lunedì 31 marzo 2025

Buongiorno, mondo!

Fidarsi della Parola



Gv 4,43-54


(…) Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. (…)



Il rischio che corre ogni religione con le sue istituzioni è quello in cui il segno si sostituisce al suo significato. In altre parole: la valenza simbolica dei segni viene abbandonata facendo così assumere tutta l’importanza alla realtà stessa. In questo modo, come i profeti han sempre denunciato, la legge diventa fine a se stessa e non più il mezzo per arrivare a vivere in giustizia e diritto; il tempio diventa il sostituto della Presenza, e via dicendo.

La fede, al contrario, quella che Gesù stesso propone e chiede, non chiede di “vedere segni e prodigi”: si fida invece di quella Parola e di colui che tale Parola pronuncia.

Questo racconto di guarigione del figlio del funzionario mette in luce come la Parola diventa vita per chi si fida, per chi la accoglie, per chi sa interiorizzarla come un dono prezioso.

In questo modo essa prende vita in noi, essa diventa “parlante” attraverso le nostre scelte, essa comunica vita.

Credere alla Parola significa infine accettare di mettersi in cammino e “rientrare” nella vita quotidiana; significa mettersi continuamente in stato di esodo nella continua ricerca di una Parola altra che ci invita a vivere e a fidarci del Dio della Vita.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

sabato 29 marzo 2025

Buongiorno, mondo!

NOVITÀ!!!



No, questa volta non si tratta dell’abituale “Buongiorno”.

Sono qui per condividere con voi, amato Popolo della Senape, una novità.

In tempi che spero brevi questa rubrica mattutina sarà disponibile anche in video.

Già! Oltre che leggere le mie riflessioni chi vuole fare penitenza potrà vedermi e ascoltarmi in video.

Inoltre, e forse questo potrebbe interessarvi di più, ho deciso di rompere il silenzio dello Shabbat: il sabato dedicherò il “Buongiorno” alla liturgia della Domenica, così riuscirò a rovinarvi anche quella.

Abbiate solamente un po’ di pazienza nell’attesa.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

venerdì 28 marzo 2025

Buongiorno, mondo!

Un amore indiviso



Mc 12,28-34

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».

Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».

Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici».

Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.



Oggi uno scriba si avvicina al Maestro per porre la domanda: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?". Era abitudine delle varie scuole rabbiniche confrontarsi su tale questione, e la prevalenza nelle risposte assegnava alla legge sull'osservanza del sabato la preminenza. Gesù nella sua risposta riporta Israele al cuore della sua esperienza, dove l'amore a Dio, (il Dio creatore e liberatore, non il Dio legislatore quello della casistica, il Dio della tradizione profetica), si innesta in quello all'uomo: una professione di fede che si incarna e si verifica (si fa vera, verificare, verum facere) nella dimensione più squisitamente etica. Anche lo scriba riconosce la veridicità di tale affermazione (per quanto nella sua risposta resti sempre ben ancorato all'interno del recinto della sua ortodossia, per esempio guardate come non riesce a personalizzare il rapporto con Dio, lasciandolo all'impersonale...). Gesù lo invita ad andare oltre, a superare la barriera del legalismo, dicendogli che non è lontano dal modo di "regnare" del Padre. Non sappiamo come sia finita. Sappiamo però che tale invito è rivolto a noi oggi: ce la facciamo a superare le esitazioni e a passare la soglia? O preferiamo restare lì, sulla soglia, evitando così troppe compromissioni? 

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 27 marzo 2025

Buongiorno, mondo!

Sclerocardia!


Lc 11,14-23

"In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero meravigliate. Ma alcuni dissero: «È in nome di Beelzebùl, capo dei demoni, che egli scaccia i demoni». 



Della serie: quando non si vuol capire....o meglio, quando si capisce fin troppo chiaramente come va a finire! Gesù stava ridando la parola ad un uomo: lo stava liberando dalla condizione infantile per ridargli la sua dignità di  adulto. (Infante, dal greco, è colui che non ha uso di parola, colui che non è in grado di parlare.) È la condizione infantile dell'oppresso, di colui al quale è stata tolta la parola e, di conseguenza, la stessa sua dignità di persona. L'oppressione derivante da una legge che ormai era ridotta a "precetti di uomini" rendeva gli uomini infantili, incapaci di comunicare (tra loro e con Dio) se non in funzione delle esigenze della casta sacerdotale; uomini ridotti a uno stato di pura obbedienza "in nome di Dio". Ecco perché Gesù viene accusato di far parte delle schiere del principe dei demoni: aprire la bocca, ridare la parola, era anche aprire gli occhi, ridare dignità e libertà, e questo andava certamente a cozzare contro lo status di potere della casta sacerdotale. Ogni volta che il potere si sente minacciato, ogni volta che qualcuno smaschera il suo vero volto, stiamo certi che partirà la campagna del fango per ridurre al silenzio chi invece vuol far circolare la parola che fa crescere la vita, la dignità e la libertà interiore. È vero che il racconto della creazione ci dice che siamo nati dal fango... ma non siamo fatti per restarci, tanto meno per fare del fango un'arma "in nome di Dio"! 

