troppe sicurezze che ci siamo costruiti?
Sine Dominico non possumus? Sì, dico io, possiamo e dobbiamo: sine Dominico! Possiamo e dobbiamo perché il “deserto”, nel quale entriamo con il Maestro, ci obbliga a purificare tutte quelle distorte immagini di Dio che con troppa facilità e noncuranza ci siamo fabbricati e ci portiamo in tasca, a uso e consumo della situazione del momento.
Questo “digiuno eucaristico”, imposto dalle circostanze, è allora un digiuno benedetto che può aiutarci a recuperare una dimensione più evangelicamente autentica di quanto celebriamo ogni domenica. In questo “deserto”, infatti, soli con noi stessi, comunità erranti in cerca di una libertà ancora e sempre da liberare, dobbiamo vivere “etsi Deus non daretur” o, parafrasando, “etsi Eucharistia non daretur” per imparare a chiedere di nuovo, in maniera più autentica, questo dono di cui sfacciatamente ci siamo appropriati manipolandolo fino a farlo diventare devozione personale, premio per la nostra supponente e supposta giustizia, pane per una tavola troppo ricca di ricchezze rubate ad altri, calice colmo sovente di vino reso acido dalle nostre connivenze con quelle ingiustizie che continuano a generare povertà e violenze all’uomo e al creato. Vivere “etsi Deus… etsi Eucharistia…” proprio per spogliarci di quelle mistificazioni che abbiamo costruito su Dio stesso e sul sacramento dell’Eucaristia e che contribuiscono ad alimentare quella falsa e farisaica consapevolezza di essere sempre nel giusto, di poter andare davanti a Dio a testa alta anche quando sotto i nostri piedi schiacciamo la testa del povero.
Possiamo celebrare la Cena del Signore nella verità, cioè secondo quanto Gesù ci ha consegnato (ci ha dato una vita, la Sua,  non un semplice rito!), quando le nostre parole e le nostre relazioni sono segnate da rancore, da livore, finanche da odio verso chi “non è dei nostri”?
Possiamo celebrare l’Eucaristia quando viviamo all’insegna di slogan costruiti sul “prima noi” (che ricorda amaramente quegli slogan d’altri tempi che facevano ribollire le piazze al grido ottuso di: “A noi!”). Ricordiamo che quando qualcuno proclama e inietta nella nostra società slogan di questo tipo sempre si trova chi queste parole le ascolta e le condivide: uno grida, tanti approvano.
Possiamo celebrare l’Eucaristia restando sordi e indifferenti alle urla di migliaia di rifugiati che fuggono dalla Siria in guerra?
Possiamo mangiare la Cena del Signore mentre un’altra catastrofe fatta di locuste sta letteralmente mangiando mezza Africa?
Possiamo infine continuare a celebrare l’Eucaristia se poi nella nostra vita facciamo del denaro, del prestigio e del potere il nostro vero pane quotidiano (il Maestro ci ha messo e ri-messo la vita per vincere questi tre idoli, e noi siamo preoccupati per le acquasantiere vuote?).
Ecco perché, alla fine di questa riflessione, ribadisco che questo “deserto/digiuno eucaristico” nel quale entriamo oggi non può che farci del bene (ammesso che accettiamo di entrarci non per fare una scampagnata!).
Termino ricordando una bella espressione dell’Arcive-scovo di Bari, Mariano Magrassi, che negli anni ‘70, credo, quindi in tempi non sospetti, affermava: “Più Messa e meno Messe”.
E Dio sa quanto, già da allora, avesse ragione.

Don Luciano

P.S. "etsi Deus non daretur", antica espressione bergamasca che significa "Come se Dio non esistesse, non ci fosse"...