domenica 8 marzo 2020

La “Trasfigurazione” ai tempi del Covid-19



 La narrazione che Matteo (Mt 17,1-9) ci offre della Trasfigurazione si apre con una significativa annotazione cronologica: “E dopo sei giorni…” (Il testo liturgico ci ammannisce il trito e ritrito “In quel tempo…”, vabbè, evitiamo polemiche…).
Dopo sei giorni” è preludio al settimo giorno, rimanda al compimento della creazione: il “riposo” di Elohim che si fa invito all’umano perché sia custode di quanto gli viene affidato. È l’invito a realizzare il compito di “somiglianza” che sgorga dal dono “dell’immagine”. Nella Trasfigurazione, il Figlio si propone come modello dell’umano che risponde all’invito.
Per far questo Gesù “si trasforma” davanti ai suoi. Il termine usato da Matteo è “metamorfosi” e ci offre un rimando interessante. Nella mitologia religiosa pagana spesso le divinità si divertivano ad assumere forma umana (pensate a Zeus e alle sue molteplici “trasformazioni” per soddisfare i suoi capricci e mettere un cespuglio di corna alla moglie!) Nella Trasfigurazione del Figlio è il contrario: è l’umanità di Gesù che assume i tratti del divino: il volto di quel carpentiere di Nazareth “s’illumina d’immenso” per fare intravvedere il senso del cammino di ogni uomo: diventare trasparenza del divino. In altre parole: è la realizzazione piena di quella “somiglianza” che ci identifica con “l’immagine” di cui ciascuno è portatore.
Ecco allora la reazione di Pietro: “È bello per noi essere qui”. In effetti, per quanto si possa dubitare che Pietro abbia veramente compreso in profondità, le sue parole illuminano il cammino. “È bello” perché il Volto trasfigurato di Gesù ci permette di contemplare quella Bellezza originaria per la quale siamo stati creati e che, giorno dopo giorno, è nostro compito cercare, svelare e realizzare.
Torno su quanto ho scritto in “Sine dominico non possumus?”. L’assenza forzata di Eucaristia domenicale ci ha fatto entrare nel deserto per permetterci di guardare quell’idolo impastato di potere, avere e prestigio che risiede nei cuori di ciascuno di noi. Oggi, sempre in assenza “benedetta” di Eucaristia, possiamo salire sul monte per comprendere lo scopo della lotta nel deserto: essere trasfigurati. Ci siamo resi conto, nel deserto, di quanto l’idolo ci ha “de-figurati”, di come e quanto l’idolo ha distorto svilito la nostra umanità e la Sua immagine. Ora è tempo di alzare lo sguardo per vedere il fine, non la fine, del nostro camminare.
È allora il tempo di entrare nella “nube luminosa” per ascoltare la Voce.
Troppo abituati e attaccati alle nostre distorte immagini divine è giunto il tempo di reimparare ad ascoltare Colui che è Voce e si fa Parola nella vita del Figlio.
Anche oggi, dunque, l’assenza di Eucaristia diventa “Shekhinah”. Questo termine, che potrebbe essere tradotto con “dimora” ma anche “presenza”, indicava, nella tradizione dei rabbini, lo spazio vuoto posto fra i due cherubini che stavano sul coperchio dell’arca dell’alleanza.
Ecco, forse questo tempo in cui COVID-19 ci obbliga all’assenza di Eucaristia, potrebbe essere letto così: un kairòs, un tempo privilegiato per imparare a relazionarci in maniera più corretta e autentica con Dio e la sua presenza “a modo di Shekhinah”, spogliandoci così da ogni pretesa di possesso e accettando questo processo di “de-figurazione” per essere “trasfigurati”.
Risuona oggi un imperativo: “Ascoltate lui!”. Ascoltare, biblicamente parlando, è intimamente connesso a obbedire. Ma non si tratta qui di obbedienza “perinde ac cadaver”. È un obbedienza che nasce dalla fiducia, da quella fiducia cieca che ha un unico fondamento: l’amore, che sempre interpella la libertà personale.
Mi fido perché so che mi ami; mi fido perché sento che tu hai fiducia in me.
È quella stessa fiducia che ha segnato l’alba della creazione quando hai voluto condividere il tuo progetto con me, uomo chiamato a diventare Dio con te e come te.
Allora, coraggio! Accettiamo di essere “De-figurati” per essere “Trasfigurati”.
Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

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