Un abbraccio a tutte e a tutti e buona vita.

mercoledì 26 marzo 2025

Buongiorno, mondo!

Proposte indecenti



Mt 5,17-19


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. (…)



Le parole che ascoltiamo oggi riflettono il vissuto della comunità matteana davanti alla libertà di Gesù nei confronti delle esigenze della Legge. La generazione di discepoli in cui nasce il Vangelo secondo Matteo ancora dibatte sulla necessità di restare nell’alveo rassicurante della religione, con le sue leggi, i suoi precetti, i suoi riti. Per questo cerca di addolcire la radicale proposta del Maestro con quel passaggio che va dal “non abolire” al “dare compimento”.

Azzardo un po’, ma penso che anche loro, come noi, si siano spaventati davanti alla proposta di Gesù. Certo, questa è sconcertante, destabilizzante per ogni forma di religione. Ma Gesù non solo ha sposato la linea di denuncia dei profeti a proposito di una pratica e di una osservanza formale della legge e di ciò che essa richiede. Egli si è sentito libero di passare oltre, di individuare e di proporre un criterio altro. Per Gesù la “santità” e il valore di una persona non nascono dalla relazione con il dio della religione bensì dal proprio modo concreto e quotidiano di essere umano. E lui stesso si pone come Maestro di umanità davanti a noi, per tracciare la Via, fino in fondo, fino a giocarsi la sua stessa esistenza. Tutto questo perché, come direbbe L. Boff, “Umano come Gesù può esserlo solo Dio stesso”. Questo è il “compimento” proposto da Gesù.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 25 marzo 2025

Buongiorno, mondo!

Casti o vasti?



Lc 1,26-38


In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». (…)



È ormai un dato assodato il fatto che i testi che conosciamo come i “vangeli dell’infanzia”, definizione un po’ infelice che può generare ambiguità, sono in effetti dei concentrati delle tematiche teologiche che poi l’evangelista svilupperà lungo la sua opera. Non devono essere letti in maniera letterale perché l’intenzione dell’autore non è di farci un resoconto storico degli avvenimenti di cui narra.

Il vangelo oggi, festa dell’Annunciazione a Maria, ci mette di fronte a questa figura fragile ma grande allo stesso tempo. Fragile perché donna del suo tempo con tutto quello che ciò comportava. Grande perché Luca la presenta come icona del discepolo (tema che poi svilupperà lungo l’arco della sua narrazione). Maria viene definita come in attesa di nozze: è in attesa dello sposo, di Colui che, come troviamo scritto nel Cantico dei Cantici (8,5), sarà messo come “sigillo” sul cuore. 

Questa è anche l’attesa di ogni discepola e discepolo di oggi, attesa che “dà forma” al faticoso cammino di ogni giorno: riconoscersi discepoli, portatori di quel “sigillo” che ci identifica come segni del Regno. Per questo smettiamo di “sfarfallare” in letture materialiste e letteraliste a proposito di verginità fisica e apprendiamo proprio da Maria il significato della sua apertura al Dio della vita. Non si tratta dunque di emettere un “voto di castità” quanto piuttosto di vivere un “voto di vastità”, ossia di allargare il cuore, di vivere nella magnanimità la fatica quotidiana.

Perché? Perché Dio agisce così. Egli non è colui che svuota i cuori, ma colui che li riempie. Per questo occorrono “cuori vasti”.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 24 marzo 2025

Buongiorno, mondo!

Dalla pretesa al dono



Lc 4,24-30


In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. (…) All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.



Questo testo è il seguito della prima “predica” di Gesù a Nazareth. Una predica molto corta, in verità: “Oggi si è compiuta questa scrittura nei vostri orecchi”. E da lì parte lo stupore che ben presto si tramuta in collera. Una rabbia che nasce dal fatto che l’attesa è delusa: non può esser lui l’Unto perché è uno dei nostri. Come può il Messia essere un falegname? Ha fatto dei mobili non proprio da dio anche a me… che se andavo all’ikea era meglio… 

Ecco: quando l’attesa si trasforma e si distorce in pretesa si diventa incapaci di riconoscere il dono. Un dono che passa attraverso la carne, il limite, la fragilità. Immaginate se Gesù fosse arrivato a Nazareth col macchinone blu e la scorta: wow! Questo sì che conta. Il nostro paesello finalmente avrà quel che merita. 

