domenica 1 marzo 2020

Sine Dominico non possumus?



Ho aggiunto di proposito il punto interrogativo perché di questi tempi la domanda mi pare d’obbligo. E cerco di spiegarmi.

Premetto che non voglio banalizzare (l’Eucaristia domenicale è davvero, o dovrebbe essere,  “fons et culmen(LG 11) della vita della comunità cristiana) tantomeno generalizzare (vi sono, invero, comunità di sorelle fratelli in cui si percepisce in maniera più autentica e profonda la celebrazione di questo mistero, non ridotto a mera osservanza precettuale).
In secondo luogo, ricordo che questa espressione risale ai Martiri di Abitene: 49 cristiani uccisi durante la persecuzione di Diocleziano. Gente che per la celebrazione dell'Eucaristia è arrivata a dare la vita... una cosa seria!
Detto questo, allora, perché quel punto interrogativo? Esso nasce da un certo fastidio interiore che provo in questi giorni in cui siamo alle prese con l’emergenza sanitaria da COVID-19 (questo è il nome datogli dalla comunità scientifica; il nome Corona virus ha contribuito a generare commenti talmente avvilenti, vedi per esempio su Radio Maria, che la metà basta).
Siamo a conoscenza delle restrizioni cui, per quanto non ovunque, la situazione ci ha costretti. Queste restrizioni hanno toccato anche le celebrazioni della comunità cristiana e non solo. Negli ultimi giorni,in reazione, ho assistito a un fiorire di “petizioni” tipo “Ridateci la Messa”, di reazioni scandalizzate per la “sacrilega comunione sulla mano”, fino alle solite (non mancano mai!) teorie complottiste in cui “questa volta Satana si è davvero manifestato e, complici i Vescovi, sta distruggendo la Chiesa”.
Tutto questo mentre siamo appena entrati nel periodo quaresimale e oggi siamo alla I domenica, dove la liturgia della Parola, il Vangelo in particolare, ci mostrano Gesù che entra nel deserto ed è messo alla prova (Gesù fa parte di un popolo che con il deserto ha un feeling particolare: il deserto biblico è il tempo/luogo della nudità, del ritorno, della ricerca, della prova; è lo spazio/tempo in cui ritrovare una più autentica relazione con quel Liberatore il cui Nome è impronunciabile e il cui Volto inafferrabile).
La domanda che mi sono posto è: perché questa nostra fatica (paura?) di fronte al “deserto”? Perché temiamo così tanto questa esperienza di spoliazione, di mancanza, di paura, sì, di paura di perdere le troppe sicurezze che ci siamo costruiti?
Sine Dominico non possumus? Sì, dico io, possiamo e dobbiamo: sine Dominico! Possiamo e dobbiamo perché il “deserto”, nel quale entriamo con il Maestro, ci obbliga a purificare tutte quelle distorte immagini di Dio che con troppa facilità e noncuranza ci siamo fabbricati e ci portiamo in tasca, a uso e consumo della situazione del momento.
Questo “digiuno eucaristico”, imposto dalle circostanze, è allora un digiuno benedetto che può aiutarci a recuperare una dimensione più evangelicamente autentica di quanto celebriamo ogni domenica. In questo “deserto”, infatti, soli con noi stessi, comunità erranti in cerca di una libertà ancora e sempre da liberare, dobbiamo vivere “etsi Deus non daretur” o, parafrasando, “etsi Eucharistia non daretur” per imparare a chiedere di nuovo, in maniera più autentica, questo dono di cui sfacciatamente ci siamo appropriati manipolandolo fino a farlo diventare devozione personale, premio per la nostra supponente e supposta giustizia, pane per una tavola troppo ricca di ricchezze rubate ad altri, calice colmo sovente di vino reso acido dalle nostre connivenze con quelle ingiustizie che continuano a generare povertà e violenze all’uomo e al creato. Vivere “etsi Deus… etsi Eucharistia…” proprio per spogliarci di quelle mistificazioni che abbiamo costruito su Dio stesso e sul sacramento dell’Eucaristia e che contribuiscono ad alimentare quella falsa e farisaica consapevolezza di essere sempre nel giusto, di poter andare davanti a Dio a testa alta anche quando sotto i nostri piedi schiacciamo la testa del povero.
Possiamo celebrare la Cena del Signore nella verità, cioè secondo quanto Gesù ci ha consegnato (ci ha dato una vita, la Sua,  non un semplice rito!), quando le nostre parole e le nostre relazioni sono segnate da rancore, da livore, finanche da odio verso chi “non è dei nostri”?
Possiamo celebrare l’Eucaristia quando viviamo all’insegna di slogan costruiti sul “prima noi” (che ricorda amaramente quegli slogan d’altri tempi che facevano ribollire le piazze al grido ottuso di: “A noi!”). Ricordiamo che quando qualcuno proclama e inietta nella nostra società slogan di questo tipo sempre si trova chi queste parole le ascolta e le condivide: uno grida, tanti approvano.
Possiamo celebrare l’Eucaristia restando sordi e indifferenti alle urla di migliaia di rifugiati che fuggono dalla Siria in guerra?
Possiamo mangiare la Cena del Signore mentre un’altra catastrofe fatta di locuste sta letteralmente mangiando mezza Africa?
Possiamo infine continuare a celebrare l’Eucaristia se poi nella nostra vita facciamo del denaro, del prestigio e del potere il nostro vero pane quotidiano (il Maestro ci ha messo e ri-messo la vita per vincere questi tre idoli, e noi siamo preoccupati per le acquasantiere vuote?).
Ecco perché, alla fine di questa riflessione, ribadisco che questo “deserto/digiuno eucaristico” nel quale entriamo oggi non può che farci del bene (ammesso che accettiamo di entrarci non per fare una scampagnata!).
Termino ricordando una bella espressione dell’Arcive-scovo di Bari, Mariano Magrassi, che negli anni ‘70, credo, quindi in tempi non sospetti, affermava: “Più Messa e meno Messe”.
E Dio sa quanto, già da allora, avesse ragione.

Don Luciano

P.S. "etsi Deus non daretur", antica espressione bergamasca che significa "Come se Dio non esistesse, non ci fosse"...

1 commento:

  1. Purtroppo ci siamo troppo abituati ad un cristianesimo "tiepido"; Spesso viviamo le celebrazioni Eucaristiche come un tributo da pagare per mettere a posto la nostra coscienza; molto spesso il partecipare alla santa Messa è un'abitudine domenicale poichè poi si va bere il caffè oppure l'aperitivo: dipende dall'ora.

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