“Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”
(Es 17,7b): la domanda posta a Massa e Meriba dal popolo assetato risuona nei
cuori di tanti di noi in questo tempo in cui siamo messi alla prova da
COVID-19.
Tante
certezze, tante sicurezze sono state sbriciolate da questo microscopico
esserino che si è incuneato nelle nostre vite. E il lamento nella sofferenza,
come per Israele nel deserto, sale e si trasforma in dubbio: “il Signore è in
mezzo a noi sì o no?”. La certezza di avere sempre questa Presenza “a portata
di mano” (o di chiesa), la sicurezza di essere protetti perché “in regola” e
“certificati” come buoni osservanti, la presunzione di possedere il “Nome”
quasi fosse un talismano da invocare in caso di pericolo o di bisogno, ebbene,
tutto questo vacilla e ci fa sentire ancora più soli e nudi.
Ora,
la domanda che in tanti si pongono
diventa, ancora una volta, occasione per scavare il proprio pozzo e cercare di
fare verità. Ben venga allora il dubbio, la fatica della ricerca fatta non
tanto per chiedersi se il Signore sia in mezzo a noi, ma per domandarsi “quale” Signore desideriamo in mezzo a
noi!
Israele
ha dovuto confrontarsi per un lungo periodo di tempo con questo Nome
impronunciabile e questo Volto inafferrabile. Ha dovuto apprendere, dalle voci
dei profeti, che non basta essere formalmente osservante per costruire
un’alleanza/relazione autentica con quel Dio che si è preso sulle spalle la
sofferenza del suo popolo per camminare con lui, ma a modo suo, non secondo i
desiderata del popolo. Israele ha conosciuto la tentazione di costruirsi il suo
Dio, ha cercato di “informarlo”, cioè di dargli la forma che fosse più immediatamente
fruibile e adatta ai propri usi, consumi e bisogni. Lo stesso Dio però ricorda
a Israele e a noi che “i miei pensieri
non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8).
In
questi giorni abbiamo un’occasione preziosa per pensare e ripensare al nostro
rapporto con Lui. E in questo frangente non dobbiamo temere di confrontarci con
dubbi e paure. Inutile piangersi addosso perché vi sono chiese chiuse o
Eucaristie e non celebrate: è l’eterna tentazione del “Dio a portata di mano”
che emerge e ci impedisce di cercare Colui che comunica “in Spirito e verità”.
Arriviamo
così al bellissimo testo del Vangelo di oggi, laddove Giovanni ci narra
l’incontro al pozzo di Sicar tra Gesù e la donna samaritana (Gv 4,5-42). Una
donna, la samaritana, che oggi in particolare diviene icona di una Chiesa che
ha bisogno di ritrovare e annunciare l’unico e autentico Volto di Dio: quello
incarnato in Gesù di Nazareth.
Quell’incontro
avvenuto 2000 anni fa riverbera la sua potenza e profondità fino al nostro
oggi. Ci mette di fronte allo sforzo inutile di placare la nostra sete di vita scavando
cisterne screpolate che offrono un’acqua che non disseta ma che, al contrario,
alimenta sempre più la nostra sete. La samaritana è icona di ciascuno di noi
che confondiamo lo Sposo con un Baal/marito che ci siamo costruiti a nostro uso
e consumo, un idolo che abbiamo posto dentro un edificio e che solo lì deve
restare affinché siamo certi di trovarlo al bisogno. Gesù invita quella donna,
noi dunque oggi, ad andare oltre, ad oltrepassare il tempio (che sia a
Gerusalemme o sul Garizim) e a scavare “in Spirito e verità” il nostro pozzo,
abbandonando quell’acqua putrida con cui l’idolo continua ad avvelenare la
nostra vita.
Questo
tempo così dolorosamente segnato dalla sofferenza e dalla vulnerabilità è
davvero un “kairòs”, faticoso ma benedetto, in cui “distruggere questo tempio”
per ritrovare una più autentica relazione con Dio.
Questo
ci aiuterà forse a comprendere che quel Dio che tanto stiamo invocando e che
riteniamo confinato in un edificio, ci ha già preceduto altrove: è davvero in
mezzo a noi e lo troveremo là dove la sofferenza devasta la nostra umanità,
inginocchiato a servire le sue figlie e i suoi figli nuovamente e continuamente
incarnato in chiunque oggi si fa servo della vita dell’altro, per amore,
null’altro che per amore.
Ritrovando
il Dio di Gesù in questo modo anche le
nostre comunità potranno essere pozzi di acqua che disseta e non cisterne
fangose che soffocano e alienano. Ne va della nostra umanità e del Suo buon
Nome.
Don
Luciano
Grazie don Luciano per questa prexiose gocce d'acqua viva che sostengono il nostro pellegrinaggio ..abbi cura di te...
RispondiEliminaBellissimo e commovente.
RispondiEliminaBuona vita a te Don Luciano
Grazie Don, non perdere mai la speranza in quel Padre/Madre che con Amore infinito ci accompagna in ogni momento della nostra vita, affidiamo a Lui ogni dubbio, ogni sofferenza e ogni paura torneranno a noi trasformati perché niente resta uguale quando viene toccato dal Suo Amore. Un abbraccio con affetto, Roberta
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