Al contrario, Gesù arriva con la sua fragilità, con la sua carne, con il suo limite per insegnare, sullo slancio della parola di Isaia, che il limite può diventare spazio di libertà e di comunione, non terreno di scontro. È il messaggio del Messia Crocifisso: la croce come spazio di dono e perdono. 

Ma non viene né accolto né compreso: la proposta è troppo “scandalosa”, troppo faticosa. La sapienza di un Dio che fa della comunione e dell’amore la sua potenza non va d’accordo con l’immagine del dio onnipotente pronto a soddisfare i nostri desideri di dominio e di potere. 

Che succede nella “nostra Nazareth” personale? Da che parte stiamo?

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita. 

giovedì 13 marzo 2025

Attesa...

 In attesa...


Qualcosa sta vedendo la luce...
Chi già conosce faccia silenzio altrimenti ricorrerò ai piani alti e le maledizioni di Deuteronomio 28 cadranno sulla sua testa.
Abbiate pazienza... tra pochi giorni l'arcano sarà svelato.
Nel frattempo, in questi giorni, la pubblicazione del "Buongiorno mondo!", viene sospesa.
La vostra pazienza sarà ricompensata! (spero)




Buongiorno mondo!

Essere buoni



Mt 7,7-12

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.

Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!

Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».



Per poter dare cose buone è necessario essere persone buone. Dio, il Dio narrato da Gesù non è semplicemente buono: è esclusivamente buono. I tratti del suo essere lasciano arrivare fino a noi, come miele che cola da un favo, fiumi di bontà, di magnanimità, di attenzione e cura affinché possiamo lasciarci da questi abbracciare e diventare a nostra volta portatori di cose buone. Nel suo realismo radicale Gesù ha indicato che tutto il male che conosciamo non entra dall’esterno ma viene dal cuore, dal nostro cuore spesso duro, dal nostro sguardo rivolto all’idolo, dalle nostre mani chiuse dalla brama di possesso. Ecco perché facciamo fatica a praticare la regola aurea citata nell’ultimo verso del Vangelo odierno. “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi…”: il punto è questo. Cosa desidero veramente? Cosa voglio? Dietro questa domanda se ne cela un’altra, che è quella essenziale: chi desidero essere in questa umanità? A chi mi ispiro? A ciascuna e ciascuno di continuare la propria riflessione.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

mercoledì 12 marzo 2025

Abitare un mondo complesso

 Abitare un mondo complesso (III)


Abitare la complessità, abitare un mondo complesso significa dunque coltivare la consapevolezza di essere immersi in una dimensione relazionale che riguarda tutti gli aspetti del nostro vivere e grazie al quale il tutto è sempre più della somma delle singole parti: cogliere e accogliere nella nostra esistenza questa dimensione ci permette di avanzare verso un futuro che apre a molteplici possibilità. L'albero della dimensione relazionale può però svilupparsi e crescere solamente su di un terreno che contiene la “diversità” tra i suoi componenti nutritivi. Apprendere a cogliere la diversità, apprendere ad apprezzare e favorire la diversità permette alla dimensione relazionale di svilupparsi e generare così ulteriori “spazi di possibilità” per la crescita del nostro essere umani. Chiudersi alla diversità, rifiutare questa realtà è la strada maestra per sterilizzare la vita.

Vorrei tornare alla narrazione, già citata, della creazione nel libro della Genesi. Ad una lettura attenta notiamo in particolare una delle operazioni messe in atto dal creatore. Questo personaggio, durante il suo “lavoro”, opera delle divisioni: crea dividendo. Divide la luce dalle tenebre, le acque di sopra da quelle di sotto, il mare dalla terra secca e via discorrendo. Qual è il significato di tale operazione? Mi pare chiaro: dividere genera differenze e queste costituiscono il terreno ideale per la crescita della dimensione relazionale. Solamente dentro un processo di accoglienza e di accettazione della differenza può nascere la relazione. Pensiamo, ad esempio, a una madre che partorisce il suo bimbo. Quel rapporto simbiotico che ha mantenuto in vita il bambino, al momento del parto deve rompersi: bisogna tagliare il cordone ombelicale, ciò che rendeva “uno” la madre con il figlio affinché diventino “due” e tra essi si crei una relazione nuova, basata sulla differenza dell'uno rispetto all'altra. In caso contrario, la morte è il solo finale possibile.

