domenica 6 dicembre 2020

Dio nelle periferie della storia (IV Avvento 2020)



ANNO B, 20 dicembre 2020, IV DOMENICA DI AVVENTO; 2Sam 7,1-5.8b-12.14a-16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38

Se la III domenica del tempo di Avvento ci ha mostrato l’incredulità di coloro che più di altri avrebbero dovuto essere aperti alla fede, quest’ultima tappa del cammino di Avvento ci scaraventa dentro il cuore del paradosso evangelico.

Nella sua opera, nel primo volume, Luca ci narra due annunciazioni: quella a Zaccaria e, oggi quella a Maria.
Quella Parola in cerca di orecchie e cuori aperti si era dapprima rivolta a chi, per professione o scelta, era ritenuto più equipaggiato a raccoglierla. Chi, preparato nei “seminari” dell’epoca, nelle scuole sacerdotali e rabbiniche, non era a conoscenza dei segreti di Dio?
Un sacerdote, nel tempio, mentre officia la solenne liturgia: se quella Parola non passa da lì da dove volete che passi? Stava offrendo l’incenso alla Presenza, alla “Shekinah”: quell’uomo poteva essere lontano da Dio? A quanto pare sì. Possiamo celebrare ma non è detto che Lui sia presente; possiamo dire che c’è ma non si vede, come in una sorta di magia, un gioco di prestigio: il trucco c’è, ma non si vede.

Sappiamo che Luca ci mette del suo nel raccontare l’annunciazione a Zaccaria, però il messaggio è chiaro: il Dio conosciuto e posseduto dalla religione ufficiale non è quello la cui Parola/presenza è arrivata a Zaccaria. È il Dio che ha disturbato il tranquillo svolgersi di una sacra funzione, è il Dio che non rispetta le sacre tradizione dei padri (che razza di nome è Giovanni? Nessuno tra i miei si chiama Giovanni!), ergo: non può essere il nostro Dio, le cui leggi e precetti conosciamo bene da secoli. Per il sacerdote Dio non disturberebbe mai una funzione al tempio: aspetterebbe con calma il suo turno per poi farsi annunciare.

Allora, ecco il paradosso, la Parola vola (si tratta pur sempre di angeli) altrove e arriva su, a nord, in quella terra di cafoni zotici, che non sanno nemmeno parlare in maniera chiara e come si deve; gente che anche a livello religioso lascia a desiderare. Lì, in quel “Ghelil ha-goyim”, in quel distretto fatto di gente mezzo pagana, di gente che è lontana da Gerusalemme e dalla sua religione ufficiale, in quella terra che pareva pure dimenticata da Dio, la Parola sceglie di atterrare proprio lì. Come se da noi, oggi, Dio decidesse di passare per la voce di un senza fissa dimora o del tossico che incrociamo ogni giorno e ci dicesse: Sono io! (Tranquilli, non accade… almeno per il momento… sul fatto poi che Dio bazzichi da quelle parti, beh.. altro discorso…).
Ancora più paradossale, la Parola soffia, zufola dentro gli orecchi e il cuore di una giovane ragazza (una donna! Ossignore Benedetto! Non c’è davvero più religione! Dio che si rivolge a una donna e per di più galilea!, direbbe il dottore della legge di allora e di oggi…). Una donna in attesa di andare finalmente a vivere con il suo sposo dopo aver espletato tutte le pratiche relative riguardanti gli accordi tra le due famiglie (dunque Maria si trovava nell’anno che doveva necessariamente passare tra la stipula del contratto e l’inizio della convivenza more uxorio con il suo promesso).
Ecco dunque quanto proclama oggi la Parola: ci dice chi è il Dio che mostra il suo volto in quel Figlio che questa ragazza darà alla luce.

È il Dio dei paradossi. Non è più solamente il “Dio che sconvolge le vie degli empi”, come cantava il salmista, ma il Dio che ribalta le comode stanze religiose in cui l’abbiamo rinchiuso per potercene servire a nostro piacimento, o per poterlo asservire ai nostri desideri.

È il Dio che passa dentro le periferie della storia, quelle impastate di tanta invisibilità, per renderle visibili con Lui e portarle alla luce con il Felice Annuncio.

È il Dio capace di stupire e di meravigliare perché non si “schifa” della nostra storia, ma si vi si immerge per soffiarvi dentro l’ossigeno della sua Parola e farla così ripartire, aprendo vie di speranza.

È il Dio che, in Gesù, si offre e si apre alla nostra quotidianità, che vive con noi la fatica del mestiere di vivere e ci invita a guardare con lui questo mondo per trasformarlo insieme a Lui, in un Eden dove ciascuno può assaporare il gusto della piena umanità ed è reso custode dell’umanità della sorella e del fratello.

Maria è la prima a comprendere e a vivere la fatica di passare dal professare che Gesù è Dio (la nostra religione) al credere che Dio è Gesù (la bella proposta di fede che emerge dai Vangeli).

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