Mi sembrava importante, dentro la riflessione sulla complessità, aprire anche una via alla riflessione sulla relazione che passa attraverso l'accoglienza della diversità. In questo modo essa diviene non più uno spazio conflittuale, ma uno spazio di crescita vicendevole nella solidarietà. “L'altro” e “io” possiamo costruire uno “spazio di possibilità” dove la vita possa “brulicare” al di fuori del nostro ossessivo bisogno di controllo e di omogeneizzazione.

Ecco, finalmente, perché sono un po' preoccupato da quel che vedo nel nostro mondo oggi. Tutti i tentativi di omologare, di abbattere le diversità o di sottometterle a una visione unica sono vie di distruzione della dimensione relazione che riguarda tutta la materia che costituisce la vita, in senso largo, che altro non è se non un unico e fecondo grembo relazionale che, nel mio linguaggio spirituale, oserei chiamare Dio.

Mi auguro che possiamo insieme lottare affinché queste derive che stanno inquinando anche il nostro territorio (e a livello politico per chi vuole vedere le cose mi paiono abbastanza chiare) non possano prevalere. Troppi personaggi oggi fanno della diversità un mezzo per creare inutili paure e suscitare così conflitti sociali. Troppi “politici” costruiscono le loro carriere (di cui sinceramente dovrebbero pentirsi) su slogan quali: “l'altro non è bene”, “la diversità è pericolosa”, “qui la pensiamo così”. Non è questo il paese nel quale voglio vivere, non è questa l'idea di umanità che, al seguito del mio maestro Gesù di Nazareth, voglio realizzare. Occorre decisamente cambiare prospettiva e abbandonare questi ciarlatani che ancora credono di possedere la panacea per tutti i mali del mondo. Il secolo scorso ci ha mostrato i mostri che genera il sonno della ragione: non possiamo restare in silenzio. Insieme dobbiamo cambiare noi per primi e cominciare ad adottare stili di vita diversi, stili di vita umani, stili di vita che creino spazi di possibilità alla vita stessa affinché non sia ridotta a mero spazio finanziario, a semplice merce di scambio tra i potenti della terra.

Buongiorno mondo!

Segni del Regno



Lc 11,29-32


In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:

«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. (…)


Mai come in questi ultimi tempi ci vengono riproposti "segni straordinari" dal cielo, "visioni", e via con tutta la grancassa mediatica che queste cose suscitano. Soprattutto coloro che vedono crollare il mondo che fu, il piccolo mondo antico dei poteri da sacrestia, dove la grandezza si misurava in base alla bellezza e allo splendore della tonaca con annessi e connessi. Sono quelli della religione malata: la religione della coazione a ripetere il passato, sempre, comunque e a prescindere. La "malvagità" di questa generazione sta proprio nel fatto che, come ai tempi di Gesù, si cerca di spacciare per volontà di Dio quello che è unicamente il proprio desiderio di potere, travestendo il tutto sotto l'effimera sublimità del segno straordinario, della "mirabilia", come la pubblicità: il mio prodotto funziona meglio del tuo, anzi, uno solo dei miei vale più di tre dei tuoi. Ho già detto in questa sede che Gesù, alla folla che si accalca in cerca di segni poderosi, non dà segni, ma a tutti chiede che dietro di Lui si divenga segni con Lui. 

Non siamo più la Chiesa che sciorina segni miracolosi per accaparrarsi l'attenzione degli uomini, ma la Chiesa che si fa segno di una Presenza che non si impone ma si propone, di una Presenza che non si fa servire ma che si mette a servizio, di una Presenza che non ama rivestirsi di code e strascichi, ma che, "dontoninamente”, si ricopre con pazienza di un umile grembiule e si inginocchia davanti ad ogni uomo e ogni donna per indicare il "segno del servizio" come il segno della Presenza che ridà dignità e bellezza all'uomo ferito. 

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 11 marzo 2025

Buongiorno mondo!

Coltivare il silenzio



Mt 6,7-15


"Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole" (…).



Questo nostro tempo è segnato particolarmente dalla velocità: fretta, novità, sempre di corsa... Anche la comunicazione risente pesantemente di questo, tanto che ci si vanta di vivere nel secolo delle comunicazioni sempre più veloci: non fai a tempo a pensare qualcosa, stai ancora finendo di elaborare che zac!... sei già in rete, o al cellulare. Mi pare però, senza voler fare il nostalgico, che, sì, abbiamo reso le comunicazioni più veloci, ma abbiamo perso LA comunicazione, l'uso sapiente della parola, l'ascolto calmo e con esso il silenzio, perché dobbiamo sempre riempire di qualcosa ogni spazio, anche quello del silenzio stesso. E questo incide anche sull'uso che facciamo della parola nella nostra preghiera: è tutto un parlare, leggere, riempire i vuoti perché altrimenti non si sa che fare. Quando c'è silenzio durante la preghiera si avverte quasi un certo imbarazzo: forza, di' qualcosa... metti qualcosa, leggiamo, cantiamo. 

"Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole": ecco la consegna del Maestro oggi. Ritrovare il senso della nostra parola nella sua Parola, imparare ad ascoltare il "mormorio" della voce del Silenzio, entrare in sintonia con Lui per imparare a parlare in maniera più umana. E questo ci aiuterà a penetrare nel mistero del linguaggio di Dio. 

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

lunedì 10 marzo 2025

Buongiorno mondo!

Far brulicare la vita



Mt 25,31-46


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

“Quando il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra (…)”.




Parole che non lasciano spazio a molta immaginazione quelle che oggi il Maestro rivolge ai suoi, cioè a noi oggi.

È la famosa pagina di Matteo che chiamiamo del "giudizio universale", ma dovrebbe essere chiamata quella della "prova delle Beatitudini". Non si può leggere e capire questo testo senza tenere davanti quello delle Beatitudini, e in particolar modo la prima. Infatti solo chi sceglie volontariamente e liberamente di vivere quella povertà che è fatta di condivisione, di attenzione totale al bene e alla vita dell'altro, avrà occhi per vedere l'affamato, l'assetato, il malato... ecc. Inutile farne, come spesso è accaduto, una pia esortazione a compiere qualche opera buona. Dunque o il tutto si regge sull'opzione fondamentale delle Beatitudini, o diventa un semplice esercizio dove "io buono aiuto te che sei nel bisogno" ma mantenendo l'altro nel bisogno per poterlo continuamente accudire in maniera paternalista, e non paterna come quella del Dio di Gesù. Il Padre non desidera "fioretti" di bontà, ma persone libere di cuore che scelgono liberamente di essere portatori di vita, praticanti un amore simile al Suo, capaci di liberare da povertà e ingiustizia attraverso la creazione di spazi comunitari dove l'azione dello Spirito, comunicato in abbondanza, si manifesta in maniera concreta ed efficace facendo brulicare la vita stessa. E per far questo non servono indicazioni del Parroco, del Vescovo o del Papa: basta camminare dietro al Maestro giorno dopo giorno. 

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

venerdì 7 marzo 2025

Buongiorno mondo!

La gioia del Vangelo



Mt 9,14-15


In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».

E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».



Gesù si presenta come il Dio-con-noi e lui stesso dirà ai suoi: "Ecco, io sono con voi per sempre...". La coscienza forte della sua presenza nella nostra storia, il suo continuo farsi prossimo a noi ci invita a vivere in profondità la dimensione della festa nella nostra quotidianità. Non siamo "vispe terese", persone distratte, lontane dalle fragilità dei fratelli e delle sorelle che sono con noi; pur coscienti del dolore del mondo entriamo in esso vestiti "a nozze" perché il Maestro continua ad accompagnare i nostri passi. Smettiamo dunque gli abiti del lutto, le facce perennemente tristi di chi vede solo sventura e male in ogni cosa. Dio non ha bisogno dei nostri digiuni, ma di cuori allenati ad amare nel suo stile, di cuori che sanno apparecchiare banchetti di vita, di speranza, di cuori che si fanno prossimi e condividono gioie e speranze. Se la legge prescrive il digiuno, noi rispondiamo con la condivisione; se la legge impone il sacrificio, noi rispondiamo con la misericordia; se la legge obbliga alla stretta osservanza, noi rispondiamo con la libertà che viene da un cuore che ama appassionatamente, come il cuore del Padre. E a chi ci rimprovera di essere irrispettosi della legge e della prescrizione canonica, noi diciamo che non possiamo che essere così perché abbiamo ricevuto il nostro evangelo, la buona notizia che fa di noi persone felici e libere. 

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

giovedì 6 marzo 2025

Buongiorno mondo!

Profeti di umanità



Lc 9,22-25


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?».




Rinnegare se stessi non è rinunciare alle proprie potenzialità, ai doni che si hanno, alle capacità. Quante persone sono state rovinate e impoverite da atteggiamenti ottusi e miopi che chiedevano di rinunciare "per umiltà, per far piacere al Signore" alle loro capacità e competenze! Quante volte chi sta "al piano di sopra", nella stanza dei bottoni, arriva ad affermare con tutta tranquillità che il momento di sofferenza che uno sta vivendo è "la croce che il Signore ti dà per seguire il suo cammino!". Ma quando mai? Da quando il Signore si diverte a buttare sulle nostre spalle delle croci, magari aggiungendo anche un: "Ma io ti voglio bene!". La sofferenza fa parte della fragilità del mestiere di vivere, e non credo che Dio sia felice quando noi stiamo male (almeno questo è il Dio in cui io credo). Gesù invita a percorrere la via del dono di sé che genera il perdono come l’unica possibile per portare a realizzazione piena la nostra umanità. Esattamente il contrario di ciò che abbiamo sotto gli occhi in questi giorni, dove l’esibizione della forza e della potenza sono addirittura considerate doni di dio. Dalle nostre scelte si comprenderà chi stiamo seguendo.

Un abbraccio a tutte e a tutti, Buona vita.

mercoledì 5 marzo 2025

Buongiorno mondo!

Vivere in pienezza



Mt 1,1-6.16-18


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. (…)



Oggi, per il Rito Romano, inizia il percorso quaresimale. È un invito forte a liberarci dal demone dell'apparenza, dell'apparire a tutti i costi. È una sorta di dio Crono della nostra cultura che cresce i suoi figli con l'idea dell'apparire per esistere e poi se li mangia dopo averli illusi nel tritacarne delle apparenze, delle comparsate che contano, delle varie "isole" che promettono notorietà. La proposta del Maestro tocca invece il cuore dell'esistenza: vivere una vita che non è appariscente ma che, come seme nella terra, genera amore, apre percorsi di giustizia, invita alla solidarietà, lancia la sfida della preghiera, ossia del rinnovare la propria intimità con Dio per continuare ad assomigliare a lui nella pratica del nostro amore. La quaresima non è dunque un tempo di mestizia e sconforto, ma una chiamata a rinnovare la nostra adesione alla vita, gettando via tutto ciò che ci appesantisce inutilmente, impedendoci di correre gioiosi verso la Pasqua, la festa della vita. Non è il tempo della mortificazione (il vangelo non chiama a mortificarci, ma a "vivificarci"), ma il tempo in cui rinnoviamo la nostra scelta della fatica personale del crescere, la scelta di essere gioiosi ma seri, la scelta di essere e non di apparire, la scelta di vivere e non di lasciarci vivere. 

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

martedì 4 marzo 2025

Abitare un mondo complesso

 Abitare un mondo complesso (II)


La complessità che contraddistingue la nostra realtà esige una visione ampia, sistemica. Potremmo dire che per avvicinarci con la dovuta umiltà alla realtà nel suo complesso è necessario un approccio olistico che aiuterebbe ad evitare di cadere in una visione sia di tipo «riduzionistico» (portare tutto al «minimo sindacale», eliminando ciò che non è immediatamente comprensibile) sia di tipo «deterministico» (tutto si tiene rigidamente secondo il principio di causa/effetto). La complessità ci parla di sistemi complessi che sono costituiti da parti che tra loro sono in relazione e tale principio di relazionalità fa sì che il tutto sia sempre superiore alla somma delle parti singolarmente prese. Per capirci faccio un esempio concreto. Proviamo a prendere in considerazione, per un istante, il fenomeno della migrazione umana (perché non vi è solo questa, vi è anche quella animale che però, a differenza di quella umana, per chi pratica la caccia è un momento atteso). Di per sé si tratta, per l'appunto, di un fenomeno, di una realtà che fa parte del nostro essere umani: siamo sempre alla ricerca di un posto migliore, di condizioni migliori, di una vita migliore. Questo fenomeno è però percepito e vissuto spesso come un «problema», come un qualcosa che inceppa e, per certi aspetti, infastidisce. Già da queste poche parole penso si possa comprendere che stiamo entrando in un territorio segnato da una certa complessità. Infatti, per restare a questo livello, potremmo già proporre dei «distinguo»: un fenomeno o un problema si studia, lo si affronta e lo si guarda da diversi punti di vista per comprenderlo in sé e per comprendere se e come questo ci riguarda, se ha qualcosa da comunicare, quali realtà comporta, da dove nasce e potremmo andare avanti. Se non teniamo conto della complessità e di tutto ciò che questo approccio comporta, arriveremo a «ridurre» il fenomeno a mero problema che riguarda una parte del mondo e non la sua totalità complessa. Ne abbiamo un esempio nelle scelte politiche e sociali messe in atto per dare una risposta a tale situazione. Un approccio puramente pragmatico (c'è un problema bisogna risolverlo e in fretta) è indice di scarsa, se non nulla, attenzione alla complessità dei fenomeni che attraversano la nostra società, il nostro tempo. Guardare al fenomeno migratorio e considerarlo alla stregua di «erbacce» che vengono a infestare il nostro giardino ben curato (a proposito di «erbacce»: credo converrà in seguito farci una riflessione: siamo proprio così sicuri che non abbiano nulla da dirci?) e che occorre estirpare con risolutezza è un approccio che non tiene conto della sua complessità o giunge, nei casi più deliranti, a rifiutarla tout-court (vedi il nostro vice-premier leghista).

Ho esemplificato di parecchio, a rischio di banalità, per cercare di far comprendere che abitare la complessità significa anche accettare un cambiamento di paradigma. In tale cambiamento, ai vecchi cari criteri che caratterizzavano il nostro mondo, quali ordine, equilibrio, certezza e linearità, per citarne alcuni, si affiancano, allo stesso livello, quelli di disordine, squilibrio, incertezza e non-linearità. Questo è il miscuglio che caratterizza il nostro mondo attuale, piaccia o meno. Per parte mia lo trovo interessante, provocante e anche positivo. Mi rimanda, infatti, dal mio punto di vista, a una dei testi più belli della Sacra Scrittura, ossia al libro della Genesi. Nel descrivere il processo della creazione (ci erano già arrivati: la creazione è un processo continuo, non un dato di fatto una volta per tutte), quando si parla della creazione degli esseri viventi nelle acque viene usato un verbo tradotto con «brulicare», che, nel contesto ben si adatta a tutte le altre specie. Gli agiografi avevano già intuito la presenza della «complessità» in questo «brulichio» che parla di caos, di disordine che però genera vita perché coglie e accoglie quegli «spazi di possibilità» che si aprono in maniera feconda.

Rifiutare la complessità significa rifiutare questi spazi di possibilità e condannarsi a diventare sterili, cioè a non favorire l'emergere della vita. Il compito che, in quanto umani, dovremmo vivere perché immersi in quel Fondamento dell'Essere, la Vita stessa, cui abbiamo dato nome Dio è proprio quello di favorire il brulichio, osando la sfida della complessità e i criteri che essa comporta. Fa sorridere, ma anche preoccupare, sentire personaggi politici al potere porsi come «semplificatori»: mostrano di non aver compreso, o meglio, di aver compreso fin troppo che abitare la complessità porrebbe un freno non da poco alla sfrenata voglia di potere che li conduce a pensarsi e manifestarsi come «salvatori», portatori di un'unica visione, che asfalta tutto e tutti, in nome di una ben precisa identità alla quale tutte e tutti devono piegarsi.

(fine parte II – continua).

Buongiorno mondo!

Poveri ma liberi


Mc 10,28-31


"In quel tempo, Pietro disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna". 


Il testo riflette  la situazione delle comunità che cercano di vivere il messaggio evangelico, scardinando i principi della triade idolatrica costituita da potere-avere-apparire, suscitando per questo anche reazioni violente. Queste parole sono da comprendere alla luce delle Beatitudini, soprattutto la prima, là dove si afferma che la scelta fondamentale del Regno si effettua nella povertà volontaria, intesa come preoccupazione del benessere dell'altro, cura della felicità altrui. Il Maestro non cambia mai direzione: il criterio di appartenenza al Regno è la cura dell'altro, è quel farsi continuamente “prossimo” che rivela e narra nell’oggi il movimento ex-statico di Dio. A nessuno è richiesto di ridursi in mutande! A chi cerca,a chi desidera è proposto di condividere la propria vita per il bene dell'altro, quand'anche questi fosse un nemico. In altre parole: il Maestro propone di farsi pane, non di vendere o comprare pane! 

A tutte e a tutti un abbraccio. Buona vita.

lunedì 3 marzo 2025

Buongiorno mondo!

Ricchi… di solidarietà



Mc 10,17-27


(…) Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. (…)



Pagina molto conosciuta (forse poco amata perché in fondo ognuno tiene alle sue ricchezze...) che sta al cuore del messaggio di Gesù. Davanti alla sete di vita di quel tale, Gesù indica una via: la legge di Mosé. Ora, tanti qui cominciano a dire: ecco, vedi, torni ai comandamenti, bla bla bla...Leggete il testo, per favore! Se fate attenzione si tratta dei comandamenti della seconda tavola, quelli che fanno riferimento al bene dell'altro (e a proposito: Gesù ne aggiunge uno: non frodare, cioè non imbrogliare, riferito al salario dell'operaio, e qui ce ne sarebbe da dire...) e non ai comandamenti che riguardano Dio. Infatti Gesù vuol condurre quel tale proprio in quella direzione: convertirsi significa ri-orientare la propria esistenza verso il bene dell'altro. Questo ci permetterà un incontro autentico con Dio. Davanti alla sicurezza del tale Gesù risponde con ”una cosa sola ti manca", espressione semitica per dire che ti manca tutto (non è che Gesù gli dica: bravo, ora metti la ciliegina su questa bella torta.... No! Una cosa sola significa ti manca tutto). Il tutto condito con uno sguardo dal profondo sapore di amore. Gli ingredienti per una vita bella e piena ci potrebbero essere, se non fosse che quando crediamo di possedere ricchezze ma in effetti da esse siamo posseduti, non c'è verso: nessuna scelta di vita è possibile. Oggi questa proposta è rivolta a noi. 

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.

sabato 1 marzo 2025

Abitare un mondo complesso

 Abitare un mondo complesso (I)


Stiamo vivendo un cambiamento d'epoca, come papa Francesco ha spesso ricordato. Come tutti i cambiamenti, positivi o meno, anche questo reca con sé apprensione e a volte paura. Tanti fra noi, penso in particolare, ma non solo, alle persone anziane e ai ritmi lenti che caratterizzano la loro esistenza, vivono tutto questo con un grande senso di disorientamento e smarrimento. Le cose cambiano in fretta, troppo in fretta. Il nostro è il tempo della frenesia, del «tutto e subito»; è il tempo del «possibilmente prima di ieri». Tutto questo genera quella che io definisco la «fatica/paura del pensare», lo stento nel trovare tempo per fermarsi un momento a pensare, a esaminare, ad approfondire. Ci definiamo «Sapiens sapiens», animali «intelligenti», ma questa suddetta intelligenza, cioè la capacità di andare in profondità, di non fermarsi all'apparente, di «leggere dentro» la complessità della realtà in cui viviamo mi pare stia diventando merce rara. Trovare il tempo per pensare non è produttivo, si dice, non è segno di efficienza, non «rende». Da qui la difficoltà a stare dentro questo processo di cambiamento, che comunque è irreversibile e, per certi aspetti e anche per fortuna, non dipende in maniera totale da noi.

Questo cambiamento d'epoca è segnato in modo particolare dalla riflessione sulla cosiddetta «complessità». «Complesso» non è sinonimo di «complicato», ma molto di più e lo vedremo.

Dal punto di vista etimologico «complesso» deriva dal latino «cum-plectere» e indica l'azione di intrecciare, ripiegare più volte. Il suo contrario è rappresentato da «semplice», a sua volta dal latino «sem(el)-plectere», intrecciare, ripiegare una volta sola.

In effetti, oltre a essere a volte piuttosto complicato, il nostro mondo, la nostra esistenza, persino il nostro tempo sono in verità «complessi», pieni di intrecci e di pieghe che hanno bisogno di tempo e cura per essere compresi ma mai presi, definiti ma mai finiti. Di fronte alla tentazione pervasiva di «una iper-semplificazione, che scarta tutto ciò che non rientra nello schema della riduzione, del determinismo, della decontestualizzazione» (Edgar Morin, La sfida della complessità) dobbiamo osare la sfida della complessità. Essa infatti rappresenta, almeno in parte, un antidoto contro quei processi di «atomizzazione e separazione» che non sono altro che la traduzione contemporanea del vecchio adagio: «divide et impera» e aggiungerei «fatti i casi tuoi».

Propongo questa riflessione perché mi sento inerme ma anche sconcertato davanti alle sceneggiate intrise di sfacciata arroganza cui stiamo assistendo in questi tempi e che ci sono gentilmente offerti dai cosiddetti «potenti» di questo mondo, cui si accodano volentieri le «mosche cocchiere» nostrane la cui versione è rappresentata al meglio dal vice-premier leghista (ma su questo torneremo).

Il fenomeno della «complessità» è in relazione a quello di «entropia» e qui vi rimando ai vostri più o meno giovani ricordi delle lezioni di fisica (secondo principio della termodinamica). Il chimico russo di origine belga I. Prigogine, deceduto nel 2003, ha messo in luce che quando un sistema qualsiasi supera una certa soglia critica di complessità appare una nuova struttura che lo riorganizza con nuove proprietà ma sempre e comunque esistenti nel sistema interamente considerato. La rottura di un certo equilibrio non deve fare paura né destare preoccupazioni particolari. Guardiamo alla natura e proviamo a dirlo in altre parole. Ordine e caos, in natura, sembrano coesistere da sempre. Quando una soglia critica viene superata si apre uno spazio per nuovi possibili equilibri, ossia lo spazio delle possibilità. Chiudersi a tutto questo, «semplificare» forzatamente il tutto, ridurre alla propria visione la complessità del reale è estremamente pericoloso e soprattutto nocivo per la vita in tutte le sue espressioni.

(fine parte I – continua)